Chi è un migrante? Secondo la OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), un migrante è “una persona che lascia il suo paese di residenza, che sia all’interno di un Paese o attraversi frontiere internazionali, temporaneamente o permanentemente, e per una serie di ragioni”.
Trasferirsi dal posto in cui si vive ci può sembrare qualcosa di estremamente eccitante, perché a volte abbiamo semplicemente voglia di cambiare, perché sentiamo che la nostra quotidianità in qualche modo ci limita, e non vediamo l’ora di evadere; ma alcune persone non vogliono scappare per cambiare il loro stile di vita o per trovare sé stesse: loro cercano solo un posto dove valga la pena vivere, dove valga la pena mettere al mondo dei figli.
Essere un migrante non è mai facile; chi emigra deve lasciare la sua casa, il suo Paese, la sua lingua, qualche volta addirittura le persone che ama, e arriva in un posto sconosciuto, deve cercare un lavoro, un posto dove stare, nella speranza di una vita migliore. Ma cosa significa essere un migrante durante la pandemia da Covid-19?
L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha cambiato lo stile di vita ovunque nel mondo, ma, come spesso accade, i deboli soffrono più degli altri. Sfortunatamente, secondo una ricerca della OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), per i migranti i rischi di contrarre il Covid-19 raddoppiano, in quanto molti di loro lavorano nei settori così detti essenziali (sanità, lavori domestici, distribuzione, consegne).
Cos’è successo in Italia?
In Italia i migranti hanno sofferto in modo ancora maggiore le conseguenze della pandemia; tra le altre cose, la pandemia ha rallentato tutto l’iter tramite il quale i migranti irregolari ottengono il diritto di rimanere legalmente nel Paese. Durante l’emergenza da Covid-19, la percentuale dello sfruttamento degli stranieri nelle campagne è cresciuta del 15/20%; questo significa circa 40-45mila persone in più che vengono sfruttate, un aumento delle ore di lavoro, un peggioramento delle condizioni e un salario più basso. Inoltre, si può evidenziare come i migranti abbiano iniziato ad “arrendersi”, considerandosi secondi rispetto agli italiani. Dopo il primo lockdown, il governo ha approvato una sanatoria che riguarda gli immigrati impiegati nell’agricoltura e nei lavori domestici. Qualcuno dice che sia un grande passo avanti, altri dicono che sia un fallimento; chi avrà ragione?
La verità è che in ogni stato i migranti sono la parte debole della popolazione; sono soli, devono affrontare cambiamenti radicali e, la maggior parte delle volte, sono costretti ad accettare qualsiasi condizione di lavoro venga loro offerta, altrimenti perdono la possibilità di rimanere nel territorio.
E se toccasse a me?
Senza neanche bisogno di dirlo, un altro muro che i migranti si trovano a dover abbattere è quello del pregiudizio. Quante volte sentiamo di episodi di violenza, soprattutto non verbale, contro chi è considerato “diverso”? Naturalmente, lo stesso vale per tutte quelle categorie di persone che la società di oggi considera diverse, in maniera dispregiativa (basti pensare agli omosessuali, i disabili, le persone di colore). Forse il mondo intero dovrebbe essere meno egoista? Forse ognuno di noi dovrebbe pensare “e se toccasse a me”? Il pregiudizio è quello che rende migranti e abitanti di uno stato sempre più distanti. E se collaborassimo tutti un po’ di più? E se provassimo un po’ di più a spiegarci e a capirci l’un l’altro, invece di costruire un muro che è sempre più difficile da abbattere? Noi tutti sogniamo una società integrata, un mondo che sia più inclusivo, dove il rispetto e la comprensione stiano alla base delle nostre relazioni interpersonali. Allora lasciatemi concludere con una citazione molto famosa del grande Mahatma Gandhi: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.
Arianna Aliberti è una tirocinante della cooperativa sociale Volunteer in The World