Malattia da Oropouche, Andreoni: “In Italia solo casi importati”

Nel nostro Paese sono stati registrati quattro casi di arbovirosi da Oropouche, Interris.it ha intervistato l'esperto Massimo Andreoni, professore ordinario di Malattie Infettive presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata

Foto di Pete da Pixabay

Dopo la pandemia di Coronavirus, l’attenzione nei confronti delle malattie e della loro diffusione si è alzata. Negli ultimi tempi cresce la preoccupazione per la malattia da virus Oropouche, un’arbovirosi trasmessa agli esseri umani dalla puntura degli insetti. In Brasile due persone sono morte dopo aver contratto l’infezione e nel nostro Paese sono stati registrati quattro casi, tutti di soggetti rientrati da Paesi dell’America centrale e meridionale. E’ lì infatti che la malattia è maggiormente diffusa, mentre raggiunge altre parti del pianeta per “importazione”. “Dobbiamo imparare a diagnosticare patologie come questa”, spiega, senza toni allarmistici, a Interris.it l’esperto di malattie infettive e tropicali Massimo Andreoni, professore ordinario di Malattie Infettive presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, “con la tropicalizzazione del clima di questi ultimi anni, se il vettore (l’insetto, ndr) arriva in Italia e si adatta, allora anche questa può diventare endemica, come già successo con la dengue e la chikungunya”.

Casi in Sudamerica

Nei primi sette mesi di quest’anno in cinque Paesi sono sono stati registrati oltre 7.700 casi, si tratta di Brasile, Bolivia, Peru, Cuba e Colombia. Il Ministero della Salute brasiliano ha confermato i decessi di un paziente di 24 anni, morto a marzo, e di una donna, registrato una decina di giorni fa. Questa malattia infettiva tropicale trasmessa dall’uomo da un insetto simile a un moscerino o anche da una zanzara – non presenti in Europa – è originaria di questa parte del mondo. Infatti, è stata scoperta e isolata quasi settant’anni fa, nel 1955, nel laboratorio regionale di Trinidad, vicino al fiume Oropouche, a Trinidad e Tobago, da cui il nome. Quasi ottomila casi in mezzo anno devono far preoccupare?  “Dove questa malattia è prevalente ci sono focolai epidemici”, chiarisce Andreoni, “che però non raggiungono la numerosità dei casi di dengue, che erano arrivati a essere milioni”. “Comunque, l’aumento dei casi preoccupa perché pur non essendo particolarmente grave, più circola diffusa e più probabile che infetti soggetti fragili”, sottolinea l’esperto.

La globalizzazione delle malattie

Le malattie viaggiano, come le persone, i mezzi di trasporto e le merci. Così per effetto di questa “globalizzazione”, possono essere importate in altre parti del mondo e attecchire. “Se qualcuno si ammala in una zona dove la malattia è endemica e spostandosi magari porta con sé anche il vettore o quest’ultimo è presente nella mèta del malato, c’è il rischio che si generino casi autoctoni e la malattia diventi endemica anche lì”, esemplifica Andreoni. “Il moscerino che trasmette la malattia non è presente in Italia, nel nostro Paese abbiamo registrato solo casi da importazione”, rassicura l’accademico. Che però avverte: “Con tropicalizzazione di questi ultimi anni, se il vettore arriva in Italia e si adatta al nostro clima allora anche questa malattia, come già successo con la dengue e la chikungunya, può diventare endemica – però serve sempre un certo numero tra soggetti vettori e soggetti malati affinché questo meccanismo di realizzi”.

L’importanza della diagnosi

Finora in Italia sono stati diagnosticati quattro casi d’“importazione” in soggetti che, rientrati da Brasile e Cuba, non hanno avuto conseguenze gravi. “L’arbovirosi da Oropouche è una di quelle malattie che impareremo a conoscere, i medici devono prestare attenzione quando i pazienti presentano febbre particolarmente intensa, cefalea, forti dolori alle ossa e ai muscoli, dolore agli occhi. Sintomi fastidiosi da cui partire per effettuare la diagnosi”, osserva Andreoni. “Non esistono al momento né farmaci né un vaccino specifici contro questa malattia”, ricorda inoltre l’esperto, per cui la prevenzione è importante per evitare di essere punti e anche per proteggere i soggetti più fragili per i quali la malattia potrebbe manifestarsi in forma grave, come persone anziane, soggetti con morbosità croniche, bambini piccoli e donne in gravidanza.