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Mahsa Amini, due anni di proteste in Iran per le libertà fondamentali

La comunità internazionale chiede alle autorità iraniane di "eliminare, nel diritto e nella pratica, ogni forma di discriminazione contro donne e ragazze"

Un biennio di proteste e repressione in Iran. Ricorre l’anniversario dell’uccisione di Mahsa Amini, la ragazza curda picchiata a morte due anni fa dalla Polizia religiosa iraniana perché non indossava correttamente il velo. L’Alto Rappresentante dell’Ue Josep Borrell ricorda che, per reprimere le proteste che seguirono in tutto l’Iran, le autorità usarono “sentenze durissime in modo sproporzionato, inclusa la pena di morte, contro i dimostranti”. L’Ue si oppone all’uso della pena capitale “in ogni luogo e circostanza“. E sottolinea che “in base al diritto internazionale il divieto di tortura è assoluto”. Le autorità iraniane sono invitate ad “eliminare, nel diritto e nella pratica, ogni forma di discriminazione contro donne e ragazze”. L’Ue e i suoi Stati membri “continuano a chiedere alle autorità iraniane di rispettare e sostenere i diritti dei propri cittadini. Di consentire le manifestazioni pacifiche. E di garantire le loro libertà fondamentali”. Il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, ha promesso che metterà in pratica controlli sulla polizia morale. A riferirlo è il portale dei dissidenti iraniano all’estero “Iran International” che cita la prima conferenza stampa di Pezeshkian da quando è stato eletto presidente.

Iran
Foto di fatemeh momtaz su Unsplash

Appello all’Iran

“La polizia morale molesta ancora le persone? Non avrebbero dovuto farlo, indagheremo la questione. E assicureremo che non diano loro più fastidio”, ha detto Pezeshkian. Rispondendo ad una giornalista che aveva affermato di avere dovuto prendere delle scorciatoie per recarsi al luogo della conferenza stampa per evitare i controlli della polizia morale. Le parole del presidente arrivano nel giorno secondo anniversario della morte di Mahsa Amini, la 22enne di origine curda che ha perso la vita. Dopo essere stata messa in custodia dalla polizia morale a Teheran perché non avrebbe portato il velo correttamente. Un evento che ha scatenato proteste anti governative in varie città iraniane, che sono andate avanti per mesi e sono state represse duramente dalle forze dell’ordine. La repressione e la sorveglianza online da parte delle autorità nella Repubblica islamica non sono diminuite. Arresti, minacce e percosse. Nulla è cambiato per le donne in Iran a due anni dalla morte di Mahsa Amini, mentre era in custodia della polizia. E’ indubbio il successo del movimento “Donna, vita, libertà”. Nato sulla scia della morte proprio della 22enne di origine curda, che era stata arrestata per non aver indossato correttamente l’hijab. Eppure la situazione non è migliorata, second un’inchiesta della Bbc. Numerosi i racconti di donne che hanno subito abusi e violenze per aver sfidato il regime anche semplicemente con dei post online contro il velo.

Iran
Credit: GIULIA PALMIGIANI

Solidarietà

Alef, nome di fantasia scelto per proteggere la sua identità, come molte altre donne ispirate dalle proteste per Mahsa aveva pubblicato una foto sui social media in cui si mostrava in pubblico con i capelli al vento. Ma quello che era un semplice gesto di solidarietà con il movimento “Donna, vita, libertà” è stato notato dalle autorità ed Alef è stata arrestata. Alla Bbc ha raccontato di essere stata bendata, ammanettata e portata in un luogo sconosciuto dove è rimasta in isolamento per quasi due settimane. Durante uno degli interrogatori, hanno cercato di estorcerle una confessione. È stata costretta a consegnare il suo telefono a guardie a volto coperto, che hanno esaminato i suoi post e le sue foto sui social media. Le foto mostravano che aveva partecipato a proteste. E che era stata colpita dalle forze di sicurezza con pistole a pallini. I suoi inquisitori l’hanno anche accusata di lavorare per gli Stati Uniti. Alef è stata accusata, tra le altre cose, di “essere apparsa in pubblico senza hijab” e di “promozione della corruzione e di fornicazione”. È stata dichiarata colpevole e, sebbene la sua condanna fosse stata sospesa, ha subito 50 frustate.

Foto di Mahdiar Mahmoodi su Unsplash

In prigione

“Un agente mi ha detto di togliermi il cappotto e sdraiarmi – ha affermato – Teneva una frusta di cuoio nero e ha iniziato a colpirmi su tutto il corpo. È stato molto doloroso, ma non volevo mostrare debolezza“. La sua storia è simile a quella di altre due donne in Iran che hanno parlato con la Bbc. Entrambe, detenute nella famigerata prigione di Evin, hanno spiegato all’emittente di essere state arrestate e convocate in tribunale con l’accusa di aver commesso “propaganda contro lo Stato” e di aver ricevuto condanne a pene detentive però sospese. Le due donne hanno descritto le pessime condizioni in cui le prigioniere erano stipate in celle piccole, insalubri e fredde, con accesso limitato a docce e bagni. Una di loro, Maral, che è stata incarcerata per più di due mesi, ha detto che dove era detenuta le donne potevano fare la doccia solo una o due volte a settimana nonostante avessero il ciclo. “A volte non ci lasciavano andare in bagno per ore – ha denunciato – Se ci lamentavamo, ci dicevano ‘se collabori puoi andartene prima‘”.

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Iran. Foto: Roberto Virgili

Repressione

Anche i social media di Kosar Eftekhari sono stati passati al setaccio. È stata arrestata e accusata di reati tra cui “propaganda contro lo Stato”, “insulto alle credenze sacre”, “disturbo dell’opinione pubblica” e “blasfemia”. Un mese dopo la morte di Mahsa, Kosar venne colpita ai genitali da un agente della squadra antisommossa con una pistola da paintball. Pochi istanti dopo le ha sparato di nuovo, questa volta all’occhio “con un sorrisetto sul volto” ed è diventata cieca. L’accaduto shock è stato filmato e pubblicato su Instagram. Nonostante le ferite e il trauma, Kosar è diventata ancora più attiva online e ora rappresenta pubblicamente gli iraniani che sono stati colpiti agli occhi dalle forze di sicurezza. Kosar, riferisce l’Adnkronos, è stata condannata a quattro anni e tre mesi di prigione. Le è stato anche proibito di usare i social media e gli smartphone per cinque anni. Ma per evitare di scontare la pena è fuggita in Germania, dove ora si batte per le iraniane. Le autorità di Teheran hanno soffocato le proteste e hanno bloccato internet molte volte. Utilizzando tecniche di phishing per hackerare i telefoni e accedere ai dati delle persone. Le app di social media come Instagram, X e Telegram sono bloccate. Ma molti iraniani aggirano questo problema con strumenti come le Vpn. La recente ondata di proteste si è diffusa principalmente attraverso queste piattaforme. Ed è stata documentata grazie ad esse. Ma a causa della sorveglianza, decine di migliaia di manifestanti sono stati arrestati.

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