È giunta in redazione una lettera di una madre preoccupata per l’affidamento dei suoi figli minori; la signora, italiana, ha sposato un africano, residente stabilmente in Italia, dal quale ha avuto due figli, oggi entrambi minori. Dopo cinque anni l’unione si è rotta ed ella ha attivato le procedure legali di separazione chiedendo l’affidamento esclusivo dei due figli, timorosa che il padre possa attuare le minacce di portare con sé i figli all’estero e ritenendo che lo stesso non sia all’altezza di gestire i due bambini.
La vicenda legale è affidata agli organi di giustizia ed al patrocinio degli avvocati per cui non mi è possibile esprimere pareri nel caso specifico ma ritengo utile affrontare in generale l’argomento posto dalla lettera per esprimere qualche considerazione utile per i lettori.
Partiamo da un dato ineludibile: i figli sono di entrambi i coniugi che ne sono i loro genitori ed il punto di vista dei figli è molto diverso da quello dei due coniugi in lite; prima di dare per definitiva la rottura del matrimonio ed affrontare la gestione della sua cessazione, occorre procedere ad una serena riflessione, non solo e non tanto sulle proprie responsabilità, quanto sulle proprie capacità, disponibilità ed opportunità a recuperare l’unione familiare. Sembra una banalità ma è il momento più importante della crisi dell’unione familiare e molto spesso viene sottovalutato dai coniugi che si arroccano nelle proprie individuali ragioni e nella colpevolizzazione dell’altro: l’incomunicabilità che ne deriva diventa insormontabile ed il rapporto si dissolve, lasciando lo spazio ai problemi che ne derivano non solo in ordine alla crescita dei figli, i quali non si vogliono separare dai genitori ed ai quali non importano le ragioni dell’uno o dell’altro ma osservano solo lo sforzo reciproco di comprensione e di avvicinamento, principalmente nel loro interesse. Certo, alla morte terrena, inevitabile, ci si abitua e si vive nella speranza della resurrezione; ma la morte della famiglia, della propria famiglia, volontariamente decisa, crea un vuoto che molto difficilmente potrà essere colmato ed ancora più difficilmente i figli potranno abituarsi a farne a meno.
La legge, che sovviene per dirimere e risolvere i contrasti, pone come primo compito del giudice quello di tentare la riconciliazione dei coniugi: è divenuto, purtroppo, poco meno di una banale formalità, forse anche desueta ed affidata ad un timbro apposto sul verbale di comparizione. Sarebbe invece molto più utile valorizzare al massimo questo tentativo, anche con l’ausilio di esperti delle relazioni sociali, per cercare di appianare i contrasti che possono verificarsi specialmente in ragazzi di giovane età, spaventati dal ruolo genitoriale.
Ciò detto, e precisato che molto difficilmente uno dei due genitori può ergersi a giudice piuttosto che guida dell’altro, va considerato che la legge ha da tempo risolto il problema della partecipazione di entrambi i coniugi all’esercizio del ruolo genitoriale, istituendo l’affidamento condiviso che permane anche nell’ipotesi in cui il collocamento fisico del minore sia stabilito presso uno solo dei genitori; ipotesi diversa è quella dell’affidamento congiunto o paritetico, in cui il tempo di permanenza del figlio presso ciascun genitore è esattamente paritario ma con modalità alternate. Questa ipotesi si verifica unicamente quando le verifiche, condotte dagli organi di giustizia, sulle capacità di accoglienza e di gestione da parte di entrambi i genitori diano esito positivo della tutela dell’interesse dei figli; diversamente, il collocamento fisico avviene presso uno dei due, che dia maggiori garanzie di affidabilità genitoriale, anche se l’affidamento viene condiviso (non quindi nel tempo trascorso ma nelle responsabilità consequenziali, ad esempio in ordine ai costi, alle spese, alle scelte, alle decisioni) e viene stabilito un calendario di visite che dia garanzia di frequentazione dei minori anche da parte del genitore con cui non coabitano.
Tornando alla ipotesi proposta dalla gentile lettrice, ella va rassicurata che l’affidamento condiviso non comporta necessariamente la permanenza dei figli presso l’altro genitore ma questo argomento verrà disciplinato dal calendario di visite che potrà essere stilato in relazione alle effettive garanzie di accoglienza che l’altro genitore potrà fornire; analogamente, il Giudice stabilirà se sussistono condizioni di sicurezza, per i bambini, per concedere il pernottamento, come anche per le ore trascorse con il padre ed eventualmente potrà disporre le cosiddette visite protette presso centri di accoglienza, dedicati alla visita dei figli da parte di genitori non ritenuti idonei all’esercizio da soli del diritto e dovere di visita. Il Giudice potrà anche disporre il ritiro dei documenti di espatrio dei minori (ed anche del padre) ove le particolari condizioni lo richiedano.
Ciò che però non va mai dimenticato da alcuno dei due genitori è che l’interesse primario da proteggere è quello dei figli minori i quali, specialmente se in età scolare o prescolare, non hanno alcuna capacità di discernimento ed in presenza di forti contrasti tra i genitori (come pure in caso di evidenti incapacità dell’uno piuttosto che di entrambi) l’autorità giudiziaria ha il potere ed il dovere di intervenire a salvaguardare i bambini.
Il miglior consiglio che si possa dare è allora quello di pensarci bene prima di rompere la famiglia e di considerare la separazione davvero come l’ultima spiaggia.