Come la Storia, anche la scuola può essere “maestra di vita”. La classe infatti, con l’insegnante e gli alunni, è quel luogo dove si educano e si formano le persone, i cittadini del domani. Anzi, dell’oggi, come dimostra l’attenzione dei tanti giovani e giovanissimi verso i temi ambientali e l’emergenza del cambiamento climatico. L’attuale stato di salute della scuola italiana e quello della salute mentale dei nostri ragazzi però al momento non sono buoni, e a questo intende porre rimedio il Parlamento italiano con una proposta di legge che introduce le competenze non cognitive nel mondo della scuola, dette anche life skils. Quelle che l’Organizzazione mondiale della Sanità nel suo Glossario della promozione della Salute del 1998 descrive come le “abilità personali, interpersonali, cognitive e fisiche che rendono le persone capaci di controllare e indirizzare la propria esistenza e di sviluppare la capacità di convivere nel proprio ambiente”.
Lo “stato di salute” del mondo della scuola
L’impatto del Covid sull’istituzione scolastica e su chi la vive è stato innegabilmente forte, con il lockdown e la didattica a distanza che hanno toccati dei nervi che erano quasi scoperti, stavano ormai per affiorare in superficie, come hanno fatto ben vedere le manifestazioni studentesche, con i ragazzi scesi in piazza per chiedere che il loro disagio, complesso e sfaccettato, e le loro proposte di cambiamento del mondo della scuola, da una diversa tipologia di valutazione a un nuovo esame di Stato passando per l’edilizia sicura, venissero non solo ascoltate ma accolte. Il mondo della scuola si trova oggi di fronte diversi problemi. Il tasso di abbandono scolastico, quando cioè si lasciano gli studi prima di aver conseguito un diploma o una qualifica professionale, superiore alla media dell’Unione europea – nel nostro Paese è al 13,5%, nell’Ue si assesta del 10,3%. Un altro dato è il calo del risultato medio nazionale nelle competenze in italiano e matematica per quanto riguarda le scuole medie sul 2018 e sul 2019 per le superiori, rilevato dal Rapporto Nazionale Invalsi 2021. Infine, strettamente correlato all’emergenza sanitaria, c’è stato un 8% di studenti, cioè 600mila persone, che tra aprile e giugno 2020 non ha partecipato alle videolezioni durante il periodo di didattica a distanza. Una percentuale registrata dall’Istituto nazionale di Statistica (Istat) nel suo Rapporto annuale 2021, pubblicato il 9 luglio scorso, in cui si evidenzia anche come una delle cause sia stata la scarsità dotazioni tecnologiche adeguate.
Come stanno i giovani
Stringendo l’obiettivo invece sui ragazzi, ci si accorge che dall’inizio della pandemia sono aumentati i disturbi del comportamento alimentare, gli attacchi di panico, gli episodi di cyberbullismo. Trovatisi all’improvviso in un mondo più incerto, con i numeri della pandemia che salivano e l’introduzioni delle misure restrittive e delle limitazioni per contrastare la diffusione dei contagi, i giovani e i giovanissimi – in un’età già delicata del loro sviluppo – hanno vissuto le proprie emozioni in una maniera molto più deflagrante del solito, anche perché più soli. Nel recente sondaggio La salute mentale dei giovani al tempo della pandemia condotto dall’Associazione nazionale Dipendenze tecnologiche, GAP, cyberbullismo (Di.Te) in collaborazione con il portale Skuola.net, su un campione di 4.935 ragazzi di età compresa tra gli 8 e i 19 anni, si è rilevato un abbassamento del tono dell’umore, un aumento di ansia, di depressione, dei casi di autolesionismo e di autoisolamento, il non voler uscire più di casa. Gli ultimi avvenimenti sembrano infierire su una situazione già non facile. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, riporta lo studio, il 68% degli intervistati si è dichiarato molto o estremamente preoccupato per in conflitto in corso e otto su 10 affermano che questo evento sta causando impatti apprezzabili, in negativo, sul proprio umore. “Occorre mettere in rilievo i temi delle emozioni e del trauma che hanno vissuto i ragazzi”, afferma il presidente di Di.Te, lo psicologo e psicoterapeuta Giuseppe Lavenia. “La scuola è stata più attenta ai risultati, alle verifiche e al programma che all’inclusione degli studenti, mentre si registrava un incremento dei ragazzi che avevano attacchi di panico quando dovevano andare a scuola. Si potevano aiutare, secondo le loro caratteristiche, facendoli per esempio collegare da casa”.
Life skills
In questo quadro s’inserisce il ddl, già approvato alla Camera lo scorso 11 gennaio e ora al Senato, sull’introduzione delle competenze non cognitive nella scuola italiana. I buoni risultati nello studio e il conseguimento degli obiettivi nel lavoro, così come delle relazioni sociali positive capaci di arricchire la vita di ognuno, sono dati infatti non solo dalle capacità cognitive (riguardo principalmente ai primi due) ma anche dal corretto sviluppo di quelle che sono chiamate, a livello internazionale, life skills. Quelle caratteristiche, quelle capacità, quelle qualità che rendono le persone in grado di gestire le proprie emozioni e i propri rapporti interpersonali in modo funzionale, cioè sano ed equilibrato. L’Oms ne ha individuate dieci, che sono la consapevolezza di sé (sotto il triplice profilo corporeo, emotivo e cognitivo), la gestione delle emozioni, la gestione dello stress, l’empatia, la comunicazione efficace (cioè saper ascoltare gli altri e farsi capire), le relazioni efficaci, coltivando rapporti in maniera costruttiva, lo sviluppo del pensiero critico, un’analisi oggettiva delle informazioni, delle situazioni e delle esperienze, come anche del pensiero creativo, la capacità di risolvere i problemi e infine quella di saper prendere decisioni. La proposta di legge Introduzione dello sviluppo di competenze non cognitive nei percorsi delle istituzioni scolastiche e dei centri provinciali per l’istruzione degli adulti, nonché nei percorsi di istruzione e formazione professionale al vaglio del Parlamento si prefigge lo scopo di “promuovere la cultura della competenza, di integrare i saperi disciplinari e le relative abilità fondamentali e di migliorare il successo”, con un periodo di sperimentazione di tre anni per individuare le competenze non cognitive il cui sviluppo “è più funzionale al successo formativo“, le “buone pratiche relative alle metodologie e ai processi di insegnamento” che le favoriscano e i percorsi formativi “caratterizzati da metodologie didattiche che favoriscano il recupero motivazionale“.
L’intervista
Per capire meglio la situazione del giovani e delle giovani del nostro Paese e come la scuola e la famiglia possono rapportarsi con loro, Interris.it ha intervistato il presidente Lavenia, dell’Associazione Di.Te.
Data la sua esperienza psicologo e psicoterapeuta e dal suo osservatorio, ci ritrae i giovani italiani di oggi?
“In molti, per via della situazione che stanno attraversando, non riescono a immaginare o a desiderare un futuro. E in una società come questa, piena di contraddizioni, questi giovani lacerati e disgregati sono portati a cercare delle soluzioni non dentro di sé, ma al di fuori. Alcune delle dipendenze tecnologiche che li affliggono, come passare molte ore ai videogiochi – il 7% di campione di 1.271 ragazzi in un sondaggio sul gaming, che abbiamo condotto in collaborazione con Skuola.net, ci passa più di 8 ore al giorno, anche se con una prevalenza di ventenni – sono dei sintomi. Ma i giovani al tempo stesso hanno anche molta consapevolezza, lo dimostra il loro impegno su temi come il cambiamento climatico o l’essere a favore della pace. I ragazzi hanno degli ottimi valori, agli adulti spetta il compito di accompagnarli e non di controllarli. Dobbiamo cominciare a dire a questi ragazzi ‘Cosa ne pensi?’ o ancora ‘Come posso aiutarti a raggiungere quell’obiettivo?’”.
Che rapporto hanno i giovani con la scuola, di cui chiedono spesso un cambiamento?
“I ragazzi hanno bisogno della scuola anche per recuperare il loro benessere psicologico. La scuola non è solo didattica, ma è vita sociale. La scuola è importante per i ragazzi, soprattutto per i più piccoli, ma andrebbero messi in rilievo le loro emozioni e i traumi che questo periodo storico gli ha causato. Invece quando sono tornati in classe si sono trovati più che altro verifiche. Ma il voto non è motivante, si dovrebbe invece porre l’attenzione su altre skills, quelle che ai ragazzo servono oggi per stare al passo coi tempi”.
A proposito di questo tipo di competenze, è al vaglio del Parlamento una proposta di legge per l’introduzione, in via sperimentale per un triennio, delle cosiddette competenze non cognitive. E’ un passo nella giusta direzione?
“Occorre per prima cosa aiutare ragazzi a tirare fuori le emozioni, ma soprattutto la scuola deve essere in grado di seguire il passaggio che va dall’espressione dell’emozione alla creazione del sentimento. L’emozione, come può essere la rabbia o la paura, è istintiva e passa velocemente, mentre dal sentimento, come l’empatia, può nascere un comportamento. Curando questo passaggio, i ragazzi possono diventare più stabili e solidali tra di loro”.
Questo cosa significa per gli insegnanti?
“La classe docente deve essere formata, per esempio con dei laboratori, alla comunicazione emotiva e deve imparare a parlare la lingua che usano gli studenti, quella digitale, e andare nei luoghi della loro vita online. Noi lavoriamo con i docenti, a loro volta stressati dalla pandemia, in dei gruppi operativi multidisciplinari dove degli esperti aiutano a trovare delle soluzioni ai problemi”.
Qual è il ruolo e quali sono i compiti dei genitori?
“Oggi i genitori sono molto distratti, si barcamenano tra lavoro, figli e tecnologia, perché anche loro sono sempre connessi. Basti pensare il 31% dei ragazzi, quando va a chiedere qualcosa a un genitore, si sente rispondere ‘un attimo’. Al tempo stesso, gli adulti rincorrono i loro figli. Mentre prima si doveva sperimentare da soli, e si poteva sbagliare, ora i genitori sono ipercontrollanti e creano dei ragazzi poco capaci di gestire le difficoltà”.