La coincidenza del calendario con la festa degli innamorati non deve far dimenticare la centralità di questa giornata nel cammino tradizionale del cristiano. Il Mercoledì delle Ceneri apre il periodo della Quaresima e, insieme, il consueto momento penitenziale che accompagna i credenti alla gioia pasquale. Un periodo di riflessione e di preghiera, che di settimana in settimana prepara, spiritualmente, alla gioia della risurrezione di Cristo. Una linea di demarcazione ben evidente con la lietezza delle celebrazioni carnevalesche, segnata da un momento di profonda coscienza sulla caducità dell’esistenza portato proprio dalle ceneri cosparse sul capo dei fedeli, come monito perpetuo. Accompagnato generalmente, nel rito romano, dalla locuzione latina coniata dalla Genesi: “Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris”.
Il richiamo delle Ceneri
Fatti di polvere. E, come tali, ritorneremo. Una metafora sulla condizione stessa dell’uomo che, proprio per questo, incarna il significato stesso del periodo quaresimale. Un approssimarsi, mite e all’insegna della propria coscienza, allo stupore più grande. Laddove l’astinenza non è necessariamente solo quella dalle carni, né il digiuno è solo quello corporale. Perché il Mercoledì delle Ceneri è un richiamo sulla nostra stessa esistenza: “Ognuno di noi è ‘polvere di stelle’ – spiega a Interris.it fra Emiliano Antenucci, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini -. Siamo un misto di miseria e nobiltà. Si richiama alla nostra condizione di ‘creaturalità’, fragilità e di peccatori ma amati da Dio”.
I tre pilastri
Un richiamo che non arriva solo ma sorretto da una struttura portante fatta di atteggiamenti virtuosi. “Tre pilastri”, come li definisce fra Emiliano, quelli della preghiera, del digiuno e della carità. Il primo, centrale nella vita del cristiano, è utile “a intensificare il nostro rapporto di dialogo d’amore con Dio”. Ma anche il digiuno può essere qualcosa di ben più profondo di quanto non si pensi: “Forse dovremmo pensare ad altri tipi di digiuni: dai social, dalle parole cattive… C’è un padre della Chiesa che dice: ‘A che serve digiunare se poi mangi la carne dei tuoi fratelli?’. Ognuno dovrebbe trovare un digiuno dalla lingua, dai peccati e dalla tristezza”. Infine la carità, “che non è l’elemosina ma avere un cuore generoso che ci fa essere attenti al regalo del tempo e dell’attenzione agli altri”.
Penitenza e gioia
La Quaresima, così come il tempo dell’Avvento, è un periodo preparatorio. Con l’orizzonte comune della gioia ma con l’avvicinamento improntato sulla consapevolezza del dolore. Per questo ogni riflessione è necessario sia focalizzata sul fine della meraviglia più grande: “Si possono fare dei fioretti, piccoli sacrifici ma che è necessario portino alla gioia pasquale. Che non siano morte della persona ma diano vita”. Con l’accortezza di saper riconoscere le nostre debolezze e riuscire a contrastarle come forma di preparazione e penitenza: “Magari qualcuno è dipendente dal cibo, dai social… Ognuno ha le sue piccole dipendenze e quindi bisogna saperle controllare”. Del resto, anche la Quaresima è un periodo di speranza: “Alla fine del combattimento – conclude fra Emiliano – nei suoi quaranta giorni nel deserto, Gesù è servito dagli angeli: è un tempo di penitenza che ci prepara all’esplosione di gioia della Pasqua”.