La testimonianza senza tempo della Madri costituenti. Da Ventotene alla Terza Commissione

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Le Madri della Costituzione sono le ventuno donne che all’Assemblea Costituente hanno contribuito a scrivere la Carta fondamentale su cui si fonda la democrazia in Italia. La loro vita è un’attualissima e imperitura testimonianza di sollecitudine sociale e impegno nella vita pubblica. Eliana Di Caro nell’omonimo libro (edizioni Sole 24 Ore) con la prefazione dello storico Emilio Gentile descrive l’Italia di otto decenni fa. Per illuminare quella attuale. Nel 1946 gli italiani scelsero la Repubblica. Soprattutto, la scelsero anche le italiane, che andarono per la prima volta alle urne per quelle storiche elezioni (dopo il turno delle amministrative a marzo). Tra i 556 parlamentari che scrissero la Costituzione c’erano ventuno donne, oggi dimenticate dai più. Il loro ruolo nell’Assemblea Costituente fu decisivo nel riconoscere i principi che sanciscono la parità nell’ambito della famiglia e del lavoro. E più in generale nel fare in modo che la società di questo Paese si aprisse alla modernità. Le loro vite – tra la Resistenza, l’attivismo politico, le lotte sindacali, l’impegno nella scuola – parlano da sole: per questo bisogna conoscerle. Ecco le vite vissute e convergenti di 21 donne che volevano realizzare, con la parità fra cittadine e cittadini,
la libertà e la dignità di ogni essere umano.

Madri della Costituzione

Paradigmatica delle Madri costituenti è la figura di Adele Bei. Nel 1928 Adele e il marito Domenico Ciufoli si trasferiscono a Marsiglia, quindi a Parigi. Lei di lì a poco matura la convinzione di voler partecipare pienamente alla lotta antifascista. Dal 1931 diventa uno dei “fenicotteri”. Ossia coloro che viaggiano sotto falso nome per portare in Italia informazioni e materiale di propaganda. Un ruolo pericolosissimo, quello del “corriere”. Per il quale spesso si privilegiano le donne perché meno riconoscibili. “Nel novembre del ‘33, però, mentre si trova a Roma Adele Bei viene identificata e arrestata- racconta Eliana Di Caro-. Non dice una parola sui compagni e la loro organizzazione. Nonostante botte, insulti, minacce e cinque mesi in una cella di isolamento”. Di fronte al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che cerca di fare leva sul senso di colpa del suo essere madre, ribatte senza paura: “Non preoccupatevi della mia famiglia, qualcuno provvederà. Pensate piuttosto ai milioni di bambini che soffrono la fame in Italia. Appunto perché sono madre, sento il dovere di lavorare per l’avvenire di queste creature. Per questo mi trovo di fronte a voi”.

Dirittura morale

Parole coraggiose e pesanti come la scure della pena che si abbatte su Adele Bei. E’ condannata a 18 anni di reclusione nel carcere di Perugia. Dove il suo esempio di intransigenza e dirittura morale conquista le altre detenute. Sono anni in cui studia e legge, di tutto. Dai classici russi a testi di economia politica e storia, fino a “Le vite di Plutarco. Il marito, alla fine del 1939 viene arrestato e poi, nel 1944, internato a Buchenwald: farà ritorno in Italia dopo la Liberazione in gravi condizioni di salute. Per Adele, dopo sette anni in carcere, nel giugno del ’41 è disposto il confino a Ventotene. Dove instaura un solido legame intellettuale e politico con Giuseppe Di Vittorio. Sarà lui una volta eletto segretario della Cgil a indicarla alla Consulta nazionale. Gli anni di segregazione nell’isola non sono facili per la mancanza di cibo (dimagrisce dieci chili) e per le condizioni generali. Vivono e dormono in camerate con 25 letti, l’igiene è approssimativa, l’acqua scarseggia. Con la caduta di Mussolini, anche i prigionieri di Ventotene sono liberi. Sbarcano a Formia, da dove Adele raggiunge Roma: è il 18 agosto 1943. Contatta le brigate partigiane del Lazio e riprende la sua battaglia. Con ancora maggior intensità. 

Urgenza di ricostruire

E’ tra le protagoniste della Resistenza romana. “Adele Bei organizza e coordina l’azione dei Gruppi di difesa delle donne (Gdd). Reclutando e motivando tante militanti di ogni ceto e orientamento nell’azione quotidiana contro i nazisti. Alla fine del conflitto le verranno attribuiti il grado di capitano e la croce di guerra al valor militare– spiega Eliana Di Caro-. Centro logistico è la casa della partigiana Carla Capponi. Lì si tengono le riunioni. Si definiscono le strategie. Si decidono gli interventi. Si individuano altre resistenti da coinvolgere nella lotta. Pian piano nascono diverse sedi clandestine nei vari quartieri, il movimento cresce. Nell’aprile del ’44 scatta il drammatico assalto ai forni, con l’assassinio di Caterina Martinelli. Uccisa da un tedesco con sua figlia in braccio e una pagnotta ancora in mano. Finalmente, il 4 giugno, gli Alleati arrivano in una Roma che è l’ombra di se stessa”. Adele Bei non perde un minuto. C’è da ricostruire, e capire come trasfondere i valori della Resistenza nello Stato che verrà. C’è il lavoro, che per lei è la priorità. E ci sono le donne che non possono certo tornare alla condizione preesistente sotto il regime fascista. E’ questo per lei il doppio binario di riferimento. Nell’autunno del ’44 partecipa alla fondazione dell’Unione donne italiane (Udi). Nel cui primo congresso sarà nominata dirigente. Nel ’45 entra a far parte della Consulta, unica fra le 13 rappresentanti a essere indicata da un organismo non politico.

Assistenza

Eletta alla Costituente le viene conferito l’incarico di segretaria della Terza Commissione per l’esame dei disegni di legge. La voce di Adele Bei si farà sentire nel corso del biennio. Sia cofirmando emendamenti proposti dalle colleghe. Sia nella seduta del 18 febbraio 1947. Nell’ambito della discussione sulle dichiarazioni del presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. Prende la parola contro la soppressione del ministero dell’assistenza post-bellica. Sostenendo che l’emergenza non si è certo esaurita. E sottolineando quanto di buono e utile era stato fatto sino a quel momento. Sul fronte delle colonie estive, delle cooperative per il lavoro di reduci e partigiani. Delle scuole professionali, delle mense popolari. “Vogliamo assistere il popolo – osserva Adele Bei – perché vogliamo riportare la serenità nella famiglia, e la serenità non si porta solo a parole, si porta con l’assistenza fattiva”.

Giacomo Galeazzi: