Soumaila Diawara nasce il 4 febbraio 1988 a Bamako, in Mali, dove consegue la laurea in Scienze Giuridiche con una specializzazione in Diritto Privato Internazionale. Durante il periodo universitario inizia la sua esperienza politica. Terminati gli studi si inserisce definitivamente in politica, entrando nel partito di opposizione “Solidarité Africaine pour la Démocratie et l’Indépendance” (SADI) di cui ben presto ricopre la figura di guida del movimento giovanile. Grazie al suo partito ha modo di viaggiare in vari Paesi in Africa, America Latina, Europa e in Canada nella continua lotta per la liberazione del suo Paese dall’imperialismo occidentale. Nel 2012 è costretto ad abbandonare il Mali in quanto accusato ingiustamente, insieme ad altri, di un’aggressione ai danni del Presidente dell’Assemblea Legislativa. A seguito di tali accuse, molti suoi compagni hanno incontrato la morte, mentre lui si è trovato costretto a seguire le rotte dell’attuale fenomeno migratorio partendo dalla Libia su un gommone. Grazie al salvataggio di una nave della Marina Militare giunge in Italia nel 2014 dove ottiene la protezione internazionale ed è tuttora rifugiato politico. “Le condizioni sono disumane” nelle carceri libiche, ricorda ad Interris.it Diawara.
In quale partito militavi in Mali? E per quale motivo sei stato costretto a fuggire?
“Il mio partito si chiama Solidarietà Africana per la democrazia e l’indipendenza. Mi occupavo della comunicazione del mio partito, sono dovuto fuggire quando sono stato accusato di una falsa aggressione da parte del presidente dell’assemblea legislativa nel 2012, come tante altre persone che oggi sono in carcere. Alcuni sono morti, dopo l’organizzazione di una conferenza che avrebbe dato al Mali un governo legittimo anche se transitorio dopo il colpo di stato del 22 marzo 2012. Però, la situazione di emergenza dovuta alla guerra non ha permesso l’organizzazione di elezioni su tutto il territorio come prevede la costituzione in questo caso. Avremmo dovuto fare in modo di organizzare una conferenza con tutti i partiti e la società civile. Visto la situazione il regime per mantenersi al potere avrebbe dovuto trovare una scusa per far votare a suo favore il popolo. Sapevano che la scelta della conferenza per il futuro del Mali sarebbe stata un’altra”.
Una volta arrivato in Libia sei stato arrestato dai miliziani libici. Qual è la vera condizione dei lager?
“Sono condizioni disumane. I diritti vengono violati davanti agli occhi di tutti. Questo dipende dal fatto che ci sono troppe guerre perpetrate a suon di falsità, penso all’Iraq per esempio. La Libia adesso è un paese devastato dove i signori della guerra per fare fortuna sfruttano brutalmente uomini, donne e bambini. Le donne vengono costrette a prostituirsi, mentre gli uomini sono utilizzati per i lavori forzati. Questi schiavisti si prendono i loro soldi. L’Europa ha una grande responsabilità dovuta alla sua ingerenza politica in Libia: partecipando alla guerra malgrado l’opposizione degli Stati africani all’intervento della Nato. Ricordo che sono arrivati ad uccidere un presidente africano sul suolo africano con la scusa di portare la democrazia. Ci sono tanti dittatori in Africa appoggiati dagli stati occidentali e nessuno in Africa lì vuole”.
Nel dicembre 2015 sei partito con un barcone di fortuna e sei stato soccorso e accolto dall’Italia. Con il Coronavirus sembra che il problema migratorio sia sparito: è così? Che ne pensi della politica europea sull’immigrazione?
“Sono partito nel dicembre 2014. Sono sopravvissuto ad un naufragio poi salvato, arrivato in Italia ho fatto la richiesta d’asilo, dopo esser stato riconosciuto come rifugiato. Per un periodo ho lavorato nei campi a 20€ per 10 ore di lavoro. Ma alcuni, meno fortunati di me, sono rimasti in quelle spaventose carceri in Libia, mentre altri che tentano la mia strada, quella del mare, vengono riportati indietro dalla Guardia Costiera libica: in questi posti dove dal cielo cadono le bombe”.
L’atmosfera nei confronti degli immigrati in Italia è cambiata negli ultimi due anni?
“L’atmosfera è cambiata molto in Italia a causa della propaganda sovranista tesa a guadagnare consensi. Così hanno prodotto razzismo ed indifferenza, cercando sempre un colpevole sul quale addossare le colpe. Credo che sia abbastanza triste, con tutti i problemi che affliggono l’Italia dire che il problema è l’immigrazione. Una grande irresponsabilità politica, a mio avviso”.
Qual è la situazione in Mali oggi?
“La situazione in Mali è devastante, il 70% del territorio è occupato dai terroristi e dagli indipendentisti, guerre intercomunitarie fanno vibrare il terreno. Un’immagine sconvolgente è quella dei bambini saldato che corrono imbracciando le armi dei terroristi. Circa 10 milioni di persone vivono nell’insicurezza constante, costrette per sopravvivere a rischiare ogni giorno la loro vita”.
C’è rispetto dei diritti umani?
“Purtroppo sotto una falsa democrazia con elezioni manipolate, i diritti umani rimangono un sogno per tanti. Dove spariscono giornalisti per aver denunciato la corruzione dei governanti, l’opposizione soppressa, il popolo non respira”.
Il Mali è un paese ricco di oro, gas e petrolio. Perché i suoi cittadini sono così poveri?
“Il Mali è un paese ricco ma il controllo delle risorse energetiche può essere definito neocolonialista. A gestire queste enormi risorse sono le multinazionali attraverso una vera e propria invasione fiscale. Parliamo di moneta coloniale”.
Cosa significa per te la poesia?
“La poesia per me è uno strumento di denuncia, protesta che utilizzo per portare un messaggio teso a porre l’attenzione su quelle cose che spesso il mondo, a causa di una scarsa informazione erogata dai media internazionali, non conosce”.