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Mons. Dal Covolo: “Abbiamo ancora molto da imparare da Benedetto XVI”

L'intervista di Interris.it a monsignor Enrico Dal Covolo, che ha voluto evidenziare la grandezza di Benedetto XVI sotto il profilo storico

Un fine teologo e accademico, ma anche una persona che sapeva sorridere con i propri interlocutori e chiacchierare amabilmente. Abbiamo ancora molto da imparare dalla sua eredità“. Sono le parole di ricordo che monsignor Enrico dal Covolo ci tiene a sottolineare su Benedetto XVI. Fu proprio il Pontefice emerito, nel 2010, a volerlo alla guida della Pontificia Università Lateranense, ‘l’Università del Papa’, e che lo stesso anno lo nominò vescovo, assegnandoli il titolo della Diocesi di Eraclea. Oggi, dopo due mandati come rettore della Pul (il secondo voluto da Papa Francesco), è assessore del Pontificio comitato di scienze storiche e proprio sotto il profilo storico ha voluto evidenziare la grandezza di Benedetto XVI in un’intervista concessa a Interris.it.

“Innanzitutto – racconta dal Covolo – vorrei portare un mio ricordo personale, legato al momento in cui Papa Benedetto volle ricevermi a pranzo dopo gli esercizi spirituali che predicai a lui e alla Curia romana nel 2020. Ricordo che fu un pranzo di una familiarità unica, durante il quale voleva sapere tutto della mia famiglia, della mia vita e vicende personali. La cordialità fu immensa e ci furono anche momenti di allegria. Per esempio gli raccontai della mia ordinazione sacerdotale quando, nel Duomo di Milano, vidi davanti a me la scena di Sant’Ambrogio che scappò dalla città quando fu eletto vescovo. Raccontai che io pensai ‘Signore te lo prometto non scapperò mai’ e lui rispose col sorriso ricordando che Ambrogio non andò poi molto lontano a bordo della sua mula”.

Lei è l’ultimo rettore a essere stato nominato da Benedetto XVI. Come le comunicò la nomina e come poi si confrontò con lui?

“Mi disse che sicuramente era una bella sfida da affrontare ma anche mi incoraggiò molto. Poi, pochissimi mesi dopo, nel settembre 2010, mi elesse vescovo titolare di Eraclea e fu per me un gesto di grande stima e onore che ricevevo da lui pur non meritandolo, ma lo ricordo come un segno di grande amicizia da parte sua”.

Benedetto fu un fine e stimato teologo. C’è già chi parla di elevarlo a Dottore della Chiesa un giorno. Questa sua cultura come la portava quando si rapportava al mondo accademico?

“Da lui innanzitutto arrivava una rigorosa conoscenza delle cose e degli argomenti che affrontava e un metodo magistrale di portare avanti le sue riflessioni. Io credo sinceramente che lui sia il più grande teologo del XX secolo e si potrebbe accostare a Hans Urs von Balthasar. Non a caso erano amici anche se non sempre con delle visioni coincidenti”.

Come invece, da rettore della Lateranense, ha appreso e vissuto la sua rinuncia al ministero Petrino e il periodo da Papa emerito?

“Come tutti ho appreso la notizia dai social e dalla stampa, ma la sua rinuncia non mi ha impedito di sentirlo vicino e anche talvolta avere la grazia di incontrarlo nel monastero dove ha risieduto. E’ sempre stato lucidissimo e finissimo nelle sue argomentazioni e con una squisita amicizia che continuava a dimostrare”.

Se volessimo leggere, da un punto di vista storico, la figura di Benedetto XVI, cosa lascia alla Chiesa del futuro?

“Secondo me continuerà ad essere ricordato – e dovrebbe appunto essere così – come il Papa teologo. Trovare un altro Pontefice di tale levatura teologica bisognerebbe tornare addirittura a Leone Magno (Leone I, periodo: IV-V sec., è anche un Dottore della Chiesa ndr). Poi la sua rinuncia ha segnato sicuramente una sorta di rivoluzione nella Chiesa, perché certamente ha favorito un cambiamento che possiamo dire essere ancora in corso e che noi ci auguriamo continui ad essere positivo non solo per stessa Chiesa ma anche in generale per la cultura e per il mondo moderno”.

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