Archivi dell’acqua salata: stragi di migranti nel “cimitero senza lapidi”

Logo Interris - Proteggiamo le vittime e non i carnefici

Logo INTERRIS in sostituzione per l'articolo: Proteggiamo le vittime e non i carnefici

Quelle dei migranti sono “morti invisibili“. Il Mediterraneo è un cimitero senza lapidi, “uno specchio di morte”. Nessuno ascolta il grido d’aiuto dei richiedenti asilo. Per due volte papa Francesco ha visitato i profughi che nell’isola greca vivono in condizioni disumane. “Guardiamo i volti dei bambini e vergogniamoci”, ha detto a Lesbo. La tragedia dei migranti nel Mediterraneo sembra sfumare sullo sfondo della pandemia e della guerra in Ucraina.

Sos migranti

Per infrangere il muro dell’indifferenza è stato presentato a Palermo “Archivi dell’acqua salata. Le stragi di migranti nelle culture pubbliche”. Con un’ accurata documentazione per spiegare in che modo le stragi di migranti nel Mare Mediterraneo entrano a far parte dello spazio pubblico. E segnano l’immaginario collettivo. ll tema è stato affrontato proprio nel libro dal titolo “Archivi dell’acqua salata. Stragi di migranti e culture pubbliche” (Futura editrice, pagine 340). L’opera della storica Pamela Marelli è stata analizzata alle terrazze di Moltivolti in un incontro coordinato da Mimma Grillo. Gli “archivi dell’acqua salata” si configurano come una ricostruzione storico-artistica. Che ripercorre i naufragi di migranti nel mar Mediterraneo. Tra il 1990 e il 2020. Attraverso testimonianze che provengono da reportages. Dati statistici. Filmati. Saggi storici e sociologici. E persino da opere d’arte e teatrali.

CREATOR: gd-jpeg v1.0 (using IJG JPEG v62), quality = 75

Un viaggio di trent’anni

Un viaggio lungo trenta anni, ricostruito da Marelli. Che inizia il racconto dalle settimane successive alla caduta del muro di Berlino. Non senza aver prima ricordato la figura di Jerry Masslo. Assassinato nel 1989. E divenuto il simbolo della lotta contro lo sfruttamento dei lavoratori agricoli africani. Passando per la “questione albanese”. Rappresentata dall’odissea della nave mercantile Vlora. Approdata in Puglia nell’agosto del 1991. Nel corso della ricostruzione storica si passa inevitabilmente per la Libia. E per il resto del Nord Africa. Soffermandosi poi sulle tragica giornata del 3 ottobre del 2013. Quando le vittime in mare furono quasi 400.

Approccio storico

“Ho avuto intense esperienze nell’ambito delle migrazioni. E a fianco dei movimenti antirazzisti – afferma Marelli-. Così ho iniziato a raccogliere il materiale. Che è poi culminato con questa ricerca durata sei anni. L’archivio è una ricostruzione storica per pochissime sue parti. Per esempio, quando accenno all’Italia. Che è passata da paese di emigrazione a paese di immigrazione. Oppure quando affronto il tema della migrazione albanese negli anni ’90. E si conclude nel 2021″. Prosegue la studiosa: “Al di là di questo approccio storico vi è l’innesto di un linguaggio più creativo e artistico. Tra le fonti da me consultate, infatti, vi sono alcuni romanzi cosiddetti decoloniali. Di scrittrici che vivono a cavallo tra la cultura italiana e quella somala, eritrea ed etiope. E che ci aiutano a comprendere meglio il periodo coloniale”.

Naufragi

Accanto a questo tipo di fonti vi sono film e documentari di stragi. E un’installazione artistica. Poiché, puntualizza la storica “mi interessava, con un linguaggio emotivo, entrare in alcune questioni che mi interessavano” E cioè “come mai avvengono questi naufragi? Che tipo di politiche migratorie gestiscono questi movimenti? Che spazio diamo noi all’interno delle culture pubbliche a queste stragi e fenomeni?”. La connessione di tutte queste parti ha dato vita a questo saggio storico. “Un po’ anomalo. E che è il riflesso del mio percorso“, conclude l’autrice.

Giacomo Galeazzi: