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Lavoro minorile regolare, Garlatti (Agia): “Le criticità favoriscono i Neet”

Interris.it ha intervistato l'Autorità Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza, Carla Garlatti, in merito ai dati e alle criticità emerse nel nuovo rapporto sul lavoro regolare minorile in Italia

È stata pubblicata l’indagine nazionale “Il lavoro regolare minorile tra formazione e sicurezza“, realizzata dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia) nell’ambito del progetto Formazione sicura in età adolescenziale (Fase), promosso in collaborazione con l’Istituto psicoanalitico per le ricerche sociali (Iprs) e la Fondazione Censis.

La ricerca affronta due aspetti. Da un lato, il rispetto delle misure di prevenzione e protezione che assicurano la sicurezza del minorenne; dall’altro, la verifica che l’attività lavorativa mantenga una dimensione formativa per scongiurare il rischio che venga considerato “formazione” il solo fatto di lavorare.

I dati Agia: lavoratori minorenni e numero di infortuni

Nello specifico, lo studio contiene una ricognizione dei dati esistenti sui minorenni lavoratori e il risultato dell’ascolto dei principali interlocutori in materia attivi in 11 regioni: Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia.

I minorenni che lavorano possono essere divisi in quattro gruppi: gli occupati a tempo indeterminato, che hanno assolto l’obbligo scolastico e che nel 2022 erano 4.253; i lavoratori a termine, circa 42 mila: nella gran parte dei casi studenti che hanno occupazioni saltuarie per assicurarsi un reddito minimo; gli apprendisti, circa 7.800; gli studenti in alternanza scuola lavoro (circa un milione). Si tratta di minorenni iscritti alla scuola secondaria superiore o alla istruzione e formazione professionale (Iefp) impegnati in attività di Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento), stage e tirocini.

Relativamente ai dati sugli infortuni, quelli resi disponibili dall’Inail evidenziano come nel 2022 si siano registrate 17.531 denunce per infortuni di minorenni: di queste, 14.867 hanno riguardato studenti (641 dei quali impegnati in alternanza scuola-lavoro) e 2.664 lavoratori (tra cui 285 allievi di corsi di formazione professionale). In tre casi gli infortuni hanno avuto un esito mortale.

Per fare il punto sulla situazione italiana e sulle possibili soluzioni alle criticità emerse nel rapporto, Interris.it ha intervistato l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Carla Garlatti.

L’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, la dottoressa Carla Garlatti. Foto: Agia

L’intervista a Carla Garlatti (AGIA)

Perché l’Autorità Garante ha sentito la necessità di un rapporto sul lavoro minorile regolare?

“Perché quando si parla di lavoro minorile in genere si pensa sempre a quello irregolare, un tema che non va mai sottovalutato. Tuttavia, anche il tema del lavoro minorile regolare merita attenzione perché coinvolge tutta una serie di aspetti etici, sociali, giuridici, economici. Due aspetti in particolare, in seguito a recenti fatti di cronaca, hanno attirato l’attenzione dell’autorità garante”.

Quali sono?

“Il primo aspetto è quello relativo alla sicurezza sul lavoro: in che misura la sicurezza è assicurata anche ai ragazzi minorenni che svolgono un’attività lavorativa. Il secondo punto è quello che riguarda la formazione. Il primo punto si ricollega ad una precisa indicazione della Convenzione ONU che dice che il minorenne che lavora non deve correre pericoli o vedere pregiudicata la sua salute. Il secondo punto riguarda quello della formazione. È previsto che il minorenne debba restare in formazione quantomeno fino a 18 anni. Ma un ragazzo che va a lavorare prima – ci sono quattro tipologie di lavoro minorile – deve poter continuare a ricevere la formazione necessaria per far sì che possa competere nel mondo del lavoro con la stragrande maggioranza dei suoi coetanei (circa il 90%) che proseguono gli studi studi almeno fino a 18 anni, se non oltre. Questo è uno degli aspetti, insieme alla sicurezza sui luoghi di lavoro, che l’Autorità Garante ha voluto indagare, in collaborazione con l’Istituto psicoanalitico per le ricerche sociali (Iprs) e la Fondazione Censis”.

Quali sono i dati principali evidenziati dall’indagine?

“Sono molteplici. Sotto il profilo della sicurezza sul lavoro, i risultati sono stati confortanti: c’è grande attenzione alla sicurezza da parte del datore di lavoro quando si tratta di far lavorare in azienda un minorenne. D’altro canto, il datore di lavoro tende sempre meno ad accogliere minorenni in azienda, perché ne comprende i rischi e la responsabilità. Quindi: da un lato c’è una maggiore attenzione alla sicurezza; dall’altro, una minore tendenza ad accogliere minorenni in azienda”.

Qual è stata la principale criticità rilevata dallo studio?

“La principale criticità rilevata riguarda il divario territoriale italiano sui corsi di formazione professionale, quelli gestiti dalle Regioni. Il 60% dei corsi sono al Nord, mentre al Sud l’offerta è piuttosto carente. Nello specifico: nel Nord-Ovest il 17,2% dei 15-17enni è iscritto alla Iefp, nel Nord-Est lo è il 15,9%, al Centro l’8,9% e al Sud e Isole solo il 4,9%. Al Sud, inoltre, anche quando i corsi ci sono, presentano lacune notevoli: o partono con mesi di ritardo e non a settembre; o vengono annunciati ma poi non iniziano affatto; o vengono fatti il primo e il secondo anno, ma il terzo no; o non viene fatto l’esame finale. Insomma, si tratta di criticità molto importanti che favoriscono indirettamente il fenomeno dei Neet”.

Cosa sono i Neet e quanti sono in Italia?

“I Neet (acronimo per Not in Education, Employment or Training) in Italia tra i 15 e i 17 anni sono circa 140 mila. Sono minorenni che non studiano né lavorano, rischiando di rimanere esclusi da qualsiasi opportunità di socializzazione, formazione e lavoro e di precipitare in una condizione di esclusione e povertà immateriale da cui è difficile riprendersi. Il 43,2% di essi vive al Sud e nelle isole, il 28,5% risiede nel Nord-Ovest, il 14,2% nel Nord-Est e il 14% al Centro”.

Perché le criticità sui corsi di formazione favoriscono indirettamente il fenomeno dei Neet?

“Perché il ragazzo che si iscrive a un corso professionale che inizia a marzo invece che che a settembre (e che poi non inizia affatto) passa diversi mesi in stand by e potrebbe abituarsi a quella condizione di nullafacenza”.

Cosa auspica l’Autorità Garante per superare le criticità?

“E’ assolutamente prioritaria una migliore organizzazione dei corsi di formazione. Dovrebbe esserci una collaborazione tra scuole professionali e Regioni al fine di rilevare la quantità e la qualità dei corsi, in modo che diventino effettivamente un’alternativa valida e qualificata. Le forti differenze territoriali che si registrano anche rispetto alla quota di ragazzi che non studiano e non lavorano, invita inoltre a investire sin da subito sul miglioramento degli standard qualitativi dell’offerta formativa e sul superamento delle disparità tra Nord e Sud”.

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