L’istruzione come argine al Covid. Intervista a padre La Manna (rettore Istituto Massimo)

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E’ l’istruzione il collante per restare una comunità nei tempi difficili della pandemia sanitaria e sociale. “Le crisi possono privare le persone dei loro beni materiali. Ma il proprio bagaglio culturale, umano e spirituale, nessuno e nulla può toglierlo“, afferma a Interris.it padre Giovanni La Manna, rettore dell’Istituto Massimo a Roma, per 11 anni responsabile del Centro Astalli (il Servizio dei gesuiti per i rifugiati).

Istruzione e volontariato in pandemia

Evidenzia a Interris.it il rettore dell’Istituto Massimo: “Grazie a Dio, in Italia, c’è una grande realtà di volontariato che ogni giorno, nel silenzio, si dona in varie forme di servizio. Un’opera incessante che risponde ai bisogni concreti delle persone. Nei momenti di maggiore difficoltà continuano ad esserci tante persone che sperimentano che la loro disponibilità e generosità può crescere. E concretamente fanno di più per gli altri. Questo ci fa crescere come comunità. E ci aiuta a comprendere che nessuno va lasciato solo. La sofferenza e il bisogno dell’altro, sono anche la mia sofferenza e bisogno”.L’istruzione può essere un argine culturale ai danni sociali della pandemia?”

“L’istruzione è l’opportunità che andrebbe sempre garantita a tutti i ragazzi. Soprattutto nei contesti più difficili. Consentire ad ogni ragazzo o ragazza di costruirsi un bagaglio culturale, umano e spirituale, significa garantire ad ogni persona la dignità. Quella dignità che assicura la possibilità di riconoscere il proprio bene e quello della comunità alla quale si appartiene. Senza cultura, umanità e spiritualità, è difficile costruire una società di persone oneste, giuste. E capaci di vivere i valori e i diritti di cui tanto si parla.La seconda ondata della pandemia, vista dalla prima linea della formazione dei giovani, quali difficoltà e sfide pone?

“La scuola ha ripreso a settembre ed ha restituito ai ragazzi e ragazze di ritornare al loro mondo relazionale quotidiano. Gli alunni sono stati contenti di ritornare in classe, di potersi vedere di persona, di riprendere un ritmo di vita che è stato bruscamente interrotto dalla pandemia. L’essere ritornati nuovamente alla didattica a distanza, è stato un passo indietro che ha inciso sullo stato d’animo dei ragazzi e delle ragazze e sulla loro speranza”.Perché?

“Il compito prioritario della scuola, in questo momento, è tenere viva la speranza dei ragazzi e delle ragazze. Sostenendoli nello sforzo che comporta la didattica digitale integrata. La scuola è chiamata a testimoniare concretamente una vicinanza umana agli alunni, soprattutto ai più fragili. Gli alunni sono provati dalla situazione, ma hanno anche una grande capacità di adattamento”.Può farci un esempio?

In questo momento gli alunni sono maggiormente responsabili e protagonisti del loro percorso di crescita culturale, umana e spirituale. Per questo le famiglie e la scuola sono chiamate ad un maggiore sforzo e collaborazione. Gli alunni sono provati, ma bisognerà aiutarli a rielaborare quanto vissuto con la pandemia.Papa Francesco ha ribadito che nessuno si salva da solo. Nell’emergenza sanitaria si diventa più egoisti o più solidali?

“La tentazione di chiudersi su se stessi, diventa forte quando si è in difficoltà, soprattutto se si vive soli. Nelle situazioni critiche, i bambini, le donne, i poveri, le persone emarginate, pagano sempre di più. Papa Francesco ci ricorda che è importante sentirci e riconoscerci tutti parte di un’unica comunità. Dove nessuno rimane da solo e ognuno riceve secondo il suo bisogno. L’egoismo è una reazione umana che si genera e continua a generarsi”.A cosa è dovuta?

“Proprio perché facciamo fatica a sentirci parte della stessa Comunità e che siamo fratelli e sorelle. Proprio sapendo che ci sono persone in difficoltà, è importante rimanere aperti agli altri e testimoniarlo concretamente”.Quali disagi stanno affrontando gli educatori come lei in questa condizione di generalizzata emergenza?

“Gli educatori, come gli alunni, pagano lo stress che genera la pandemia, dovendo rinunciare alla relazione personale. Gli alunni non sono contenitori da riempire con nozioni. La scuola e gli educatori non sono solo chiamati a trasmettere nozioni. Gli educatori hanno una grande responsabilità che è quella di testimoniare l’importanza di crescere culturalmente, umanamente e spiritualmente e, questo si realizza in una relazione di reciproco rispetto e stima”.Può farci un esempio?

“Per noi la relazione umana è fondamentale per quella ‘cura personalis’ che desideriamo realizzare per i nostri alunni. Crescere come comunità sentendosene parte attiva, ha bisogno di presenza. In questo momento la scuola e gli educatori pagano l’assenza di una visione lungimirante dell’istruzione. Purtroppo, la pandemia ha attivato solo risposte a bisogni concreti. Banchi, personale. Ma manca ancora e questo è grave, un progetto di scuola degno di un Paese civile”.Come è cambiata in pandemia l’attività dei centri di assistenza ai poveri?

“Anche i centri di assistenza ai poveri rispettano le norme per la prevenzione del Covid, questo ha modificato il modo di procedere. E anche per queste il limite è l’aver dovuto limitare le relazioni. Penso alle mense che hanno dovuto sostituire la consueta erogazione dei pasti. Con la distribuzione di pasti con dei sacchetti contenenti il cibo. Diversi servizi credo risentano della situazione della pandemia”. Cosa si può fare?

“Sicuramente la vita dei centri di accoglienza è stata modificata. Così come tutti quei servizi rivolti alle persone. Rimane forte l’impegno dei tanti volontari che sono rimasti al servizio delle persone in difficoltà. Nel contesto della pandemia, c’è bisogno di un maggiore impegno del governo. A sostegno di quelle realtà che si ritrovano a sostenere un maggior numero di persone in difficoltà”.

Giacomo Galeazzi: