“L’incertezza da pandemia e gli equilibri alterati del pianeta”. Intervista alla suora degli ultimi

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“I nostri modelli di sviluppo vanno messi in discussione. Perché di fronte agli effetti del coronavirus siamo caduti nell’incertezza. Dopo aver abusato delle risorse naturali ed alterato gli equilibri del pianeta“, spiega a Interris.it suor Maria Trigila, impegnata in prima linea a Catania nell’assistenza dei poveri e nella formazione dei giovani.

Pandemia sociale

Educatrice salesiana e comunicatrice. Sempre al sevizio degli ultimi, più che mai in tempo di pandemia.  Suor Maria Trigila è stata la prima religiosa ad aver conseguito in Italia il tesserino di giornalista professionista. Siciliana di Caltagirone, città natale di don Luigi Sturzo. Dopo la laurea in lettere e due specializzazioni (Comunicazione sociale e Teologia) ha diretto la comunicazione dell’Istituto Maria Ausiliatrice. Ha insegnato giornalismo all’Università Salesiana Auxilum di Roma. Ora si dedica all’insegnamento e alle emergenze sociali nei quartieri poveri di Catania.Non trova che in pandemia anche il linguaggio divenuto molto tecnico possa avere allontanato la gente dai palazzi delle istituzioni?

“C’è un legame oggi, in particolare, tra linguaggio e stati d’animo. Ossia tra informazione, anche istituzionale, e persona. Il linguaggio tecnico, a mio avviso, ha esaminato le cause. E il perché del contagio. Invece il linguaggio della gente ha messo a nudo i sentimenti. Le disuguaglianze. La solidarietà. Facendoci riflettere che il bene comune dipende sì dai governanti. Ma nessuno di noi è esonerato. Non è quindi il linguaggio tecnico che allontana la gente comune dalle istituzioni. Ma la risposta sollecita, solidale, fraterna, premurosa, concreta che arriva, se arriva, a rilento. Questo provoca il disagio e la perdita di fiducia”.

EPA/MAK REMISSA

Quando si parla di lockdown per esempio si intendono nel mondo provvedimenti tra loro molto diversi. Tra base e vertice della piramide la lontananza comunicativa è cresciuta nell’emergenza Covid?

“Sì dal versante economico. Perché si è visto il lockdown come ostacolo alla sopravvivenza. Soprattutto per i poveri. Per chi non ha un lavoro a tempo indeterminato. Per chi non ha un pezzo di pane. E che si ciba con i rifiuti che gli altri gettano nella spazzatura. La raccolta differenziata è stata utile ai poveri”.Può farci un esempio?

“Il lockdown ha marcato la soglia della povertà. La lontananza comunicativa ha fatto emergere che parliamo e discutiamo di modelli di sviluppo. Ma concretamente i nostri modelli di sviluppo non hanno assicurato a tutta l’umanità di poter arginare questa sorta di apocalisse. Stiamo toccando con mano cosa significhi ‘cultura dello scarto’. Perché non a tutti sono assicurati uguali livelli di protezione. La comunicazione tra base e vertice della piramide dovrebbe partire da un’economia a servizio della società”.In pandemia si è tutti travolti dalla stessa bufera, ma non si è tutti sulla stessa barca. Secondo lei nel mondo politico e nelle istituzioni c’è sufficiente coscienza di quanto la crisi Covid abbia accresciuto le disparità sociali?

“Non ne sono molto sicura. Perché il banco di prova sono state le soluzioni che le istituzioni hanno proposto. Sono state emesse misure restrittive per cautelare la salute fisica. Ma di pari passo si dovevano pianificare delle modalità per assicurare un boccone di pane a chi andava a fare la spesa nei cassonetti dell’indifferenziata”.A cosa si riferisce?

Quest’aspetto della ‘pandemia sociale’ è stato silenziosamente consegnato alle associazioni caritative. Per esempio la comunità di sant’Egidio si è fatta carico di sei mila famiglie di un quartiere povero di Catania. Un gruppo di religiose si è organizzato per insegnare il mestiere dell’arte del taglio e cucito nei quartieri in cui c’è una consistente presenza di giovani donne. Sono piccole azioni. Ma che sono servite ad attenzionare il problema di disparità sociale. Quindi sì, il divario è cresciuto. Ma non perdiamo la speranza nel sostenere le scelte di quanti si adoperano a promuovere il bene comune”.I mass media si pongono la questione della comprensibilità per il grande pubblico dei meccanismi che regolano le dinamiche di potere in un momento di emergenza collettiva?

“La pandemia ci ha mostrato l’invasione del reale nel digitale. Ed è stato l’unico spazio possibile per la ‘relazione’ umana. E anche educativa. Oltreché di condivisione in tempo reale. I mass media hanno parlato delle dinamiche del potere. Attraverso le esperienze raccontate nello svolgimento della pandemia”.Cosa occorre fare per orientarsi?

“E’ utile una lettura trasversale. A partire dal confronto degli articoli pubblicati su varie testate. In questo lungo periodo è possibile cogliere, a mio avviso, le difficoltà generate innanzitutto dai divari tecnologici per i non nativi digitali”.

E nella formazione dei giovani?

“Sul fronte scolastico la questione della didattica e della formazione ha messo il dito nella piaga. E’ emersa la difficoltà di superare le disparità del sistema scolastico. Soprattutto nel dibattito ancora in atto tra scuola pubblica e paritaria. Le religiose ed i religiosi dicono che ai giovani bisogna dare di più”.

Perché?

“Si tratta di un dato emerso dalla consapevolezza delle disparità sociali e territoriali. Tutto ciò è venuto alla luce con la didattica a distanza e con la didattica digitale integrata. Si è accresciuta la curva della deprivazione culturale. E la conseguente crescita della povertà”.

Cosa manca al racconto mediatico della pandemia?

“La necessità di una maggiore coscienza nei confronti dei valori della vita. Quest’ultimo aspetto si potrebbe considerare come un punto di forza per contrastare la cultura dello scarto. Papa Francesco richiama l’attenzione sullo scarto esistenziale e sociale che riguarda ogni persona. Nessuna scelta può sacrificare la persona se questa vive nel rispetto della dignità di tutti coloro che compongono la comunità”.

 

Giacomo Galeazzi: