In questo periodo di emergenza sanitaria e di lockdown, sono stati chiusi tutti i poli di istruzione, tra questi anche le università. É venuto così a mancare il senso di comunità e di aggregazione sociale tipico di questi ambienti. Interris.it ha incontrato Martina Occhipinti, presidente nazionale della F.U.C.I., la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, che riunisce gruppi di studenti cattolici di tutta Italia. Da 120 anni rappresenta una guida nella formazione universitaria, politica, civile e spirituale dei giovani cattolici che in essa hanno trovato la propria vocazione e un modo per di essere originale per rapportarsi al mondo e avere il coraggio di essere cristiani in una realtà mutevole e ricca di diversità.
Come ha affrontato la F.U.C.I. questo periodo? Come è stata vicino a tutti gli studenti che si riconoscono in questa grande associazione?
“Da una prospettiva fenomenica, la domanda è se l’aggregazione sociale esaurisce una vita universitaria esistente in pienezza. Da un lato, perché la comunità universitaria è, de facto e per lo più, un ricordo nelle forme classiche e dall’altro perché si ha vita comune solo nella comunione. Per i gruppi F.U.C.I., che sono il cuore pulsante della Federazione, vivere l’Università significa viverla come comunità in quanto ecclesiale, come ambiente umano: identità e intimità di una natura condivisa e un cooperare. Sotto un certo punto di vista è sempre virtuale. La possibilità di esplicarla nell’incontro fisico e personale, è Grazia.
Il deflagrare della pandemia, ha comportato un esercizio di coscientizzazione e memoria per i gruppi mentre è emersa la dimensione supportiva del livello nazionale. L’ascolto reciproco è stato un dono: i fucini sono generosi e audaci, hanno una tempra forte. Si pensi che, quando tutti tematizzavano la sofferenza e il dolore, gruppi F.U.C.I., come quelli di Bergamo, Brescia e Crema avevano parole buone, di vita”.
Ci sono state delle attività svolte in questo periodo? Cosa prevedete per i prossimi mesi?
“I fucini hanno colto la rilevanza del momento per riempire i granai e proiettarsi in avanti.
Da un punto di vista formativo, i gruppi si sono riuniti e sono giunti a fare emergere quali nodi cruciali la spiritualità ecclesiale, la teologia della sofferenza, la sapienzialità della scelta universitaria. La prospettiva digitale ha fatto scoprire la rete come luogo, scompaginando i perimetri fisici: anche questa è stata letta come opportunità.
Infatti, i gruppi hanno anche rinnovato il loro sì alla Federazione, intrecciando ulteriori relazioni tra loro. Questo percorso ha trovato culmine all’interno della prima Assemblea Federale telematica della F.U.C.I., organo democratico in cui sono stati eletti i nuovi rappresentanti e decise le linee programmatiche e di indirizzo per il prossimo anno accademico”.
Cosa vuol dire assumersi un impegno associativo oggi giorno? Quanto pesa il senso di responsabilità nell’essere presidente nazionale?
“È un impegno che significa (dà significato e direzione) ogni cosa. Scriveva nel suo diario Vittorino Colombo ‘Cosa mi verrà richiesto?’ mi chiedevo. Sarò all’altezza? Non sprecherò per superbia, incapacità, inesperienza quanto mi è stato dato? Da queste parole emerge che la responsabilità si esercita e si impara ad esercitare. Perché si possa sia dare ragioni, obiettivamente, sia rendere conto, intersoggettivamente (Huber), occorre avere un solido baricentro in Cristo perché il fondamento dell’agire coincida con l’adesione alla verità. Nel caso della F.U.C.I., poi, essa è composita e condivisa: esiste un nucleo di presidenza corrispondente alle caratteristiche sopracitate del gruppo F.U.C.I”.
L’associazionismo e la F.U.C.I. nello specifico quanto è importante nella società odierna e cosa rappresenta per i ragazzi?
“Mi permetterà il gioco di parole, l’associazionismo e la F.U.C.I. sono importanti nella misura in cui non sono irrilevanti. Devono andare alla radice del loro compito storico e avere il coraggio di abbracciarlo. Quella universitaria è la stagione dello spirito. Ne abbiamo tutti sentore nell’esperire libertà prima mai provate. Negli anni universitari si costruisce un equilibrio, un’armonia tra cultura e saperi e tra cultura e fede: studio della fede e nella fede. Questa reciprocità prova nel fuoco la fede perché sia riflessa e la cultura perché sia critica. Si tratta di un’elaborazione del pensiero che si esercita nell’umanizzare gli studi, nel ricomprendervi una spiritualità essenziale all’intelligenza, nel dialogo e nella mediazione con altre sensibilità culturali e interessi di ricerca che integrano la formazione degli studenti, di una coscienza sapienziale, perché intellettuale e umana. Si tratta di un apostolato che si fa custode di una riconciliazione anche politica: pensare politicamente è in primo luogo comunanza. Si tratta di un compito cruciale perché si tratta di insistere su terreni in cui si radicano le scelte degli adulti di domani”.
Per il prossimo Settembre si prospetta un drastico calo di iscrizioni all’università, si può parlare di allarme sociale?
“Sarà un trauma sociale dal quale potremmo non uscire indenni. È opportuno, però, un capovolgimento d’ottica: l’Università – in questa fase – ha il compito di raggiungere gli studenti: non può non essere capace di andarli a trovare. Dovrà spalancare porte prima non pensate. L’Università dovrà ripensarsi: dovrà avere come obiettivi ricerca, orientamento, formazione, interdisciplinarietà, internazionalizzazione e dovrà perseguire finalità di carattere culturale, pedagogico, accademico”.