Nei giorni scorsi Interris.it ha riportato la testimonianza dell’arcivescovo di Catanzaro-Squillace. L’arcivescovo Vincenzo Bertolone, postulatore delle cause del martire antimafia don Pino Puglisi e di Rosario Livatino afferma: “Nel tribunale di Agrigento, il giudice Livatino si preparava al sacrificio e alla crudeltà del suo martirio materiale, che i suoi persecutori stavano ordendo e tramando nei dettagli”.
Livatino contro la mafia
“Muoiono allo stesso modo, Livatino e don Pino: entrambi senza odio verso i propri assassini. Il giudice guarda il killer negli occhi e dice semplicemente: ‘Che cosa vi ho fatto?’ Don Pino sorride al proprio carnefice, sussurrando: ‘Me lo aspettavo‘. Entrambi i killer si pentiranno, sconvolti da quelle parole”, spiega a Interris.it Francesco La Licata, tra i più autorevoli esperti di lotta alla mafia, biografo e amico di Giovanni Falcone. Palermitano, 73 anni, comincia la sua carriera da giornalista negli anni Settanta alla redazione del quotidiano L’Ora. Da allora non ha mai smesso di indagare sulle vicende legate alla più grande piaga della sua terra: la mafia. Ha seguito tutti gli eventi più importanti della lotta dello Stato ai clan. In tv ha collaborato a Mixer e Blu Notte. Testimone delle pagine di storia più nera del nostro Paese.
L’ombra dei clan
Dalle stragi di Capaci e via D’Amelio alla cattura dei boss e degli uomini di mafia, da Riina a Provenzano. Approfondisce da mezzo secolo le modalità attraverso cui la criminalità organizzata si diffonde e corrompe la politica e la vita pubblica. Fra i suoi libri (molti dei quali bestseller tradotti in tutto il mondo), due sono dedicati al grande magistrato Giovanni Falcone. Storia di Giovanni Falcone edito da Rizzoli, e Falcone Vive (Flaccovio), che riporta un intervista del giornalista al magistrato realizzata nel 1986. E poi “Pizzini, veleni e cicoria” edito da Feltrinelli e scritto in collaborazione con il magistrato antimafia Pietro Grasso. Vi si racconta il volto della mafia prima e dopo l’arresto di Bernardo Provenzano, definito “l’ultimo padrino”. E Sbirri edito da Bur, in cui è descritto il lato più umano e fragile degli agenti di polizia, la loro quotidianità e la loro professione.
“Nella sua intervista a Interris.it l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone, postulatore della causa di beatificazione del giudice Rosario Livatino, si sofferma su ciò che più lo ha colpito del sacrificio del magistrato vittima della mafia. E conclude affermando di essere stato conquistato dal monito che emana il martirio del giovane, cioè ‘il dovere di amministrare fino all’ultimo la giustizia come esigenza intrinseca della fede e dell’apostolato cristiano’. Parole semplici e riferibili non soltanto ad una platea di stretta osservanza cattolica ma ad una più vasta umanità, anche la più laica. Nessuno potrà, infatti, negare come la battaglia per il conseguimento di tutte le giustizie sia un dovere di tutti, credenti e non. Ed è per questo che ogni atto di ribellione al potere mafioso, da qualunque ambiente provenga, viene considerato un pericolo per la sopravvivenza della ‘mala pianta’ che, per prosperare, ha bisogno del silenzio e dell’assenso di sudditi imbelli”.
“Dice bene, il vescovo, quando afferma che la mafia considerava ‘la condotta cristiana’ di Livatino ‘un pericolo’. I valori della Bibbia, del Vangelo non sono patrimonio dei boss, le cui vite sono proiettate verso altri ‘disvalori’: l’arricchimento illecito, l’assoluto disprezzo per la vita umana, l’affermazione del proprio potere attraverso la sopraffazione. Ecco perché l’esempio di Livatino andava ‘punito’: perché i giovani avrebbero potuto essere attratti dalla “bellezza” di una vita cristiana”.
Quali sono i punti di contatto tra Livatino e don Puglisi?
“Lo stesso ragionamento sta alla base dell’assassinio di un altro martire siciliano: il Beato don Pino Puglisi, il parroco del quartiere Brancaccio di Palermo fatto uccidere dai fratelli Graviano perché, attraverso l’operato del ‘Centro Padre Nostro’, sottraeva i giovani del quartiere all’influenza mafiosa. Don Pino fu ucciso il 15 settembre del 1993, giorno del suo 56° compleanno, dal un finto rapinatore. Sono molto simili le due storie e non si discostano da quelle di tanti altri ‘martiri laici’ caduti nella infinita guerra contro la mafia”.
“Livatino paga la sua fede e il suo impegno per la giustizia, testimoniato dalle parole scritte in un diario che mossero il Papa Giovanni Paolo fino a fargli lanciare il famoso anatema, ripreso poi da Papa Francesco, contro ‘gli uomini della mafia’: ‘Convertitevi, ci sarà un giorno il giudizio di Dio’. Come don Pino Puglisi, che non si piega ai ‘consigli’ dei boss di lasciare fuori dall’altare le critiche al vivere mafioso”.