Ecco perché in Italia sono in pericolo le cure mediche. Sos dei camici bianchi

Attualmente in Italia gli specialisti ambulatoriali sono titolari di incarichi a tempo indeterminato che vanno dalle 5 alle 30 ore settimanali. Con una media di 25 ore. Da subito si potrebbe pensare ad un incremento medio stimato intorno alle 7 ore settimanali. Ciò porterebbe l’attuale media oraria dalle 25 alle 32 ore settimanali. “Le regioni che si lamentano delle lunghe liste d’attesa e della mancanza di specialisti invece dei medici stranieri hanno una soluzione“, afferma il segretario generale del Sindacato Unico Medicina Ambulatoriale Italiana e Professionalità dell’Area Sanitaria. Ossia “potrebbero proporre un incremento orario ai camici bianchi che non hanno il massimale orario. E che operano a tempo indeterminato. Quindi già in servizio nelle loro aziende sanitarie”. Nonostante la sottrazione di risorse economiche, “il nostro sistema sanitario ha retto fin che ha potuto, ma a che prezzo? Scarsi investimenti. Retribuzioni tra le più basse in Europa. Difficoltà di accedere alle cure. Poco personale. Difficili condizioni di lavoro. Denunce e atti di violenza, anche mortali, contro gli operatori sanitari‘.Italia

Medicina in Italia

“Entro il 2025 perderemo fisiologicamente 14.493 medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. 3.674 specialisti ambulatoriali. 20.500 dirigenti medici. Per un totale di 38.667 medici. Senza contare i prepensionamenti, le dimissioni volontarie e i medici che emigrano all’estero“, avverte Antonio Magi, in occasione del 55° congresso nazionale del Sumai Assoprof. L’incontro, dal titolo “Specialistica ambulatoriale, Quale futuro: pubblico o privato?”, si conclude oggi a Roma presso l’Hotel Villa Pamphili. “I medici dopo il Covid provano una sensazione di abbandono. Come tutto il personale sanitario. Per la scarsa attenzione alla manutenzione del Servizio sanitario nazionale- aggiunge Magi-. Ciò sta portando molti medici e professionisti della sanità, soprattutto quelli più giovani ma non solo, a cercare strade alternative. Per vivere la loro professione con meno burocrazia. Più sicurezza. Migliore retribuzione. E migliore organizzazione”. Servono subito, quindi, “investimenti seri e decisivi sul personale sanitario”. Altrimenti “la sanità pubblica italiana che conosciamo oggi, anche se in crisi, dal 2025 rischia di saltare realmente. Poiché mancheranno quasi 39 mila medici“.

Ricette nuove

“Dimissioni volontarie. Prepensionamenti. Concorsi pubblici che vanno deserti. Mancanza di sostituti per la specialistica ambulatoriale- sottolinea Magi-. Sempre più aree carenti per la medicina generale. Sempre più medici che scelgono di lavorare nel privato, in cooperative. O di andare all’estero. Da dove arrivano proposte economiche che permettono qualità di vita nettamente migliori. Continuare a proporre ancora le stesse ricette che sanno più di ideologia che di concretezza è una scelta suicida. Con un esito ampiamente prevedibile'”. Secondo il segretario generale del Sumai Assoprof, è necessaria “una riforma del percorso formativo”. E potrebbe essere strutturata, ad esempio, dai primi 4 anni teorici uguali per tutti. Seguiti poi da 4 anni di formazione specialistica pratica. O come medicina generale. O come specializzazione in una specifica branca della medicina. A cui seguono 3 anni, facoltativi, di super specializzazione. Attraverso master universitari. In questo modo non si avrebbero più camici grigi. Ma una formazione medica completa per entrare nel Servizio sanitario nazionale. Questo richiede ovviamente una seria programmazione nei numeri dei posti e delle specialità”.

Sos Italia

“Senza investimenti decisivi sul personale sanitario la sanità pubblica italiana che conosciamo oggi, anche se in crisi, dal 2025 rischia di saltare”, ribadisce Antonio Magi. E individua le principali criticità del sistema. Invecchiamento demografico. Finanziamento del servizio sanitario nazionale. Carenza di personale. Retribuzione del personale. “Senza di reali e concrete politiche per il personale. E con le scarsissime risorse economiche messe a disposizione, come si potrà attuare la Missione 6 del Pnrr?- si chiede-. Oggi ci troviamo davanti ad una generalizzata carenza di medici specialisti disposti a lavorare per il nostro Servizio sanitario nazionale. Le scelte fatte finora ci stanno portando a un bivio. Sanità pubblica o sanità privata? Se la sanità virerà verso il privato questa scelta comporterà per gli italiani maggiori costi. A causa delle regole di un mercato spietato fatto solo di profitto. Ciò significa addio all’universalismo. All’equità. E all’ uguaglianza dei cittadini davanti alla malattia. Una sanità pubblica debole porterà costi elevati in termini di salute. E questo inciderà inevitabilmente sul sistema produttivo per giornate di lavoro perse. Costando così al nostro Paese molti punti di Pil“.

Desertificazione

Prosegue Antonio Magi: “Già oggi vediamo un territorio desertificato. Ridotto, di fatto, nei numeri delle sue figure principali. Cioè medici specialisti ambulatoriali. Medici di medicina generale. E pediatri di libera scelta. In più stiamo assistendo ad un ospedale che si sta svuotando. La desertificazione della sanità sta portando all’estinzione del professionista del Ssn. Nel corso degli anni, infatti, a causa di scellerate scelte politiche, il territorio non è più riuscito a soddisfare efficacemente i bisogni della gente. Costringendo i pazienti ad andare sempre più in ospedale invece di curarsi a casa o ambulatorialmente”. Non solo. L’Italia sconta la “ridotta offerta specialistica sul territorio. Con meno ore nei poliambulatori”. Ed  è “uno dei principali motivi che ha generato liste d’attesa interminabili, Insieme alla medicina difensiva. E alla domanda crescente di salute delle persone. Purtroppo il modello sanitario pubblico, istituto con la Legge 833 del 1978, ha vissuto numerosi cambiamenti. Il risultato di questi cambiamenti lo abbiamo sotto i nostri occhi. Una sanità sottofinanziata. Differenziata. Diseguale. Poco equa. Sempre più appaltata all’esterno. Meno prodotta dalle aziende sanitarie. Povera di mezzi e di personale che quasi non riesce a soddisfare i bisogni di salute delle persone“.

 

Giacomo Galeazzi: