Mettere il cuore in pausa: la subdola pratica del “benching”

L’“altro” non rappresenta un ripiego di comodo, da utilizzare finché conviene poiché, nella propria superbia e immaturità, non si è capaci di scegliere

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Il “benching” (dal termine inglese “bench” che significa “panchina”) consiste nell’atteggiamento, molto diffuso, soprattutto nell’era dei social, di considerare, a intermittenza, come riserva o seconda scelta, il proprio partner sentimentale per dedicarsi ad altri obiettivi. Il fenomeno è riferito essenzialmente ai rapporti di cuore ma, per estensione, è applicabile a qualsiasi relazione sociale, tra amici, pari, a scuola, al lavoro. Frutto di irresponsabilità, di incapacità ad assumere decisioni o di voglia di sperimentare soluzioni diverse, la tendenza assume, nell’epoca dell’effimero e del transitorio, una dimensione sempre più importante.

Si tratta di un aspetto peculiare di relazioni “tossiche”, non fondate su giusti equilibri di amicizia o, se di natura sentimentale, al di fuori del vero amore, quello che unisce e costruisce. Le negatività di questi rapporti hanno due caratteristiche. La prima è fondata sulla contestualità, sul mondo contemporaneo, poggiante sulle dinamiche digitali del web e sulle sue degenerazioni. Il secondo aspetto è antico quanto il mondo: su basi remote, tale vizio affonda nella natura umana. Il web, quindi, facilita questa “pratica” poiché offre continue e diffuse dinamiche di “conoscenza”, con appositi siti e app, in cui, spesso, non vi è profondità di valori e di condivisione se non il piacere del momento.

Il benching, a differenza del ghosting (in cui la persona scompare improvvisamente, sia fisicamente sia virtualmente) consiste in una sospensione del rapporto. Chi la attua, rispetto ai suoi predecessori, utilizza con malafede, anche i mezzi tecnologici. Non solo non risponde al telefono (la classica paura/minaccia per le relazioni dei decenni scorsi) ma, pure attraverso i social, lascia l’altro/a in una condizione di incertezza, Le conseguenze sulla vittima, possono essere disastrose: ansia, depressione, sfiducia a cui aggiungere le relative ripercussioni fisiche, Tale vittima rischia di rimanere, per molto tempo, prigioniera di atteggiamenti deplorevoli del bencher. Purtroppo, non tutte le persone lasciate in panchina sono in grado di rendersene subito conto e di saper spezzare tale ambiguo legaccio. È importante comprendere, immediatamente, gli atteggiamenti equivoci, ambigui, incerti, manipolatori e schizofrenici del partner/amico/collega.

La “riserva” vive una condizione di dipendenza: di bisogno, per sentirsi bene, della presenza, dei complimenti e dei segnali dell’altro; nel momento in cui queste attenzioni spariscono, avverte dispiacere e attende la nuova “dose”. La situazione di pausa forzata che il bencher instaura, pone, chi vi capita, in perenne attesa e ansia, con la speranza di ottenere una risposta quanto prima. Si tratta di un atteggiamento molto grave che può lasciare ripercussioni profonde (disistima, sensi di colpa, autofrustrazione, chiusura sociale).

L’altra piaga a cui conduce è quella della solitudine, poiché il benched si avverte come inadatto, incapace e, posto in attesa per alcuni indizi e segni della persona amata, trascura i veri affetti. La solitudine investe, altresì, il carnefice che, nei suoi comportamenti intermittenti, tenta di legarsi a più persone e a non essere solo; il rischio è di essere ripagati con la stessa moneta.

Il richiamo di San Giovanni Paolo II, presente nella Lettera Enciclica “Fides Et Ratio” (14 settembre 1998), all’interno del Capitolo III, è il seguente Altri interessi di vario ordine possono sopraffare la verità. Succede anche che l’uomo addirittura la sfugga non appena comincia a intravederla, perché ne teme le esigenze. Nonostante questo, anche quando la evita, è sempre la verità a influenzarne l’esistenza. Mai, infatti, egli potrebbe fondare la propria vita sul dubbio, sull’incertezza o sulla menzogna; una simile esistenza sarebbe minacciata costantemente dalla paura e dall’angoscia. Si può definire, dunque, l’uomo come colui che cerca la verità”.

Alexandra Kohan, professoressa e psicanalista, è l’autrice del volume “Eppure, l’amore”. (sottotitolo “Elogio dell’incerto”), pubblicato da “Castelvecchi” nell’ottobre 2022. Parte dell’estratto recita “Eppure, l’amore” raccoglie riflessioni sull’amore, appunto, sul desiderio e sulla tendenza delle nostre società a reprimere le passioni amorose, da una prospettiva che si muove tra psicanalisi e femminismo. […] l’elogio dell’amore di Alexandra Kohan ci ricorda che il punto cruciale è la mancanza, il vuoto, ciò che non funziona e ciò che non si sa, invitandoci a lasciare aperte le fessure attraverso le quali il desiderio può iniziare a respirare”.

Nel Report del 18 dicembre scorso, l’Istat, al link https://www.istat.it/wp-content/uploads/2023/12/REPORT_matrimoni-seprazionei-dic2023.pdf, ha riportato quanto segue “Nel 2022 sono stati celebrati in Italia 189.140 matrimoni, il 4,8% in più rispetto al 2021 e il 2,7% in più in confronto al 2019, anno precedente la crisi pandemica (durante la quale molte coppie hanno rinviato le nozze). I matrimoni religiosi, pressoché stabili rispetto al 2021 (-0,5%), diminuiscono sensibilmente (-5,6%) rispetto al periodo pre-pandemico. Nei primi otto mesi del 2023 i dati provvisori indicano una nuova diminuzione dei matrimoni (-6,7%) rispetto allo stesso periodo del 2022. […] 89.907 Il numero di separazioni (-8,2%) Stabili i divorzi (82.596; -0,7%)”.

L’individuo è più esposto rispetto al passato, in cui dipendeva da un sorriso o da una parola; ora, anche la sola presenza di un like al proprio profilo (o a un post, una fotografia) ha un’incidenza notevole. Si è appesi, quindi, a segni esteriori, molto labili, indiretti: facili da creare, altrettanto banali da eliminare o sospendere. Le lusinghe arrecano piacere, tuttavia vi è il rischio di divenirne dipendenti e di essere manipolati. Il benching esprime, nel “mercato” del sentimento, l’essere considerato come “usa e getta”, un “panchinaro” in competizione con le diverse riserve e con i titolari.

La macchinazione tende a non accontentare, mai. L’individuo che la esercita, a sua volta, soffre dell’incapacità di adottare una decisione, di scegliere, di programmare (per quanto possibile) la vita. Rischia di rimanere l’eterno indeciso e, in bilico, fra più tavoli, di essere escluso. Colui che esercita tale esclusione temporanea, rischia di esserne vittima, pure a titolo definitivo. Sfrutta la situazione per convenienze personali, perché ha vari interessi sentimentali o personali. In molti casi, prevale il gusto satanico di tenere l’altro sulla graticola, di poterne disporre a piacimento.

La traduzione, ampia, del fenomeno, è quella di usare il prossimo solo quando fa comodo, a proprio piacimento e consumo, salvo poi dimenticare. Per estensione, coloro che detengono il potere si sono serviti, da sempre della sospensione nei confronti dei sottoposti, dei cortigiani e del popolo. Il sovrano, infatti, che ha saputo dosare, con parsimonia, attenzioni, fiducia e incarichi, si è distinto in una machiavellica gestione, producendo competizione fra i rivali servitori e una loro conseguente sottomissione pur di risultare come favoriti. Chi non è stato in grado di tenere sospesi i lacchè e il popolo, ha subito la detronizzazione.

Il prossimo non si usa, si ascolta e con lui ci si pone a servizio, in collaborazione. L’alterità non è a comando e per il tempo che si desidera, non si è dinanzi a un pulsante on/off che decide i tempi. La società non è riconducibile a un pulsante da tastiera che decide a proprio ritmo. L’egoismo del benching è in modalità “a tempo”, non per questo meno grave. La schiavitù che comporta è un vero e proprio disconoscere la persona e il rispetto dovuto.

Sebbene la tendenza attuale sia volta all’effimero, alla “liquidità” e al transitorio (anche per le relazioni, sentimentali e non), non ci devono essere giustificazione e spazio per una società sospesa e a tempo. Le persone non sono strategie, non sono un “piano b” da utilizzare quando la prima scelta non pone sufficiente piacere nell’immediato.