La disabilità prima e dopo il coronavirus

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Papa Giovanni XXIII asseriva che “nulla di quello che accade all’uomo deve risultarci estraneo”. Bisogna perciò sempre guardarsi intorno per vedere se c’è qualcuno in difficoltà. Mai come ore, questa frase di solidarietà ci fa comprendere l’importanza di interessarci ai ragazzi con disabilità. Come guardano all’emergenza coronavirus? La comprendono, la accettano? Le loro famiglie si sentono assistite? A queste domande ha cercato di rispondere ad Interris.it Sabrina Lorenzetti, madre di un ragazzo con disabilità, che ha fondato l’Original Campus, primo centro di formazione in Italia ad essere integrato e non assistenziale.

Qual è l’obiettivo con cui nasce questo progetto?

“Il progetto Original Campus consiste in un percorso formativo integrato rivolto a ragazzi maggiorenni normodotati e disabili. L’idea alla base dell’iniziativa è che, creando un gruppo equilibrato tra ragazzi diversamente abili e non, possa essere definito un percorso comune tale da garantire ai giovani disabili attività stimolanti, allontanando il rischio di regressione. Mentre i ragazzi normodotati acquisiscono competenze specifiche. Si cerca, quindi, di riproporre la stessa condizione che si vive nelle scuole, dove si realizzando attività insieme  ai compagni del centro di formazione. Cambia l’obiettivo delle lezioni che ora si prefiggono come traguardo un avvicinamento al mondo del lavoro. Infatti i corsi proposti nel 2019 sono: orto e giardino, mosaico, pittura, corso di consapevolezza, matematica, informatica, attività assistita con animali, psicomotricità, lettura, comprensione del testo, corso di giornalismo”.

I ragazzi prima del covid-19

“Prima che esplodesse l’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Coronavirus, la mattina i ragazzi erano soliti frequentare il Campus mentre il pomeriggio erano impegnati negli sport integrati e nelle varie associazioni che offrono attività integrate. L’integrazione che permette loro di stare con delle persone normodotate garantisce di progredire e vivere inseriti e accettati nella società. Le loro giornate sono piene ed appaganti.”

Il cambiamento dopo la pandemia

“I ragazzi si sono trovati privati di tutto. Dalle giornate piene di attività si sono ritrovati senza niente da fare. Fare video-lezioni non è possibile e spiegare loro il perché è stato molto complicato soprattutto i primi giorni. Devo dire che l’impegno dei genitori è stato esemplare e sono riusciti a far accettare loro la situazione. La mattina ci siamo attivati dal campus per dare compiti da svolgere: partecipare ai vari flash mob e hashtag. Il pomeriggio si riusciva comunque a riempirlo con passeggiate o attività all’aperto sempre rispettando le indicazioni ministeriali. Il vero problema è sorto dopo le ultime restrizioni che hanno chiuso i parchi pubblici e le aree verdi. La pretesa non è certo quella di andare contro le indicazioni governative e tantomeno quella di creare assembramenti di persone come ho visto fare. Ma, a mio avviso, alcune categorie vanno tutelate. Nelle autocertificazioni dovrebbe esserci una voce “accompagnamento disabili” che consenta ad alcune categorie di vivere meglio questa situazione per loro incomprensibile. I ragazzi hanno necessità di uscire, di distrarsi mentalmente ma anche fisicamente correndo e praticando un po’ di sport  per non fermarsi e per non ingrassare. Il governo sta facendo bene in una situazione molto difficile ma un occhio alle persone con difficoltà dovrebbe darlo”.

Quale è la sua esperienza?

“Io sono mamma di due ragazzi uno normodotato di 17 anni che fra video-lezioni, allenamenti in casa o in garage, chat con gli amici ha una giornata piuttosto piena e poi comprende bene il perché, poi ne ho uno di 20 anni con disabilità. Con lui, la mattina ci occupiamo di attività didattiche ma il pomeriggio avrebbe bisogno di una corsetta al parco o di una passeggiata ma non possiamo farlo perché non è fra le attività consentite. Aspetto con fiducia che qualcuno si ricordi di loro”.

Il virus, le emozioni di ragazzi e famiglie

“Le famiglie sono state fortemente provate dalla chiusura del Campus. Mi chiedono in continuazione aiuto e sperano in una imminente riapertura ma non credo che questo accadrà presto. Hanno spiegato cosa sta succedendo ma i ragazzi più che capire provano paura. La sera mi mandano spesso messaggi sempre uguali:” Sabrina ho tanta paura, speriamo che passi presto questo coronavirus. Mi manchi tanto. Buonanotte. Chiaramente loro non capiscono bene, gli manca la normalità e gli amici del Campus, non capiscono perché è tutto cambiato, lo accettano ma non hanno le risorse per dare una spiegazione ad un cambiamento così radicale della loro vita, uscire li distrarrebbe e farebbe accettare la cosa con maggiore tranquillità soprattutto se potessero andare dove c’è verde: al parco, al lago, in spiaggia… mai trascurare l’importanza del verde sulla psiche umana. Le soluzioni apportate dal decreto Cura Italia sono giuste ma non so se saranno efficaci ed inoltre c’è da valutare la tempistica che, solitamente, non è adeguata all’esigenza. Invece i 12 giorni in più nella legge 104 sono sicuramente di aiuto alle famiglie in questo momento”

Perché Original Campus è innovativo?

“L’elemento che ci contraddistingue è quello della formazione. Noi vogliamo fornire una preparazione e non una semplice assistenza. Nei centri attualmente esistenti a livello nazionale, gli operatori sono specialisti che coordinano, assistono e aiutano i ragazzi disabili. Nel nostro progetto invece il rapporto non è terapista-ragazzo ma ragazzo-ragazzo. E’ un rapporto appunto di integrazione (supervisionato da operatori specializzati) non di assistenza. Il progetto prevede 3 step:

  1. centro del sapere: corsi di formazione aperti dal lun. al ven. ore 9:00 – 13:00.
  2. centro del saper fare: apertura pomeridiana del centro dedicata allo sport.
  3. centro del saper essere: ogni persona può vivere da protagonista la propria vita autogestendosi e questo faciliterà molto la soluzione del problema del Dopo di noi”.

Come è nata l’idea di creare questo progetto?

“Nasce dall’esigenza delle famiglie dei ragazzi disabili di dare loro una collocazione qualitativamente ottima ed una possibilità di lavoro dopo il quinquennio delle scuole superiori quando finisce ogni tipo di attività o assistenza per le persone disabili.”

Gianpaolo Plini: