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Le quattro incognite economiche del Coronavirus

Decreti, imprese, bonus ed Europa: i nodi da sciogliere in vista della Fase 2

C’è un universo intero che orbita attorno al coronavirus. Una pandemia che ha radicalmente cambiato il modus vivendi della società occidentale, l’unica realmente estranea, almeno in tempi recenti, a colpi di martello di questo tipo. Difficile pensare di assorbire tutto senza effetti collaterali, in primis da un punto di vista economico. E, del resto, è proprio il contraccolpo su Pil, consumi, investimenti e tutto il resto che ha fin qui tenuto banco, quasi quanto il comprendere le motivazioni dell’incredibile e tragica escalation in termini di vite perdute avuta dal Covid-19. E se, sul piano sanitario, il tutto è finito nelle mani dei medici, giustamente considerati la vera avanguardia nella lotta alla pandemia, sul piano della ripresa (e della quantificazione dei costi), la questione è stata ben più dibattuta. Tanti interventi, anche autorevoli, per cercare di capire cosa attenderà l’Italia una volta ripartiti e quale sarà il destino dei lavoratori che il coronavirus ha messo in cassa integrazione. Nessun mantra, probabilmente perché non c’è stato modo di crearne uno. Ma di sicuro una domanda, connessa alle misure adottate fin qui dal governo: quanto finirà nelle tasche degli italiani bloccati, lavorativamente parlando, dall’emergenza?

Misure disposte

Finora stabilirlo con esattezza non è stato possibile. Il governo italiano ha tentato di giocarsi la carta dello stanziamento dei fondi affidando ai comuni il compito di ripartirli in base alle necessità dei residenti: 4,3 miliardi, più 400 milioni di buoni spesa, con distribuzione a discrezione dell’ente comunale. Una misura posta allo scopo di garantire il sostegno alla fascia meno abbiente della popolazione italiana ma in buona parte equivocata, perlomeno al principio. Il denominatore comune è stato più o meno lo stesso, da nord a sud, nell’illusione che i 4,3 miliardi (parte in realtà dell’anticipazione del cosiddetto Fondo di Solidarietà comunale) fossero traducibili in aiuti diretti, peculiarità in realtà dei 400 milioni di buoni spesa. Una cifra considerevolmente più bassa e, naturalmente, una piccola parte di quanto servirebbe per sostenere una popolazione come quella italiana, ripartita in 8 mila comuni e soggetta alle logiche di equa ridistribuzione.

Affaire bonus

Va detto che, al momento, la questione del quanto non è particolarmente chiara. In un momento storico in cui l’invocazione della solidarietà europea è praticamente (e giustamente) all’ordine del giorno, i cittadini continuano a chiedersi quali saranno, nel concreto, i liquidi che affluiranno nei vari conti correnti. Quelli dei bonus probabilmente, anche se le richieste in massa hanno mandato in tilt i server e, tuttora, va stabilito se il venturo decreto confermerà l’importo dei 600 euro o li eleverà a 800. Di chiaro, per ora, c’è solo la difficoltà di far fronte all’onda anomala, anche se ampiamente prevedibile, delle richieste pervenute, tra sostegni per i contribuenti dipendenti e autonomi.

Questione imprese

Sul piano delle imprese, la mossa del governo è consistita in una “potenza di fuoco”, come spiegato in conferenza dal premier Conte, a sostegno delle aziende incappate nel colpo da k.o. del coronavirus: 400 miliardi, la maggior parte dei quali in veste di garanzie per prestiti di liquidità a favore delle imprese. Questo, in sostanza, imporrà l’avvio di un’istruttoria, di tempistiche diverse a seconda del credito richiesto. Come spiegato da Leonardo Dorini su Il Sole 24 ore, “poiché però l’importo della garanzia non sarà al 100%, se non per limitati casi, il primo elemento di attenzione riguarda l’istruttoria che le banche dovranno fare, pur se limitata ad una esposizione non garantita che nel caso più favorevole dovrebbe limitarsi al 10%: ciò determinerà probabili lungaggini dovute all’iter deliberativo in seno alle banche, che sarà tanto più laborioso quanto più elevato sarà l’importo del finanziamento erogato”.

Nodi da sciogliere

Anche per questo andrà determinato quanto, effettivamente, l’Europa si muoverà in favore degli Stati membri e in che modo le misure applicate fin qui (a cominciare dallo stanziamento della Bce) riusciranno a essere tradotte in sostegni concreti ai 27. Al momento, è l’incertezza a farla da padrone. Non tanto per mancate azioni a favore della cittadinanza, quanto per uno scenario complessivo inatteso e, comunque, con pochi precedenti a livello storico, anche se i paragoni con il contesto guerresco sono stati avanzati via via in modo più frequente. L’ultimo passo, in senso europeo, è la questione Recovery Fund, argomento più consono ai dibattiti di Consiglio europeo che alla classica discussione fra chi, materialmente, fa fronte alla crisi nella vita di tutti i giorni. Il punto è trovare il modo di rispondere all’interrogativo di partenza, con la sensazione che solo il tempo fornirà la soluzione. Qualora i nodi vengano sciolti tutti naturalmente. A diradare qualche nube non dovrà arrivare solo il Cura Italia, ma anche il fatidico Decreto Aprile. La panacea, secondo alcune analisi, è negli investimenti pubblici. Forse, col nuovo decreto, se ne capirà qualcosa di più.

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