Oltre 5.500 lavoratori agricoli bengalesi mancano all’appello nelle campagne italiane. La carenza di manodopera straniera nei campi e nelle vigne nostrane è una delle tante sfaccettature problematiche che l’emergenza coronavirus ha causato all’economia e alla società. Infatti, i lavoratori stagionali bengalesi sono rimasti bloccati in patria in seguito ai casi positivi al Covid-19 scoperti in un volo arrivato a Roma da Dacca. Il ministro della Salute, Roberto Speranza ha così ordinato la sospensione di una settimana dei voli in arrivo dal Bangladesh. Insieme al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, si sta inoltre lavorando a nuove misure cautelative per gli arrivi extra Schengen ed extra Ue. Ma quale sarà la ricaduta pratica ed economica del fermo di migliaia di lavoratori agricoli deciso repentinamente?
L’intervista al dott. Magrini
Per trovare risposte e possibili soluzioni, In Terris ha intervistato il dott. Romano Magrini, responsabile Lavoro della Coldiretti.
Dott. Magrini, qual è il peso dei lavoratori stranieri nell’agricoltura italiana?
“Il peso è grande. Su 1 milione e 300mila lavoratori totali occupati in agricoltura, ben 370mila sono non italiani. La comunità di lavoratori agricoli stranieri più presente in Italia è quella rumena con 107.591 occupati. Ma tra gli europei ci sono anche polacchi (13.134) e bulgari (11.261). Secondo lo studio Coldiretti, erano oltre 5500 quelli provenienti dal Bangladesh prima dell’emergenza coronavirus. Persone che, ad oggi, mancano all’appello, con la concreta possibilità si consistenti perdite nei raccolti”.
Quali sono le conseguenze per lo stop dei lavoratori bengalesi?
“Ci auguriamo che lo stop duri solo una settimana. Se così fosse, al loro rientro riprenderemmo la normale attività. Ma se lo stop dovesse durare ulteriormente, sarebbe un problema non indifferente per l’agricoltura italiana”.
In questo caso, come pensate di sopperire all’assenza di 5500 lavoratori bengalesi in meno?
“Muovendoci in diverse direzioni. In primis, cercando di reclutare manodopera dai Paesi europei che hanno già superato la quarantena e hanno le frontiere aperte. Inoltre, secondo le misure adottate dal governo lo scorso 17 maggio nel Decreto Cura Italia, chiamando a lavorare i parenti e i familiari”.
Il decreto Cura Italia
Cosa dice il decreto Cura Italia per venire incontro alle esigenze del settore?
“Il decreto Cura Italia prevede per l’emergenza Coronavirus che le attività prestate dai parenti e affini fino al sesto grado non costituiscono rapporto di lavoro né subordinato né autonomo. Potranno dunque collaborare alla raccolta dei prodotti agricoli – anticipata dal caldo inverno – anche i familiari a condizione che la prestazione sia resa a titolo gratuito. Questo, per garantire la disponibilità di alimenti e sopperire alla mancanza di manodopera straniera, come i lavoratori bengalesi rimasti bloccati in Patria”.
Questa però è una soluzione-tampone. Ma nel medio e lungo periodo cosa propone Coldiretti?
“Noi siamo fermi sulla richiesta della semplificazione dei voucher agricoli. Lo abbiamo rimarcato anche nelle proposte del Decreto Semplificazione lo scorso 7 luglio. L’introduzione dei voucher in forma semplificata andrebbe incontro alla richiesta di tanti connazionali che sono in cassa integrazione, sono senza sussidi o disoccupati. Costoro potrebbero venire a lavorare in agricoltura qualche mese, fintanto che non finisce l’emergenza. Però purtroppo davanti a questa nostra richiesta c’è stato un altro ‘No’ da parte del Governo e sindacarti. Noi, come Coldiretti, insisteremo su questa strada”.
Ci sono già state perdite dei raccolti per la carenza di manodopera straniera nelle campagne italiane?