Stracci rossi e pentole comunitarie: il grido degli invisibili in America Latina

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Ventinove milioni di nuovi poveri. E’ un rischio concreto quello che sta correndo l’America latina, una delle regioni del mondo più colpite dalla pandemia da coronavirus. E da tutto ciò che ne è derivato. Un quadro drammatico, per un continente che solo poco prima dell’avvento del Covid-19 aveva vissuto una stagione di tumulti sociali che ne aveva minato la stabilità praticamente da nord a sud. In quelle fenditure nel tessuto sociale del Sud America si è inserito il coronavirus, scavando ulteriormente le disuguaglianze, incrementando le condizioni di povertà in alcuni casi e creandone di nuove.

Allarme America latina

Ed è qui che l’allarme cresce: il rischio, evidenziato da Azione contro la Fame, è che il numero dei nuovi poveri aumenti ancora, arrivando a interessare addirittura l’8% della popolazione (67 milioni di persone). Uno scenario che attraversa il continente anche oltre il Canale di Panama, contribuendo alla possibilità nefasta, già evidenziata dall’Onu, che l’obiettivo Fame Zero per il 2030, come evidenziato a Interris.it da Benedetta Lettera, responsabile per l’America latina di AcF, non solo sfumi, ma si ritrovi di fronte a nuovi contesti di sofferenza.

L’America latina è la regione geografica che, negli ultimi cinque anni, più ha sofferto l’incremento dell’insicurezza alimentare a livello mondiale. Un dato significativo, che racconta di condizioni estreme di difficoltà generale per i Paesi del continente. I disagi sociali vissuti da alcuni Stati, anche nell’ultimo anno, bastano a giustificare questa escalation o intervengono anche altri fattori?
“Negli ultimi quattro anni, dopo una serie di dati incoraggianti in ordine all’accesso dei beni di prima necessità da parte della popolazione, il numero delle persone denutrite era già cresciuto di nove milioni. Le cause rilevate da Azione contro la Fame sono numerose: di carattere economico, sociale e politico. Faccio qualche esempio specifico legato ad alcuni Paesi rappresentativi: prima della pandemia, in Perù, il 20% della popolazione già viveva in una condizione di povertà; in Guatemala, che possiede uno dei sistemi sanitari più fragili dell’America Latina, con 13 medici e infermieri per ogni 10.000 abitanti, l’incertezza economica riguardava oltre il 70% della popolazione: si tratta di persone spesso prive di una occupazione e di ammortizzatori sociali; la Colombia, già prima dell’emergenza-coronavirus, faceva i conti con l’abbandono delle aree rurali dopo tanti anni di conflitto armato. Ecco, tali criticità, in una regione in cui una persona su tre viveva una condizione di insicurezza alimentare, sono state esacerbate dagli effetti del Covid-19 e delle misure di contenimento su una economia fragile che si regge su logiche ‘informali’. Il coronavirus, insomma, ha innescato una ‘tempesta perfetta’ esponendo tante persone alla piaga della fame e della scarsità di generi alimentari”.

L’America latina, così come il Centro America, è stato inquadrato dalle Nazioni Unite al centro di una pericolosa deriva, con il rischio di 29 milioni di nuovi poveri. A fronte anche delle limitazioni imposte dal coronavirus, quali strategie possono essere messe in atto per contenere le nuove sacche di povertà?
“Le esigenze di ogni Paese e le cause sottostanti alla insicurezza alimentare delle varie comunità sono diverse, pertanto occorre promuovere una risposta specifica a ciascun caso. È questa la strada adottata da Azione contro la Fame. In Perù, per esempio, abbiamo promosso una rete di coordinamento per fornire cibo alle comunità più fragili; in Colombia, lo staff continua a seguire lo stato nutrizionale dei bambini nelle aree di confine; in Guatemala e Nicaragua, l’organizzazione è impegnata non solo nella fornitura di kit-igiene ma anche nella formazione degli staff locali per l’igienizzazione delle strutture sanitarie. Si tratta solo di alcuni esempi, ma ritengo che siano utili per comprendere in che modo debba essere articolato un intervento differenziato in America Latina per far fronte alle numerose esigenze delle popolazioni locali”.

Negli ultimi giorni è stato evidenziato dall’Oms un grave rischio anche per le popolazioni indigene, probabilmente le più vulnerabili non solo al coronavirus ma anche ad altre malattie. Anche per loro sono poste in essere delle misure di tutela da un punto di vista igienico-sanitario?
“Assolutamente: l’organizzazione, dal canto suo, sta collaborando con le autorità locali sul tema della prevenzione del virus attraverso campagne di sensibilizzazione e la distribuzione di dispositivi di protezione individuale e prodotti per l’igiene. Più in generale, Azione contro la Fame sta lavorando per sviluppare, ulteriormente, le attività di prevenzione al Covid-19, adattandole alle caratteristiche del contesto e alle particolarità delle comunità presenti nella regione. Mi riferisco alla fornitura di strumenti di protezione per il personale sanitario, di prodotti per la disinfezione, dando chiaramente priorità all’accesso al cibo e all’acqua sicura”.

L’incremento delle condizioni di povertà per un’altra larga fetta di popolazione potrebbe rendere estremamente complicato l’accesso alle risorse alimentari, oltre che colpire i sistemi produttivi. C’è il rischio che la deriva peggiori oltremodo problematiche come la disuguaglianza sociale?
“Di fronte ai dati relativi alla fame nel mondo diffusi dall’ultimo SOFI, in America Latina come a livello globale, diventa certamente impossibile garantire il raggiungimento di uno dei più importanti obiettivi di sviluppo del millennio, ‘Zero Hunger’. Allo stesso modo, tale circostanza rischia di esacerbare le disuguaglianze sociali che sono anch’esse alcune delle più note cause strutturali che alimentano la fame, rendendo complicato anche l’auspicio dell’Agenda 2020 di ridurre tutte quelle ‘zavorre’ che minano il naturale e più ‘giusto’ sviluppo di un territorio”.

Pentole comunitarie a Lima e stracci rossi a Bogotà: due simboli dell’emergenza sociale vissuta da queste città e dai loro Paesi. Ma anche richieste d’aiuto affinché i contesti di povertà e insicurezza non restino invisibili…
“Anche le popolazioni sudamericane comunicano, in qualche modo, le difficoltà vissute dalle rispettive comunità. O rispondono alla crisi rispolverando vecchie consuetudini come accadeva negli anni Novanta, quando era in corso un’altra grave crisi economica e alimentare. In Perù, per esempio, la diminuzione del reddito percepito dai lavoratori o la mancanza di introiti legata all’emergenza-coronavirus rischia di cambiare le abitudini alimentari delle famiglie: in tanti hanno sostituito cibi più nutrienti e costosi con altri più economici. Pertanto, ognuno si organizza come può estendendo la rete si solidarietà alle persone più prossime. Il Colombia è stato scelto di raccontare il disagio attraverso un gesto eclatante: gli stracci rossi sono un segnale inequivocabile di esigenze non soddisfatte, di un’emergenza che si somma ad altre crisi, di bisogni a cui noi di Azione contro la Fame stiamo cercando di rispondere in  una vera e propria corsa contro il tempo”.

Damiano Mattana: