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“Non è un gioco”. Ecco perché in Italia il lavoro minorile è un’emergenza sommersa

Testimonianze: le esperienze di ingiustizia, vissute dentro al mondo del lavoro in nero in condizioni vessatorie, non hanno fatto altro che avvantaggiare chi cerca manovalanza da reclutare per i propri traffici illeciti

“Per molti ragazzi e ragazze in Italia l’ingresso troppo precoce nel mondo del lavoro, prima dell’età consentita, incide negativamente sulla crescita e sulla continuità educativa. Alimentando il fenomeno della dispersione scolastica- ha dichiarato Claudio Tesauro, presidente di Save the Children- Sono ragazzi che rischiano di rimanere ingabbiati nel circolo vizioso della povertà educativa. Bloccando di fatto le aspirazioni per il futuro, anche sul piano della formazione e dello sviluppo professionale. Con pesanti ricadute anche sull’età adulta”. Sos lavoro minorile in Italia, quindi. Save the Children stima che 336 mila bambini e adolescenti tra i 7 e i 15 anni – pari al 6,8% , quasi 1 minore su 15 – abbiano avuto esperienze di lavoro. Il 27,8% dei 14-15enni che dichiarano di aver avuto un’esperienza di lavoro, è stato coinvolto in attività lavorative dannose per i percorsi scolastici e per il benessere psicofisico. Si tratta di circa 58.000 adolescenti. A dimostrarlo è la nuova indagine nazionale condotta da Save the Children, a dieci anni di distanza dalla presentazione dell’ultima ricerca sul lavoro minorile in Italia.lavoro

Profitti

Il lavoro minorile è definito dall’Ilo come l’attività lavorativa che priva i bambini e le bambine della loro infanzia. Della loro dignità e influisce negativamente sul loro sviluppo psico-fisico. Esso comprende varie forme di sfruttamento e abuso spesso causate da condizioni di estrema povertà. Dalla mancata possibilità di istruzione. Da situazioni economiche e politiche in cui i diritti dei bambini e delle bambine non vengono rispettati, a vantaggio dei profitti e dei guadagni degli adulti. Ai bambini in situazione di lavoro minorile viene negato il diritto di andare a scuola, la possibilità di giocare e di godere dei loro affetti. Molti bambini sono coinvolti nei processi produttivi dell’economia globalizzata: in agricoltura, in miniera, nei servizi e nelle industrie per la produzione di beni destinati all’esportazione. Essi sono spesso reclusi, emarginati, esposti a sofferenze fisiche e psicologiche, riferisce l’Organizzazione mondiale del lavoro (Ilo).lavoro

Sos lavoro minorile

Il lavoro minorile è un fenomeno di dimensioni globali. Secondo le ultime stime dell’ILO , sono ancora 152 milioni i bambini e adolescenti- 64 milioni sono bambine e 88 milioni sono bambini– vittime di lavoro minorile. Metà di essi, 73 milioni, sono costretti in attività di lavoro pericolose che mettono a rischio la salute, la sicurezza e il loro sviluppo morale. Molti di loro vivono in contesti colpiti da guerre e da disastri naturali nei quali lottano per sopravvivere. Rovistando nelle macerie o lavorando per strada. Il fenomeno del lavoro minorile, che rimane in Italia per lo più sommerso in assenza di rilevazioni statistiche ufficiali, investe soprattutto i settori della ristorazione, del commercio, i lavori agricoli e in cantiere. Emergono anche nuovi ambiti lavorativi, come quelli legati al mondo digitale. Dalla ricerca si evince una relazione positiva tra lavoro minorile e dispersione scolastica. Un circolo vizioso di povertà ed esclusione.lavoro

Settori

Ne emerge come il coinvolgimento di ragazzi e ragazze in attività lavorative prima dell’età consentita per legge (16 anni) sia ancora diffuso nel nostro Paese. Tra i 14-15enni, 1 su 5 lavora o ha lavorato e, tra questi ultimi, più di uno su 10 ha iniziato a lavorare a 11 anni o prima. Tra i ragazzi del circuito della giustizia minorile l’incidenza è ancora più alta: più di un intervistato su 3 lavorava prima dell’età consentita. I settori prevalentemente interessati dal fenomeno del lavoro minorile sono la ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%), seguiti dalle attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%), dalle attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%) . Ma emergono anche nuove forme di lavoro online (5,7%), come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi. O ancora il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche. Nel periodo in cui lavorano, più della metà degli intervistati lo fa tutti i giorni o qualche volta a settimana e circa 1 su 2 lavora più di 4 ore al giorno.lavoro

“Non è un gioco”

Questi sono solo alcuni tra i dati raccolti da “Non è un gioco”, la nuova indagine sul lavoro minorile nel nostro Paese, secondo la quale quasi un 14-15enne su cinque svolge o ha svolto, un’attività lavorativa prima dell’età legale consentita (16 anni). L’indagine, condotta a dieci anni di distanza dalla presentazione degli ultimi dati e delle ultime ricerche sul lavoro minorile in Italia da Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e garantire loro un futuro – ha un obiettivo. E cioè definire i contorni del fenomeno, comprenderne le caratteristiche, l’evoluzione nel tempo e le connessioni con la dispersione scolastica. Per sopperire almeno parzialmente alla mancanza di una rilevazione sistemica di dati sul tema in Italia.

Giustizia minorile

I dati della ricerca sono a disposizione sul nuovo datahub di Save the Children, un portale nato con l’intento di monitorare le disuguaglianze, mappare i territori a rischio, orientare le politiche e l’azione sociale, costruire una conoscenza condivisa del mondo dell’infanzia e dell’adolescenza . Nello studio è stata indagata anche la relazione tra lavoro e giustizia minorile. Mettendo in luce un forte legame tra esperienze lavorative troppo precoci e coinvolgimento nel circuito penale. Quasi il 40% dei minori e giovani adulti presi in carico dai Servizi della Giustizia Minorile – più di uno su 3 – ha affermato di aver svolto attività lavorative prima dell’età legale consentita. Tra questi, più di un minore su 10 ha iniziato a lavorare all’età di 11 anni o prima e più del 60% ha svolto attività lavorative dannose per lo sviluppo e il benessere psicofisico.

 

 

 

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