La custodia delle bellezze del nostro Paese e il contrasto al degrado urbano passano anche attraverso l’opera e l’impegno di quelle persone che, a loro volta, hanno bisogno di cura. I fenomeni degli ultimi dieci anni, a cominciare dalla crisi sociale diffusa, l’immigrazione, la pandemia e i recenti eventi in Europa, hanno manifestato tutta la loro drammaticità, col risultato che sono in tanti coloro che rischiano di restare tagliati fuori dalla possibilità di essere significativi per la nostra società. In Italia la povertà assoluta riguarda 5,6 milioni di persone, secondo i dati Istat riportati nell’ultimo studio di Caritas italiana in materia, con il rischio che questa condizione si trasmetta per più generazioni, e i giovani che non studiano né lavorano sono circa tre milioni (25,1%). Il progetto “Custodi del Bello”, nato circa sei anni fa, si pone l’obiettivo di offrire strumenti e possibilità di reinserimento sociale e lavorativo a quei soggetti più fragili, attraverso un processo articolato in tre momenti che consta anche del coinvolgimento in attività di pulizia e riqualificazione di spazi pubblici, che vengono così restituiti alla comunità cittadina.
Da cura nasce cura
“L’idea di mettere a sistema la cura dei luoghi, degli spazi, e dei beni comuni con la cura delle persone più in difficoltà è nata intorno al 2015. L’iniziativa risale poi al 2017 e tra la fine di quell’anno e l’inizio del 2018, attraverso la coprogettazione, è partito tutto”, racconta a Interris.it Luciano Marzi, vicepresidente del Consorzio Communitas, una delle tre realtà che hanno dato vita ai “custodi”, insieme alla Onlus di volontari fiorentini gli Angeli del Bello e all’associazione Extrapulita, “e in seguito a un buon riscontro, il Comune di Milano lo mise poi a bando”. “Da cura nasce cura”, continua, “tramite il progetto le persone tornano a essere soggetti della società, riacquisiscono capacità, energia e autostima per rimettersi in gioco”. L’annus horribilis della pandemia, prosegue Marzi, ha fatto scattare quella determinazione necessaria per realizzare “una misura di welfare secondo un modello che non era quello del volontariato, ma della collaborazione lavorativa delle persone fragili, cui spetta una retribuzione”.
In rete col territorio
Dal capoluogo lombardo il progetto ha raggiunto a Brescia, Firenze, Savona e Roma, fino a giungere in cinque città del Meridione e delle Isole maggiori, Matera, Bari, Bitonto, Cagliari e Caltanissetta. “L’obiettivo è di riuscire a mettere in campo, nell’arco di un triennio, 58 squadre di ‘custodi’ coinvolgendo così oltre 200 persone”, dichiara Marzi. I finanziatori del progetto nel Sud Italia sono Caritas italiana e Fondazione Sud, mentre la rete sul territorio è tessuta insieme all’ente del terzo settore del posto che organizza le attività, alle amministrazioni comunali che devono rilasciare le autorizzazioni e a quelle realtà generative in termini di formazione professionale e possibilità di inserimento lavorativo.
I custodi
Lo spettro dei custodi è ampio. Cittadini italiani e stranieri, persone dai 50 anni in su che, dopo aver perso il lavoro a causa della pandemia, non riescono a trovare un altro impiego, giovani Neet – l’Italia detiene il primato in Europa – “che faticano a trovare delle strade per il proprio futuro, in loro vediamo un senso di smarrimento e sfiducia, sia nei confronti della società che di loro stessi”, illustra Marzi. “Vorremmo creare delle opportunità che ridestino quelle energie positive che ognuno si porta dentro ma che non riesce a esprimere”, aggiunge.
Il cuore rigeneratore
Il progetto di recupero e reinserimento socio-lavorativo delle persone fragili in questione si articola in tre macro-fasi. La prima è quella di recruiting e della formazione di base, in cui le diverse realtà territoriali, i servizi sociali dei Comuni come gli enti che svolgono attività in favore delle persone, segnalano soggetti che possano far parte delle diverse squadre di custodi. “Ogni persona ha un progetto, non tutti hanno le stesse esperienze e competenze”, specifica Marzi. La seconda fase, che dura circa sei mesi, è quella del lavoro: le squadre si occupano della cura delle città, seguite e accompagnate dagli animatori sociali, figure di professionisti del campo che fanno da tutor, permettendo così ai partecipanti di riscoprire le proprie capacità e la propria volontà. “E’ il cuore che rigenera ciò che è necessario per essere parte attiva nella società e a reinserirsi nel mondo del lavoro”, spiega. La terza fase consiste nell’inserimento, o nel reinserimento, all’interno del mondo del lavoro. Da quando il progetto si è strutturato, vi hanno preso parte oltre 200 persone e circa la metà ha trovato successivamente uno sbocco lavorativo.
Il senso di comunità
Le aree ripulite negli interventi, come i parchi giochi per i bambini e le piazze, tornano ad essere belle e fruibili da tutti. “E’ assai importante restituire ai cittadini quei luoghi che, se lasciati nel degrado, possono cadere nelle mani del vandalismo e della microcriminalità”, puntualizza Marzi. Addirittura a Firenze, in base a degli accordi con la Soprintendenza, i “custodi” si prendono cura dei tabernacoli e della parte storico-documentale della città. “I risultati degli interventi sono evidenti agli occhi dei cittadini, che in alcuni casi si avvicinano, fanno domande, offrono un caffè al bar. Si crea un senso di comunità”, conclude.