Allarme dad. Secondo i ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, occorre affidarsi al detto “prevenire è meglio che curare”. Al fine di poter sperare in un ritorno ad una rinnovata normalità. Sintomi psicosomatici, assenza di tempo libero, scarsa qualità di vita ed estensione illimitata dell’orario lavorativo quotidiano sono le esperienze più frequentemente riportate da docenti, ricercatori, assegnisti e dottorandi delle università italiane di tutti i 14 settori scientifici disciplinari nei quali sono suddivisi gli accademici. Sono le conseguenze della dad (didattica a distanza).
Dad, percorso educativo a rischio
“Dad” (didattica a distanza) è uno degli acronimi divenuti di uso comune in pandemia. Con il termine di “didattica a distanza” si indica un percorso educativo mediato dal computer e da Internet. Il docente organizza le attività in un percorso online a cui gli studenti accedono in modo autonomo. In tempi e spazi personali. Autolesionismo, consumo di droghe, depressione. I problemi degli adolescenti sorti in epoca pre Covid si sono acuiti a dismisura durante la pandemia, secondo Furio Ravera, autore di “Anime adolescenti- Quando qualcosa non va nei nostri figli“.
Quattro problemi
Lo psichiatra affronta quattro problemi tipici dell’età adolescenziale. E cioè disturbi alimentari, bullismo, cyberbullismo e uso di droga. Lo fa con le domande più comuni che si è sentito rivolgere nel corso della sua carriera. E a cui risponde anche con l’esempio di casi clinici. Le limitazioni dovute al Covid “rappresentano una vera e propria fonte di stress per gli adolescenti. E lo è molto anche la dad. Perché un conto è trascorrere 5 ore davanti al computer giocando e dialogando (seppur virtualmente) con i propri amici. Un’altra è ascoltare passivamente 5 ore di lezione“.
Effetti della Dad
Secondo la definizione della Treccani la “Dad” è l’insegnamento impartito tramite sistemi telematici. Ma quali sono poi concretamente gli effetti di nove mesi di didattica a distanza: “online fatigue” per i prof. L’indagine, condotta da un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Serena Barello, Andrea Bonanomi, Federica Facchin, Daniela Villani), fa un bilancio dell’esperienza dei docenti universitari italiani dopo nove mesi di lavoro prevalentemente in remoto e dell’impatto di tale esperienza sulla loro vita personale durante questo anno di pandemia da Covid-19 e di lockdown. Lo studio evidenzia che gli accademici italiani sono affetti dalla “online fatigue”.
A distanza
La pandemia ha richiesto una rapida e massiccia ridefinizione degli equilibri tra lavoro, famiglia e tempo libero. In altre parole, questo periodo di imposto lavoro a distanza sembra aver attenuato il confine tra il tempo del lavoro e il tempo della vita privata. Rendendo difficile staccare la spina. La ricerca ha rivelato che, nell’ultimo mese, il 65% degli accademici si è dedicato al lavoro anche in orari o giornate non lavorative. Il 67% ha percepito che la propria vita personale è stata invasa in maniera eccessiva dalle tecnologie utilizzate per lavoro. E tale percentuale supera l’80% tra chi trascorre più di otto ore al giorno online.
Alterazioni
Importanti le conseguenze sul proprio stile di vita. E sul tempo sottratto alla cura di sé. Ad esempio il 51% ha riferito di non aver mai svolto attività fisica nelle ultime quattro settimane. O al massimo una o due volte. Il 53% ha alterato il proprio stile alimentare. Cercando consolazione nel cibo e nei comfort food. Mentre solo il 36% ha regolarmente svolto attività per il benessere corpo-mente. Quali yoga, pilates o meditazione. Tra i partecipanti alla ricerca, la online fatigue è associata a sintomi psicosomatici. Nello specifico, il 66% ha sperimentato frequenti tensioni muscolari. Il 61% sbalzi d’umore e irritabilità improvvisa. Il 55% difficoltà a prendere sonno. Con percentuali largamente più elevate rispetto a quelli che meno hanno utilizzato tecnologie e piattaforme di comunicazione.
Disturbi in remoto
Un partecipante su due lamenta disturbi alla vista o alla voce. Infine, il 62% riporta difficoltà di concentrazione. Un dato rilevante se si considera anche il frequente ricorso al multitasking. Emerso nel 65% dei casi. Tali disturbi psicosomatici non sono associati a problematiche preesistenti. Il 90% dei partecipanti dichiara di essere in buone condizioni di salute. Inoltre, l’online fatigue non è correlata a genere, età e ruolo accademico. E non risulta associata ai livelli di coinvolgimento e dedizione verso il proprio lavoro. Che sono molto elevati in tutto il campione. Insomma la fatica emerge dalla ricerca come conseguenza delle nuove modalità lavorative imposte dalla pandemia. Ma la maggioranza dei partecipanti continua a sentirsi orgogliosa del proprio lavoro (84%). E a considerarlo ricco di significati e di obiettivi (73%). Evidenziando, quindi, alti livelli di coinvolgimento, dedizione e resilienza. La tenuta psicofisica della popolazione accademica italiana è ancora poco attenzionata da media e istituzioni. Però sembra essere stata messa a dura prova da questi mesi di lavoro in remoto.
Emergenza “burnout”
Gli effetti a lungo termine della online fatigue non sono ancora del tutto prevedibili. Tuttavia, la possibile cronicizzazione di questo affaticamento potrebbe avere molteplici derive. Ad esempio “burnout”. Cioè decadimento dello stato di salute generale. Con conseguenze negative anche sul rapporto con gli studenti. Che, soprattutto in questi tempi difficili, meritano attenzione e cura. A sostegno della loro motivazione e gratificazione nello studio. Secondo Andrea Bonanomi, responsabile della ricerca, è necessario che le istituzioni si facciano carico di iniziative. Volte a promuovere una corretta igiene del lavoro. Sensibilizzando in merito ai rischi connessi all’applicazione intensiva del ‘remote working’. Sempre meno smart e sempre più home-working. E identificando le opportune misure di prevenzione e trattamento della online fatigue. Queste attuali modalità di lavoro offrono molte e diverse opportunità. Ma necessitano non solo di regolamentazioni giuridico-istituzionali. Bensì anche di una responsabilizzazione del singolo rispetto all’adozione di stili lavorativi sostenibili e salutari.