La malattia mentale è ancora vissuta come una vergogna sociale. I disturbi della psiche comportano uno “stigma” che allontana dalla collettività, isola dalla comunità. Stefano Pallanti è professore associato di Psichiatria all’Università di Firenze. E docente di psichiatria e scienze del comportamento alla Stanford University negli Stati Uniti. “Lo stigma è implicito nella parola ‘mentale’ che ghettizza rispetto alle altre sofferenze del corpo. Oggi si parla più di disturbi della connettività. Dei diversi modi di funzionamento dei circuiti cerebrali. Di come sono collegate le diverse aree“. Ci sono barriere reali. “Per esempio chi prende certi psicofarmaci può avere difficoltà a guidare- evidenzia il professor Pallanti- Ma succede anche che le assicurazioni, scritto in piccolo, neghino rimborsi per queste malattie. O che in una causa di separazione uno dei partner scagli davanti al giudice l’accusa. ‘E in cura dallo psichiatra’. Dunque colpa. E non malattia spesso curabile come un’altra”.
Disturbo mentale
Depressione. Ansia. Disturbo ossessivo-compulsivo. Panico. Distimia. Anoressia. Schizofrenia. Ognuna con una propria diagnosi. E con una conseguente terapia. Più o meno efficace, come lo sono le terapie dei problemi fisici. Non sempre curano. Più spesso “trattano“. Contengono. L’Organizzazione mondiale della sanità ha raccomandato di parlare di guarigione. E di continuare la cura fino alla guarigione. Dunque fare diagnosi precise con prognosi precise, ove possibile. “C’è chi ha avuto un episodio di un disturbo mentale vent’anni fa- osserva il professor Pallanti-. E’ da considerare sempre malato? Ma tante altre malattie ritornano. A cominciare dall’influenza. Così, per tutti i pregiudizi diffusi, le persone aspettano di stare molto male per andare dallo psichiatra. E spesso, se non si parla di guarigione, si accontentano di un miglioramento. Si adattano a stare meno male. Ma non si tratta di disturbi come l’Alzheimer, privo di una possibile remissione. La gente non sa, per esempio, che la maggioranza dei tossicodipendenti, se curati, smette”.
Legge Basaglia
A più di quarant’anni dalla legge Basaglia e dall’abolizione dei manicomi in Italia, Rai3 ha riproposto ieri pomeriggio “L’Odissea” di Domenico Iannacone. Un viaggio spiazzante nel mondo della disabilità mentale. In cui si raccontano le vite di Paolo, Fabio, Claudia, Marina, Andrea. Gli attori affetti da disagio psichico che animano il Teatro Patologico di Roma diretto da Dario D’Ambrosi. Un viaggio nel viaggio. La storia di una rappresentazione teatrale che diviene metafora dell’uomo moderno. Costretto a combattere contro il destino avverso. Superando mille pericoli. E affrontando continue sfide.
Come Ulisse
Il travagliato viaggio di Ulisse si rispecchia nelle fatiche dei ragazzi. Oltre alle sfide personali legate alle difficoltà della loro condizione. Si sono trovati a subire le restrizioni e l’isolamento imposti dalla pandemia Covid-19. Nel film-documentario le vicende del racconto omerico s’intrecciano con le esistenze degli attori. Chiamati a rappresentarlo sulla scena. Mettendo a nudo le insicurezze. Gli sforzi. E le difficoltà di realizzare una rappresentazione così ambiziosa.
Confine
Attraverso il film-documentario, Domenico Iannacone accende i riflettori sull’esperienza di chi vive quotidianamente il dramma della malattia mentale. Raccontando lo scontro continuo tra fragilità e forza interiore. Tra sofferenza e speranza. Tra caduta e rinascita. In una suggestiva e illuminante riflessione su quanto in fondo sia labile il confine tra “normalità” e follia.