Matrimoni forzati, il martirio delle cristiane pakistane

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E’ il martirio della pazienza. La quotidiana sopportazione che diventa eroica testimonianza di fede. A certificare la drammatica situazione delle cristiane pakistane è un rapporto presentato al Consiglio Onu per i diritti umani nell’estate del 2022. Nel corso del 2021 ci sono stati 78 casi documentati e denunciati di giovani donne rapite in Pakistan. Costrette a convertirsi all’Islam e a sposarsi. Il rapporto è stato prodotto dal Centro per la Giustizia Sociale (CJS) di Lahore. Il CJS ha rilevato anche 84 casi di persecuzione per presunta blasfemia nel 2021. Secondo il Centro, tuttavia, i numeri effettivi sono più alti perché la maggior parte di questi casi non viene denunciata alla polizia.

Martirio quotidiano

Secondo il direttore della Commissione cattolica per la Giustizia e la Pace del Pakistan, padre Emmanuel Yousaf, i rapimenti e le conversioni forzate di giovani donne appartenenti a minoranze cristiane sono in aumento. “Il problema si fa di giorno in giorno più acuto», afferma il sacerdote. La fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) non fa mancare supporto e solidarietà. Secondo Padre Yousaf, le più colpite sono appartenenti alle minoranze cristiane e indù nelle province di Sindh e Punjab. Pur essendo in vigore leggi contro i matrimoni precoci e i matrimoni forzati, le stesse leggi non vengono applicate. “Uno dei motivi è che tutto questo colpisce soprattutto cristiane e indù, e che in Pakistan la pressione proviene dalla società musulmana. Fanno pressione sulle famiglie e sulle ragazze”, evidenzia padre Emmanuel Yousaf. Senza appellarsi a un tribunale, “è impossibile liberare le donne dalle mani dei rapitori musulmani radicali”. Ma ciò “richiede molto tempo e denaro“.

Minoranza a rischio

“Gli avvocati hanno paura di occuparsi di casi del genere. Sono preoccupati anche i giudici“, precisa padre Yousaf. I musulmani radicali in Pakistan sono una piccola ma influente minoranza. “Ho molti amici musulmani, ma sono la maggioranza silenziosa, questo è il problema”, racconta il sacerdote. Convinto che anche l’opinione pubblica occidentale dovrebbe affrontare la situazione dei diritti umani in Pakistan. Secondo padre Yousaf ciò vale anche per le leggi sulla blasfemia. In base alle quali ogni denigrazione dell’Islam e del profeta Maometto è un reato punibile. Questa norma viene usata spesso per regolare conti personali. “Spesso si tratta di una disputa personale o di conflitti per la terra“, spiega il sacerdote pakistano. Quando un cristiano viene accusato di blasfemia, quello che fanno è radunare musulmani dalle città interessate e vicine. “Vengono e saccheggiano le case e danno fuoco alla chiesa”, riferisce padre Yousaf. La cui preoccupazione principale non è cambiare o abolire le leggi contro la blasfemia. bensì “fermare l’abuso che se ne fa”.

Sostegno Acs

I cristiani costituiscono meno del due per cento della popolazione del Pakistan. Però devono fare i conti con molti pregiudizi. “Molti qui pensano che possiamo ottenere un visto per viaggiare all’estero in poco tempo, ma non è vero. Dicono che apparteniamo all’Europa perché siamo cristiani, ma siamo pakistani e amiamo questo Paese“, chiarisce padre Yousaf. Riferendosi alla libertà religiosa, avverte che in Pakistan non ci sono progressi. Ciò rende molto importante il sostegno di organizzazioni come Aiuto alla Chiesa che Soffre. Acs da anni lavora a stretto contatto con la Commissione Giustizia e Pace. La fondazione pontificia consente alla Commissione di pagare le spese legali sostenute dalle famiglie le cui ragazze sono state rapite, o di svolgere attività educative sui diritti umani. Per questo, aggiunge il sacerdote, “sono grato ad Aiuto alla Chiesa che soffre. Siete un grande sostegno per noi, perché quando dobbiamo andare in tribunale, è molto costoso. Ma continueremo a lottare per queste povere ragazze“. Nei processi, conclude, continuano a verificarsi “piccoli miracoli”, per i quali vale la pena continuare.

A sinistra, Cristian Nani, Porte Aperte / Open Doors Italia

Martirio in “famiglia”

“Le giovani donne e le ragazze cristiane sono particolarmente vulnerabili in Pakistan.- conferma il rapporto Open Doors-. Sono spesso rapite, stuprate, costrette a sposare il loro rapitore e convertite a forza. Le autorità non proteggono donne e ragazze, e si schierano regolarmente con i colpevoli. Le donne e le ragazze sono spesso costrette a testimoniare, durante i processi, di essersi convertite volontariamente. Le famiglie cristiane che provano ad opporsi al matrimonio sono spesso accusate di molestie contro le famiglie musulmane”. Denuncia Porte Aperte: “Una volta sposata, la donna cristiana non ha alcuna protezione dalla sua nuova ‘famiglia’. Sono state anche riportate vicende riguardanti il traffico di ragazze che vengono coinvolte sia nel lavoro forzato che nel giro di prostituzione indirizzato verso la Cina”. Inoltre “i cristiani in Pakistan affrontano un’estrema persecuzione in ogni area della loro vita. I credenti di origine musulmana subiscono il più alto livello di persecuzione. Ma tutti i cristiani sono considerati cittadini di seconda classe in questo paese fortemente islamico“.

Attività comunitarie

Secondo Open Doors: “I cristiani svolgono lavori generalmente percepiti di basso livello, sporchi e senza onore. E possono anche essere vittime di lavoro forzato. È possibile trovare alcuni cristiani appartenenti al ceto medio della società. Ma sono comunque considerati inferiori alla controparte musulmana e spesso subiscono gravi discriminazioni sul posto di lavoro. Le ragazze cristiane sono a rischio di rapimenti e stupri, e sono spesso costrette a sposare i loro aggressori e a convertirsi forzatamente all’islam”. Conclude il dossier: “Le note leggi anti-blasfemia in Pakistan sono usate per prendere di mira i cristiani. E i gruppi di estremisti islamici difendono veementemente queste leggi  Anche attaccando o uccidendo coloro ritenuti colpevoli di averle infrante. Esistono delle chiese cristiane, ma quelle più coinvolte nelle attività comunitarie subiscono una dura persecuzione da parte della società”.

 

Giacomo Galeazzi: