Lavoratori frontalieri: diritti e sguardi verso il futuro

In Svizzera, il numero dei frontalieri, ammonta ad oltre 392 mila unità. Interris.it, in merito alla situazione attuale di questi lavoratori, ha intervistato Marco Contessa, responsabile nazionale Cisl Frontalieri

Foto di Life Of Pix (www.pexels.com)

In Svizzera, grazie agli stipendi più elevati e alla vicinanza geografica con le regioni dell’Italia settentrionale, i lavoratori frontalieri, ovvero coloro che si recano ogni giorno oltre confine per motivi professionali, è molto elevato. Si pensi che, secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica elvetico, il numero di lavoratori frontalieri attivi in Svizzera, nell’ultimo trimestre 2023, ammontava a oltre 392 mila e 800 unità, di cui 78.738 nel solo Canton Ticino. Interris.it, in merito a questo tema e alle problematiche più diffuse tra i lavoratori frontalieri, ha intervistato Marco Contessa, responsabile nazionale Cisl Frontalieri e coordinatore nazionale dei consigli sindacali interregionali.

Marco Contessa nel corso della manifestazione tenutasi a Como (@ Cisl Lombardia)

L’intervista

Contessa, qual è l’attuale situazione dei frontalieri italiani in Svizzera sul fronte retributivo e sanitario?

“La parte retributiva è chiaramente favorevole. La retribuzione media, per i lavoratori frontalieri, si attesta attorno ai 5400 franchi per i lavoratori frontalieri e quindi è decisamente superiore a quella italiana. Ovviamente però bisogna tenere in considerazione che, pur essendo più elevata la retribuzione, lì non ci sono reti di tutela come in Italia. Non c’è un contratto nazionale di lavoro, non è presente l’articolo 18, forme di tutela individuale, c’è una regolamentazione della maternità e della Naspi totalmente diversa. Quindi, è chiaro che, il lavoratore frontaliere in Svizzera, beneficia di un salario mediamente più alto ma, parallelamente, non ha una serie di tutele. Ciò riguarda anche gli operatori dell’ambiente sanitario: qui, la retribuzione, è pari a circa il triplo di quella italiana ma, anche qui, non c’è un contratto nazionale di lavoro e sussistono delle condizioni operative totalmente diverse dal punto di vista delle turnistiche. Uno degli aspetti fondamentali, che avvicina molto i nostri giovani al lavoro in Svizzera è la qualità del mondo del lavoro. A tutt’oggi, viste le difficoltà del comparto sanitario in Italia, lavorare oltre confine, garantisce una qualità della vita migliore che, sommata ad un reddito maggiore, invoglia ad andare all’estero, facendo però molti chilometri, dormendo in Svizzera ogni tanto oppure, nel periodo invernale, facendosi carico delle difficoltà logistiche durante il transito sui passi. Tutto ciò, difficilmente, si riesce a collegare con la classica conciliazione tra vita e lavoro e, ad esempio, per una donna che ha dei figli in Italia, fare la frontaliera non è certo facile perché, gli asili nido italiani, non aprono alle sei di mattina e, le turnistiche svizzere, sono diverse dalle nostre. Quindi, se dal punto di vista salariale, i frontalieri non possono lamentarsi, sul versante dei diritti, delle tutele e della fatica per l’organizzazione della conciliazione vita – lavoro, sicuramente hanno molto da dire”.

Poco tempo fa a Como avete fatto una manifestazione che ha coinvolto sindacati italiani e svizzeri. Quali sono le vostre richieste?

“Abbiamo fatto la prima manifestazione che, sugli stessi temi, ha messo insieme sindacati italiani e svizzeri, a dimostrazione del fatto che, su questa tematica, non vogliamo tutelare solamente il lavoratore frontaliero, ma abbiamo a cuore anche la salvaguardia del mercato del lavoro. I sindacati ticinesi sono ben consapevoli del fatto che, senza i frontalieri, il mercato del lavoro locale, sarebbe estremamente in difficoltà. Chiediamo al governo italiano e a quello ticinese di confrontarsi e discutere di alcune situazioni che stanno mettendo in agitazione i lavoratori. Mi riferisco in particolare alla tassa della salute, la gestione delle liste dei comuni di confine, il riconoscimento della Naspi, della normativa sul telelavoro e la questione dell’assegno unico familiare. Tutti argomenti di grandissima rilevanza che, in questo frangente, ricadono tutte sui centomila lavoratori i quali, mediamente, dall’Italia, si recano in Svizzera per lavorare”.

Quali sono i vostri auspici per il futuro in riguardo ai lavoratori frontalieri e alle loro tutele?

“Gli auspici, per un sindacato, sono di fare degli accordi per risolvere i problemi. Speriamo che l’essere scesi in piazza a Como porti l’attenzione delle istituzioni, della politica e della gente comune su questi temi. Auspichiamo che, a breve, possano essere convocati, da un lato, il tavolo interministeriale a Roma e, dall’altro, un tavolo di confronto regionale sull’applicazione della legge. Da un dialogo tra le parti potranno trovare la giusta sintesi gli interessi di tutte le parti in gioco”.