Informare in pandemia. “Come è naturale che sia, il linguaggio giornalistico da un lato fornisce una chiave di lettura della società. Dall’altro ne è influenzato in un processo evolutivo costante”, spiega a Interris.it Andrea Brunori, giornalista ed esperto di comunicazione, impegnato da molti anni nell’informazione finanziaria. E aggiunge: “E’ ovviamente vero che dibattito sociale e informazione passano sempre più per i social media. Con implicazioni materiali ed etiche nuove. Come il crescente utilizzo di tali canali per rivolgersi direttamente ai propri utenti finali. Bypassando il mondo dell’informazione. Ma era un trend già in atto, cui la pandemia ha impresso un’accelerazione”.Come è cambiata l’informazione durante la pandemia?
“Credo che l’informazione non sia in realtà cambiata. Quanto meno rispetto alle dinamiche in atto negli ultimi anni. Ad essere improvvisamente mutato è il contesto con cui ci si deve confrontare. Con la pandemia siamo stati catapultati nel mezzo di una vicissitudine inaspettata. Dalle molteplici implicazioni. Una situazione materialmente ed emotivamente impattante. I cui effetti nel medio-lungo periodo sono di fatto solo parzialmente ipotizzabili. In una simile circostanza da un lato l’opinione pubblica avverte la necessità. L’impulso quasi viscerale, di voler sapere, capire. E di essere in un certo senso rassicurata di fronte ad un moloc insostenibile: l’incertezza”.Dall’altro?
“Dall’altro il mondo dell’informazione vive questo assillo. E cerca di rispondervi. Con tutte le difficoltà del caso. Possiamo comprendere il nodo gordiano che stiamo vivendo. Combinando il tutto con la velocità di flussi informativi ininterrotti. E talvolta, la cacofonia di molteplici voci. Pur con tutta la buona volontà del caso, più ci si sforza di allentarlo. Più si rischia di stringere questo nodo”.Che tipo di impatto ha l’emergenza sanitaria sul linguaggio dei mass media?
“Le dinamiche in atto hanno portato di crisi in crisi (ambientale, sociale, economica, sanitaria) ad alzare sempre un poco di più un’asticella. Quella della forza d’impatto emotiva delle espressioni usate e delle immagini evocate. Ad un certo punto, se non lo si governa, il processo si autoalimenta. E’ doveroso interrogarsi sulla verità”.Cioè?
“Un poeta persiano del XIII secolo sosteneva che la verità fosse uno specchio caduto dalle mani di Dio. Frantumatosi in tanti frammenti. Ognuno ne raccoglie un frammento. E sostiene che lì è racchiusa tutta la verità. In questa fase storica tutto o quasi passa su circuiti di silicio. Quindi i pezzetti di verità si fanno sempre più piccoli. E la possibilità di avere una visione d’insieme diventa più ardua”.Con quali conseguenze?
“Il grande rischio è che ognuno cerchi, e trovi, solo la conferma della propria verità. Ognuno aggrappato e infatuato del proprio pensiero. A scapito della voglia e possibilità di confrontarsi. Di aprire un ponte sul prossimo. E su idee diverse. Quelle che permettono di completarsi come individui. E di migliorarsi come società. Da un punto di vista morale e civile come del benessere complessivo, anche economico”.Che tipo di informazione è richiesta?
“Oggi il ‘mercato’ richiede per lo più ricette semplici e istantanee. Per cercare di illuminare il grande specchio della realtà occorrono spazio, tempo. Spiegazioni articolate e capacità di ascolto di cui il più delle volte non si dispone. Questo spiega il rifugiarsi magari in cliché o il massiccio ricorso allo ‘storytelling'”. Può farci un esempio?
“Si riporta una singola storia in luogo di uno sforzo di comprensione d’insieme più ampio e articolato. Ho partecipato a un evento per le scuole in occasione del Giorno della memoria per le vittime del terrorismo. Ho appreso in quell’occasione che Aldo Moro sosteneva che sintetizzare è sempre anche un po’ mentire. E’ una citazione che rende bene i limiti di una delle dinamiche in atto. Sintetizzare è spesso una necessità. Ma oltre un certo limite si perdono elementi necessari ad una reale comprensione dei fenomeni. Vi è poi la crescente spettacolarizzazione dell’informazione”.Ovvero?
“Nei new media come in quelli tradizionali assistiamo ad un crescente ricorso a format dove convivono informazione e intrattenimento. Tanto da dare luogo al neologismo di ‘infotainment’. In termini espositivi ciò ha portato, in questi ambiti, all’uso di un linguaggio marcatamente emotivo rispetto alle notizie, per i grandi casi di cronaca come per le ‘soft news’”.Qual è il ruolo del giornalista in tempo di pandemia?
“Difficile quanto insostituibile. Una società che si muove tra certezze che vengono meno e nuovi scenari che si rinnovano costantemente ha bisogno di cartografi esperti. Che vivano il territorio. E posseggano gli strumenti professionali ed umani per comprenderlo e raccontarlo. Nella realtà del lavoro quotidiano in ogni giornalista e operatore della comunicazione c’è un professionista riconoscibile. Che lavora per la propria affidabilità. E che risponde del proprio lavoro.A cosa si riferisce?
“Basti pensare, senza andare lontano dall’esperienza di ognuno, ai tanti operatori dell’informazione locale. Che, tra mille difficoltà, sono costantemente sul territorio per fornire un’informazione insostituibile. Per godere di una buona informazione, garanzia di libertà personale e collettiva, il vaccino esiste già. Ed e alla portata di tutti”.
Di cosa si tratta?
“Diversificare i canali di informazione, affidarsi a fonti riconoscibili, muniti di spirito critico. E’ importante cercare di comprendere se la narrazione della verità è ancora alla nostra portata. Ritengo assolutamente di sì. E il viaggio vale di gran lunga la pena di essere intrapreso. ‘La verità è sempre illuminante’. Sono parole di Aldo Moro”.