L’esigenza della fraternità nei tempi bui e la maturità richiesta in ogni percorso

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Sos fraternità. “Se la persona rimane aperta alla fraternità. poi nei momenti bui non si troverà da sola ad affrontarli”, afferma a Interris.it la psicologa e psicoterapeuta Chiara D’Urbano. Perito dei Tribunali del Vicariato di Roma, Chiara D’Urbano collabora nella ricerca e nella docenza con l’istituto di studi superiori sulla donna dell’Ateneo pontificio Regina Apostolorum.

L’esigenza della fraternità

Per il sito della casa editrice Città Nuova Chiara d’Urbano segue una rubrica on line sulla vita in comune e cura un blog sulla vita consacrata. Sul tema della maturità affettiva è intervenuto Francesco rispondendo nel libro ‘La forza della vocazione’ alle domande del clarettiano Fernando Prado. Dice il Papa: “Nella formazione dobbiamo curare molto la maturità umana e affettiva.  Dobbiamo discernere con serietà e ascoltare anche la voce dell’esperienza che ha la Chiesa. Quando non si cura il discernimento in tutto questo, i problemi crescono. Capita che forse al momento non siano evidenti, ma si manifestano in seguito”.Come si affrontano i problemi più gravosi in in momento di difficoltà generalizzata?

“I colloqui personali, i dialoghi a due rappresentano, di solito, il contesto più delicato e adatto nel quale alcuni osservazioni meno piacevoli dovrebbero trovare un’accoglienza migliore. È chiaro, però, che occorre fiducia reciproca perché si possa entrare nella sfera personale dell’altro in un modo che non suoni giudicante, ma affettuoso anche se critico. E la fiducia richiede tempo e pazienza. In ogni caso, non si dovrebbe mai mettere nessuno in condizioni di sentirsi ferito da un qualche commento meno benevolo, specialmente in pubblico. In molte comunità, comunque, c’è anche la possibilità diun momento strutturato di verifica comunitaria, e questo appuntamento può aiutare nella comunicazione reciproca”.A cosa è dovuta questa povertà di relazioni interpersonali?

“In genere la disponibilità al confronto, a lasciarsi interrogare dalla vita comunitaria, e il desiderio di cambiare anche attraverso e grazie agli altri, emerge fin dalla formazione iniziale. È importante, perciò, accompagnare chi intraprende un percorso in una progressiva apertura al formatore/formatrice e agli altri anche rispetto al sapersi mettere in discussione. Se questo non avviene, è improbabile che poi la persona si renda disponibile a ciò, negli anni a seguire.  Sono comunque fratelli e sorelle da accogliere ed amare, in modo particolare, senza mai perdere la speranza di un miglioramento possibile”.Tra le agenzie educative che contribuiscono alla crisi formativa delle nuove generazioni ci sono la scuola, la famiglia e anche la comunità. Come si può ovviare a ciò?

“E’ importante valutare e accompagnare fin dai primi anni formativi l’apertura di chi intraprende un percorso vocazionale,e la disponibilità al confronto, segni significativi di una necessaria maturità di base. Solo se è presente tale capacità e il desiderio di crescere insieme nella vita comunitaria, la persona rimarrà aperta alla fraternità. E nei momenti bui non si troverà da sola ad affrontarli”.Come si discerne la validità di un percorso personale di fede? 

“Dio mette nel cuore un’intuizione, la persona sente muovere qualcosa dentro di sé e inizia ad immaginare e comprendere che forse una strada si sta delineando per lei, la Chiesa, attraverso i suoi formatori e formatrici, valuta poi l’autenticità di quel vago sentire. La vocazione, allora, in questo senso, è comunitaria”.Anche con i vescovi della Cei, con cui si è intrattenuto in un dialogo a porte chiuse di circa tre ore in occasione della 71° assemblea generale, Francesco ha affrontato la delicata questione dell’ammissione di ragazzi omosessuali nei seminari. Lei segue incontri formativi e percorsi di psicoterapia per seminaristi, sacerdoti, religiosi e religiose. Qual è il modo di procedere? 

“Vogliamo qui prendere in considerazione un aspetto specifico della persona e della valutazione iniziale: il suo orientamento sessuale. Oggi questa dimensione, quando intercetta l’omosessualità di un candidato, inizia a ricevere la giusta considerazione. Mi muovo in punta di piedi in quanto non si tratta (solo) di fare teoria, ma di entrare dentro storie, volti, sofferenze, speranze e desideri di persone concrete. Credo che tale punto di partenza sia fondamentale. L’attività clinica in questo è stata ed è maestra di vita per me. Incontrare occhi, corpi, vicende che hanno un nome, Marco, Francesca, Luigi, Rosanna, Paolo…mi ha ‘costretta’ ad approfondire l’argomento vocazione e omosessualità, scendendo all’interno dell’esistenza personale di queste persone, senza presunzione. Credo, inoltre, che una riflessione onesta si possa fare se i toni rimangono pacati e non ci si mette ‘pro’ o ‘contro'”.Quattro anni fa un documento del Dicastero del Clero (intitolato “Il Dono della vocazione presbiterale”). Quali sono i retropensieri?

“Sono i retropensieri che spesso fanno da sfondo rispetto alla domanda se può un omosessuale realizzare compiutamente una vocazione sacerdotale o a vita religiosa. I dubbi sono legati ad alcune convinzioni più o meno tacite: gli omosessuali sono sostanzialmente incontinenti; gli omosessuali creano scompiglio dove si trovano. L’omosessualità, d’accordo, magari non è proprio una patologia, ma non è neppure un buon indice di maturità, il che vuol dire che prima o poi la persona verrà meno ai suoi impegni vocazionali”.Secondo il Papa quando non si cura il discernimento in tutto questo, i problemi crescono. E così?

“Sì. Chiarisco subito che tutto ciò che riguarda la sessualità umana, come anche l’affettività e le emozioni, rappresentano aspetti nucleari, cioè molto significativi della persona umana, stanno al cuore del suo modo di vedere se stessa e gli altri, di voler bene, di spendersi per una causa. Dunque l’orientamento sessuale è una dimensione rilevante dell’essere umano che non può essere banalmente bypassata, come se una cosa valesse l’altra”.Qual è il parallelo con la vita matrimoniale?

“Ritornando a quanto si diceva, sono tre gli interlocutori di una vocazione alla vita sacerdotale e religiosa (ma anche di coppia), la Chiesa, perciò, cosa dovrà valutare riguardo ad una vocazione e in particolare qualora si trovi di fronte alla domanda di un giovane che vuole entrare in seminario o in comunità, oppure condivide al suo formatore/formatrice di avere un orientamento omosessuale? Il tema è ampio e complesso, condividerò, quindi, solo degli spunti. La vocazione è una cosa seria ed esigente, e la crisi numerica di preti e consacrati non dovrebbe far abbassare la qualità della valutazione per un percorso bello e impegnativo. In passato le vocazioni ricevevano un vaglio molto semplificato e semplicistico che oggi sarebbe improponibile”.Può farci un esempio?

“La struttura umana della persona che riceve la grazia di una chiamata finalmente viene sempre più considerata negli ambienti formativi, in vista non di un giudizio colpevolizzante, del tipo “non ce l’hai fatta!”. Ma in vista del benessere integrale della persona, e della comunità di vita e di servizio in cui ella andrà ad inserirsi. In altre parole: la vocazione ha sempre e comunque una valenza pubblica, perfino quando fosse di tipo eremitico, in quanto la persona, attraverso l’ordinazione o la professione, si dona alla Chiesa e diventa testimone credibile e significativa della Parola per molti altri. La maturità, se non attuale, almeno potenziale, è pertanto, parte integrante di una valutazione inziale. Ritengo che l’orientamento omosessuale possa essere letto e ‘compreso’ solo all’interno di questa cornice più ampia che attiene all’identità della persona, alla sua capacità progettuale, alle sue motivazioni (quante “false” motivazioni in una vocazione!), e alle sue risorse interpersonali, come ci direbbe il DSM-5, l’ultimo Manuale Diagnostico. Presa in se stessa l’omosessualità non può costituire il criterio unico e univoco di discernimento”.A cosa si riferisce?

“La scienza – con cui è vitale dialogare per non parlarsi addosso – ci dice che non si può partire dal dato che l’omosessuale sia un immaturo. Però è chiaro che la persona omosessuale può essere immatura, come può esserlo quella eterosessuale, e può avere motivazioni scorrette per fare una scelta vocazionale. Ecco che lo sguardo dovrà quindi allargarsi attentamente su altro: la capacità di continenza, la gestione di impulsi e passioni, la possibilità di amare in modo libero e generoso (non dipendente, né narcisistico, né conflittuale), il non attaccamento al denaro e al potere, la generosità…e molto altro ancora. Chiedo scusa se per fare sintesi qualcosa si perde o sembra trattata all’ingrosso”.E’ questione di approccio alla materia?

“Ridurre tutta la valutazione ad un solo dato considerato a priori credo tradisca la libertà di Dio di chiamare chi vuole, tradisce la grandezza dell’essere umano che sa trascendere sé e i suoi limiti per donare la vita per qualcosa di più grande, e tradisce perfino la vocazione stessa che non è per ‘i migliori’, ma per i chiamati (con tutto ciò che abbiamo già detto riguardo al significato di questa parola). L’orientamento omosessuale, quindi, per concludere, va contestualizzato seriamente – cioè non banalizzandolo o sottovalutandolo – ma riconoscendo che l’accompagnamento è un’arte complessa che va adattata alla persona, a quella persona, quella storia. I formatori e le formatrici devono essere scelti e ben preparati e poiché nessuno può avere apertura e competenza su tutto, chiedere, dove occorra, un aiuto o un parere esterno può rappresentare un segno di grande maturità”.

Giacomo Galeazzi: