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La guarigione dal Covid come percorso interiore

La testimonianza a Interris.it dell'ex sindaco di Osimo, Stefano Simoncini uscito dal coma farmacologico in terapia intensiva. La lotta contro il Covid

Una vita vissuta tutta d’un fiato. L’impegno nell’associazionismo. La famiglia. Le responsabilità in prima linea nella vita pubblica. Poi la scoperta della positività al Covid. L’inizio di un calvario che non si è ancora concluso. Una prova affrontata con profonda fede e indomabile forza d’animo. L’ex sindaco di Osimo, Stefano Simoncini, 53 anni, racconta a Interris.it la sua lotta contro il coronavirus.
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Battaglia contro il Covid

Geometra per professione. Vignettista per passione. Amministratore pubblico per vocazione. Stefano Simonicini è stato illustratore umoristico per numerose testate (La Gazzetta di Ancona, Focus, Corriere Adriatico, 5 Torri). E per riviste e pubblicazioni editoriali. Ha partecipato ai più importanti concorsi umoristici italian. E a mostre collettive di pittura. Ha ideato campagne pubblicitarie per vari enti e aziende. Ha aderito giovanissimo all’Agesci, diventando responsabile del gruppo Osimo 2. E’ tra i fondatori e successivamente anche presidente del circolo culturale Juter club. Ha partecipato da subito alla lista civica “Su la Testa” promossa da Dino Latini, attuale presidente del Consiglio regionale delle Marche. Nel 1995 è entrato in consiglio comunale di Osimo. Quattro anni dopo ne è diventato l’assessore alla Cultura e poi il vicesindaco. Dopo un anno in Consiglio provinciale è stato eletto nel 2009 sindaco di Osimo. Tra i suoi libri “Saluti da Osimo: memorie da un cassetto di una città che si appresta a cambiare”. Otto mesi fa si è ammalato di Covid. Un tunnel da cui non è ancora uscito.Come ha affrontato la prova del virus?

“È stata una prova molto dura per me e per quanti mi sono cari. Sono stato il secondo ricoverato in coma farmacologico in terapia intensiva, per oltre un mese, della mia provincia all’ospedale regionale di Ancona. Ed è chiaro che all’inizio non si sapevano bene i migliori metodi di cura. Poi le innumerevoli complicanze mi hanno portato ad una degenza di oltre otto mesi di cui sento tutto il peso sulle mie spalle. Tanto più che per il timore del Covid le visite dei parenti sono ridotte al lumicino”.Da un’esperienza così dura può uscirne rafforzato il senso religioso della vita?

“Sì. La preghiera nei momenti di massimo sconforto è di grande sostegno. Così come il ruolo, fondamentale, del cappellano dell’ospedale che mi ha aiutato molto”.

Foto © ll Tempo
Per lei la guarigione è stata anche un percorso di fede?
“Non sono ancora completamente guarito. Ho da fare molta fisioterapia. Ma indubbiamente è un percorso interiore fortissimo, intimo e solitario. Perché anche i più stretti cari non riescono a capire la durezza della vita che si vive in ospedale e nelle conseguenze del Covid. Il constatare quanta sofferenza c’è nei percorsi di guarigione dei tuoi compagni di stanza o di corsia è davvero toccante”.
Il ricovero di un paziente affetto da Covid-19 – Foto © Marco Ortogni per Neg
Da persona con un lungo e importante impegno nella vita pubblica, quale lezione deve trarre la società dalla pandemia?
“Ci si deve affidare a quanto dicono gli scienziati. E cioè distanziamento sociale, mascherina, igiene personale delle mani. Io non credo che chiudendo tutto si risolva il male. Mi suona come ‘l’operazione è riuscita ma il paziente è morto’. E il paziente in questo caso è l’economia reale, il lavoro. Dobbiamo affrontare la vita con una nuova consapevolezza. Ci salviamo tutti insieme perché davvero la salute è un bene pubblico”.

 

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