Milani (Cnesc): “L’attualità del servizio civile per costruire la pace”

Il cinquantesimo anniversario della nascita del servizio civile in Italia cade in un periodo storico particolare, forse unico, dal secondo dopoguerra. I due anni di pandemia di Coronavirus e il conflitto che da tre mesi spazza via città e spezza vite umane in Ucraina, costringendo milioni di persone ad abbandonare le proprie case e il proprio Paese, hanno messo in evidenza – oltre a positive ondate di solidarietà – quanto sia ancora necessario lavorare alla cooperazione e alla costruzione della pace, a partire dalle fondamenta presenti e future della società, i giovani. Un processo e insieme un obiettivo resi possibili dall’opera di tante realtà italiane che operano “in casa” e all’estero, organizzando le più diverse attività per far conoscere a ragazze e ragazzi, giovani donne e giovani uomini, l’importanza dell’agire insieme per un progetto comune che ha come fine ultimo la convivenza più rispettosa, feconda e aggregante.

Nonviolenza

Il servizio civile, l’impegno a dedicarsi per alcuni mesi a un progetto finalizzato alla difesa nonviolenta del Paese, all’educazione, alla pace tra i popoli e alla promozione dei valori fondativi della nostra Repubblica, nasce nel 1972, con la legge 772. Questa riconosceva il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare e prevedeva quindi, in sostituzione, il servizio civile – che era quindi obbligatorio. Una storica svolta arriva dopo 29 anni, quando, con la legge 64/2001, si istituisce il servizio civile nazionale su base volontaria, che viene aperto anche alle donne. Successivamente, nel 2005 viene sospeso il servizio di leva obbligatorio e resta il solo servizio civile su base volontaria. Nel 2013, con legge di stabilità 2014, si prevede un triennio di sperimentazione per l’istituzione dei Corpi civili di pace, rivolto a 500 giovani volontari da impiegare in azioni di pace non governative in zone di conflitto. La fase sperimentale, però, è tuttora in corso. Nel mentre, la Repubblica di San Marino, con la promulgazione della legge 194/2021, istituisce il suo Corpo civile di pace. Tornando all’interno dei nostri confini nazionali, nel 2017 viene riformato il servizio civile, che diventa universale.

La rete degli enti

Ventinove realtà del nostro Paese, da Caritas italiana a Confederazione nazionale per le Misericordie d’Italia, dall’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23) a Telefono azzurro, fanno parte della Conferenza nazionale enti per il servizio civile (Cnesc). Fondata nel 1988, ha tra le sue finalità quelle di operare come centro di promozione culturale dell’obiezione di coscienza all’uso delle armi e del servizio civile nazionale, promuovere l’aggregazione tra gli enti e ancora sostenere, qualificare e sviluppare la rappresentanza degli stessi nel rapporto con l’amministrazione pubblica. Giovedì 9 giugno scorso l’Assemblea della Cnesc ha eletto presidente Laura Milani, già vicepresidente della Confederazione, coordinatrice dell’Apg23, che succede a Licio Palazzini, e nominato vicepresidente Rossano Salvatore, di Cesc Project. “La nomina di Laura Milani a presidente è un riconoscimento dell’impegno di tanti giovani obiettori di coscienza che, sostenuti da don Benzi, svolsero il loro servizio non solo nelle case famiglia in Italia ma anche nel conflitto in ex Jugoslavia”, ha affermato il presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII Giovanni Paolo Ramonda, facendo riferimento a Operazione Colomba. Si tratta del corpo nonviolento di pace nato nel 1992 in seno all’Apg23 per stare al fianco delle vittime dei conflitti e aprire spazi di dialogo e di riconciliazione. Nei suoi trent’anni di vita, Operazione Colomba ha operato nei Balcani, in Africa, in Centroamerica, in Medio Oriente e in Asia.

L’intervista

In occasione della sua elezione a presidente, nel cinquantennale dell’istituzione del servizio civile nel nostro Paese, Interris.it ha intervistato Laura Milani.

Lei è la nuova presidente della Conferenza nazionale enti per il servizio civile. Quali sono le attività di questo organo?

“La Conferenza è una rete eterogenea di enti nazionali che vanno da quelli più grandi come la Caritas italiana ad altri come l’associazione Comunità Papa Giovanni XXIIII. Attualmente ci sono 29 soci,  ciascuno con le proprie sensibilità e le proprie tipologie di intervento, che siano all’estero, in ambito assistenziale o culturale. Queste diverse realtà sono tutte accomunate dalla finalità di promuovere il servizio civile e cercare di contribuire tutte insieme all’attuazione delle politiche che lo riguardano, come il facilitare lo scambio di prassi e azioni che possano qualificare il servizio. La Cnesc a sua volta fa parte della Consulta nazionale per il servizio civile universale, l’organismo permanente di consultazione, riferimento e confronto per le questioni concernenti il servizio civile universale”.

Le parole chiave del suo discorso programmatico sono continuità e contemporaneità. Dato il contesto plurale e variegato di crisi ed emergenze, come restare concretamente sintonizzati sull’oggi e sulle molte questioni aperte?

“La mia elezione è il passaggio di un gruppo di lavoro che è cresciuto negli anni, in termini quantitativi e qualitativi di azioni portate avanti. Questa rete lavora bene e intende continuare a portare avanti il modus operandi di una metodologia partecipata. Riguardo la contemporaneità, questa significa ribadire in modo chiaro la finalità del servizio civile, cioè la pace non armata e nonviolenta, che è una cosa molto attuale. Lo abbiamo visto con la pandemia di Coronavirus, che richiedeva la protezione delle persone, soprattutto di quei soggetti più fragili, e adesso con la guerra in Ucraina. I contributi che si possono dare sono l’accoglienza alle persone in fuga dal conflitto nell’est dell’Europa, la promozione della pace e di quelle esperienze alternative in cui il servizio civile ha un ruolo. Il contesto che viviamo ci fa capire che la pace non è scontata e non è solo assenza di guerra, ma è informazione, protezione delle persone attraverso l’inclusione, e costruzione di società che siano in grado di prevenire i conflitti, con l’attenzione ai diritti umani”.

Come e quando si è avvicinata al mondo del servizio civile?

“Ai tempi dell’università, a Padova, ho fatto un percorso di fede e di impegno sociale rivolto ai giovani  con dei missionari comboniani. In quell’ambiente ricco di spunti, ho sentito parlare di nonviolenza evangelica e ho conosciuto dei ragazzi che con i ‘Caschi bianchi’ erano stati in diverse parti del mondo. Le loro storie mi hanno colpito, io avevo alle spalle alcune esperienze di volontariato e volevo capire cosa volesse dire nonviolenza. La mia prima esperienza è stata in Brasile nel 2005, anche io con i  ‘Caschi bianchi’, grazie alla Comunità Papa Giovanni  XXIII, e questa è stata la svolta per le mie decisioni future. Sono rimasta lì  da volontaria e quando sono tornata in Italia sono entrata nella Apg23, per essere sempre più coinvolta nelle attività educative legate alle situazioni di conflitto e alla nonviolenza. A fine 2018  faccio il mio ingresso, come rappresentante della Papa Giovanni, nella Cnesc e nel 2019 divento responsabile del servizio civile dell’ApgXXIII, infine nel 2020 arriva la vicepresidenza della Conferenza nazionale degli enti”.

Nel 2022 cade il cinquantesimo anniversario della legge 772, che riconosce l’obiezione di coscienza al servizio militare e istituisce il servizio civile sostitutivo, che era obbligatorio. Cinquant’anni dopo, come si è evoluto il servizio civile?

“Questo anniversario non è la celebrazione di qualcosa che risale a decenni fa, ma un percorso attraversato da un filo rosso. Con la legge 230 del 1998 si introduce infatti la possibilità di svolgere il servizio civile all’estero e con la 64/2001 c’è il passaggio da obbligatorio a volontario, inoltre si apre alle donne. Sono seguiti poi il rimborso e il servizio civile universale. Nel tempo quindi c’è stato un incremento del numero e del livello di proposte: se prima chi faceva obiezione sceglieva un ‘no’ chiaro alla guerra, oggi i giovani scelgono il servizio civile con le motivazioni più diverse e con il desiderio di essere protagonisti dei cambiamenti. E’ compito degli enti dare sia spazio e respiro che far nascere la consapevolezza che c’è un modo nonviolento di costruire la pace”.

Pochi mesi fa la Repubblica di San Marino ha promulgato la legge che istituisce i Corpi civili di pace. A che punto è il processo di sperimentazione avviato dal nostro Paese?

“Siamo lontani dalla conclusione, la sperimentazione doveva durare tre anni ma l’avviso della terza progettualità è uscito di recente. Manca un nuovo paradigma della sicurezza: ancora oggi, a livello generale, non si concepisce che i civili possono ‘abitare’ i conflitti, con degli accorgimenti, e trasformarli in modo nonviolento. La società civile è pronta, come dimostra l’iniziativa “Stop the war now” che raduna un centinaio di associazioni, e chiede alle istituzioni di fare questo passo. Realtà come l’Operazione Colomba vanno nei luoghi di conflitto per mettersi al fianco di chi vive lì e accompagnare, fisicamente e psicologicamente, i volontari e gli operatori in difesa dei diritti umani, instaurando una relazione di fiducia, fornendo elementi di sicurezza e di monitoraggio”.

Lorenzo Cipolla: