Il modello Senegal per sconfiggere il Covid 19

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Non appena è diventato chiaro che la diffusione del virus Covid-19 era ormai impossibile da arrestare, numerosi enti e personaggi famosi, tra cui ha spiccato Melinda Gates, hanno espresso una certa preoccupazione per gli effetti sicuramente devastanti che la pandemia avrebbe avuto in Africa. L’Africa, lo sappiamo tutti – anche grazie alla rappresentazione che ci viene presentata dai media – è il continente più povero del mondo, ed è particolarmente carente in termini di sanità. Ciononostante, nel corso di quest’anno abbiamo potuto verificare quanto alcuni governi africani siano stati efficienti nel prevenire e gestire la diffusione del coronavirus nel loro paese.

Il 20 Marzo l’Unione Africana aveva già stabilito una strategia continentale comune per la gestione dell’emergenza sanitaria, in collaborazione con l’African Centre for Disease Control and Prevention. All’inizio di Aprile 43 su 54 degli Stati africani erano già in grado di diagnosticare rapidamente il coronavirus, grazie a degli speciali kit forniti proprio dall’African Centre for Disease Control and Prevention. A Maggio le statistiche ufficiali riportavano l’Africa come il continente meno colpito dalla pandemia.

Chiaramente l’impatto del coronavirus ha avuto effetti diversi nei vari Stati africani e anche all’interno di essi: ciò non toglie che alcuni governi abbiano fatto un lavoro eccellente anche in confronto con alcuni Paesi occidentali. Un esempio particolarmente virtuoso in questo senso è rappresentato dal Senegal.

Qualche dato sul Senegal

Il Senegal è uno degli Stati più sviluppati dell’Africa, e il quarto nella regione nord-occidentale dopo Nigeria, Costa d’Avorio e Ghana. Questo però non basta a farlo uscire dalla condizione di paese a basso sviluppo umano secondo i criteri stabiliti dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNPD): infatti, nel 2018 l’aspettativa di vita media dei suoi abitanti era 68 anni, il tasso di mortalità infantile (sotto i cinque anni di età) era di 44 morti ogni 1000 nascite e il tasso di diffusione di HIV tra le persone tra i 15 e i 49 anni era dello 0.4%.

Il sistema sanitario senegalese prevede strutture sia pubbliche che private, e benchè rispetto agli standard occidentali manchino strumenti adeguati e personale qualificato il governo ha sempre lavorato in modo da garantire le cure a tutti gli strati della popolazione.

L’avvento della pandemia

Il 2 Marzo 2020 è stato confermato il primo caso di Covid-19 in Senegal (e secondo in tutta l’Africa sub-sahariana). Nel giro di venti giorni il governo ha dichiarato lo stato di emergenza: è stato imposto un coprifuoco e scuole e luoghi di culto sono stati chiusi, è diventato obbligatorio l’utilizzo della mascherina. Si è cercato anche di diffondere le mascherine al prezzo più basso possibile, se non addirittura di fornirle gratuitamente.

Nel momento in cui qualcuno si scopriva positivo si provvedeva immediatamente a ricoverarlo in ospedale o in una delle strutture convertite allo scopo, a prescindere dalla presenza o meno di sintomi. In questo modo i familiari erano al sicuro dal contagio.

Il governo ha anche creato un fondo di solidarietà (Force-Covid-19) così da minimizzare l’impatto economico della pandemia.

Fin da prima del lockdown i più importanti medici e ricercatori del paese avevano iniziato a collaborare con le università per creare macchinari a basso costo che potessero essere utili negli ospedali. Tra questi ricordiamo il “Dr Car”, inventato da un gruppo di studenti dell’ Ècole Supèrieur Polytechnique di Dakar: si tratta di un robot in grado di misurare la febbre e la pressione ai pazienti, riducendo così la necessità di contatto tra persone infette e il personale ospedaliero.

Inoltre, tra il 21 Aprile e il 15 Maggio c’è stato uno screening di massa in tutto il paese.

Particolarmente rilevante è stata anche la campagna di sensibilizzazione lanciata dal governo. Il presidente Macky Sall si è fatto vedere più volte indossando la mascherina. Sono state installate fontanelle in tutte le città più importanti per incentivare la popolazione a lavarsi le mani, ed è stata perfino trasmessa una breve serie tv, Le Virus, su uno dei canali televisivi senegalesi più popolari.

È importante tenere a mente che, purtroppo, le epidemie non sono una novità in Africa: in Senegal tanto la società civile quanto i medici si ricordano ancora molto bene gli effetti della diffusione dell’ebola qualche anno fa. Il ricordo di quell’emergenza è stato un fattore importante nel determinare la tempestività del governo senegalese nello stabilire misure di contenimento del coronavirus.

Efficacia sorprendente

Il 12 Maggio scuole e luoghi di culto sono stati riaperti, il coprifuoco è stato ridotto e sono stati riorganizzati gli orari di lavoro d’ufficio. Contestualmente sono stati riaperti i confini nazionali, a condizione che chiunque arrivi dall’estero presenti una certificazione di negatività al virus che non deve essere più vecchia di una settimana.

Secondo i dati riportati dall’OMS, tra Marzo e Ottobre in Senegal si sono registrati circa 15000 positivi e 300 morti su 16 milioni di abitanti, con picchi di mortalità molto bassi (quattro morti in due giornate di Maggio). In Ottobre la rivista americana Foreign Policy ha elencato il Senegal al secondo posto nella classifica mondiale della gestione della pandemia, con un punteggio di 89.3 su 100, un risultato straordinario se si considerano le condizioni relativamente svantaggiate della sanità senegalese.

Questo mese tra le prime cinque posizioni della classifica di Foreign Policy ci sono altri due stati africani, il Kenya e il Ghana. È impossibile prevedere se la situazione migliorerà o meno nei prossimi mesi, ma una cosa è chiara: forse non dovremmo più pensare all’Africa come a una terra senza speranza.

Elena Zanin: