Inquinamento atmosferico, cosa fare per la tutela della salute

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Nelle città italiane non si respira ancora una così buona aria. Se infatti nei nostri polmoni sono entrate minori quantità di inquinanti dannosi, i cui livelli nell’atmosfera sono stabili da alcuni anni, come le polveri sottili, l’inquinamento atmosferico è ancora al di sopra della “soglia di sicurezza” per la tutela della salute delle persone e siamo ancora distanti dal raggiungerla.  Una situazione che piazza l’Italia al secondo posto in Europa nella triste “classifica” per le morti premature a causa delle polveri ultrasottili (pm 2.5), 46.800 decessi nel 2021, e altre 11.300 attribuite all’esposizione eccessiva al biossido di azoto (NO2), un gas, sempre nel 2021, in base ai dati dell’Agenzia europea per l’ambiente. Per mettere in sicurezza la salute dei cittadini, nei tempi prescritti dalle istituzioni internazionali, occorre cambiare modello di città, di mobilità e di agricoltura, declinandoli in un’ottica a basse o zero emissioni, per migliorare la qualità della vita di tutti. Lo mette nero su bianco Legambiente con l’edizione 2024 del rapporto “Mal’Aria di città”.

I dati

Lo studio del Cigno verde – simbolo della storica associazione ambientalista – si basa sui dati raccolta da 228 centraline di monitoraggio ufficiali, installate in 98 capoluoghi di provincia italiani, e riporta sia dei valori più bassi dei principali inquinanti monitorati nei centri urbani, pm 10, pm 2.5 e NO2, che la diminuzione delle città che hanno superato il limite di concentrazione giornaliera di 50 microgrammi per metro cubo (µg/mc) di polveri sottili per 35 giorni. Sono state infatti 18 su 98, rispetto alle 29 del 2022 e alle 31 del 2021, ad aver “sforato”. In continuità con gli anni precedenti, sempre riguardo al pm 10, nessuno dei 98 capoluoghi ha oltrepassato il limite normativo di concentrazione media annua fissato a 40 µg/mc. Lo stesso dicasi per uno degli inquinanti ritenuti più dannosi per la salute umana, dato che le sue dimensioni inferiori 2,5 micrometri gli consentono di penetrare in profondità nei polmoni, il pm 2.5. Tutte le città dove è stato monitorato (87) hanno rispettato infatti la soglia annuale di 25 µg/mc. Nota positiva, trend in calo del livello di concentrazione media annuale di biossido di azoto, misurato in 91 città.

Il confronto

Ma se questi valori, complessivamente, rispettano i limiti stabiliti dalla legge italiana, sono comunque superiori a quelli di riferimento previsti nella revisione della direttiva europea sulla qualità dell’aria al 2030 e ancora più distanti da quelli delle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), osserva il documento di Legambiente. In base ai dati 2023, il 70% della città analizzate mostra livelli di pm 10 che vanno oltre quelli fissati per sette anni dopo e la riduzione delle concentrazioni necessaria per raggiungerli oscillerebbe tra il 33% e il 37% – Padova, Verona e Vincenza fino al 50%. Solo L’Aquila risulta già in linea con l’agenzia Onu per la salute (15 µg/mc). Mentre ad oggi nessun capoluogo sarebbe entro la soglia dell’Oms per il pm 2.5 (5 µg/mc) e solo 14 rientrerebbero nei valori della direttiva europea (10 µg/mc). Infine, la metà del campione di città in cui sono stati registrati i livelli di biossido di azoto (45 su 91), mancherebbe il limite europeo e già adesso addirittura il 92% sfora quanto indicato dall’Oms.

L’intervista

Per approfondire i contenuti dello studio, Interris.it si è rivolta al responsabile scientifico del Cigno verde Andrea Minutolo.

Nel rapporto scrivete che il 2023 è stato un anno con poche luci e molte ombre per quanto riguarda la lotta all’inquinamento atmosferico nei centri urbani. Quali sarebbero le “luci”?

“Il numero ridotto di città che hanno superato i limiti di legge e il fatto che solo una, Frosinone, abbia fatto registrare 70 sforamenti, rispetto alle cinque del 2022. La fase acuta di inquinamento meno negativa degli ultimi cinque anni”.

A cosa si devono i valori più bassi rispetto all’anno precedente?

“Non al risanamento atmosferico, ma al fatto che le condizioni metereologiche favorevoli in tutta Italia hanno agevolato la dispersione degli inquinanti, in un anno che è stato complessivamente negativo”.

E quali allora le “ombre”?

“Sono di due tipi. Se la fase acuta è stata minore, i valori medi annuali dei tre inquinanti principali sono in linea con gli anni precedenti, leggermente migliori ma sostanzialmente stabili. Questo non è positivo perché l’Oms nel 2021 ha emanato le nuove linee guida con i valori di riferimento per la tutela della salute che prevedono medie annuali molto stringenti rispetto alle norme attuali. Per fare un esempio, fissano la soglia media annuale per il pm 2.5 a 5 μg/mc, la legge italiana a 25. Quindi se si rimane a 23 o 24 si rispetta il nostro limite ma pur sempre con valori che sono molto superiori a quelli per tutela della salute. Anche quest’anno i cittadini italiani hanno respirato un’aria non buona, se vista alla luce delle soglie dell’Oms”.

Cosa sono il particolato e il biossido di azoto e quali danni possono arrecare alla nostra salute?

“Il particolato, cioè le polveri sottili e ultrasottili, possono compromettere i polmoni e l’apparato cardiocircolatorio. Secondo le stime dell’Agenzia europea per l’ambiente in Italia nel 2021 si sono registrate quasi 47mila morti premature per cause riconducibili anche all’inquinamento atmosferico. Non vanno dimenticate poi altre malattie, come l’asma cronica. Il biossido di azoto è un gas e respirarlo può provocare danni alle strutture cardiovascolari. In generale il problema non sono solo i decessi ma tutti i problemi respiratori in generale, tanto che si stima l’inquinamento atmosferico costi tra i 40 e il 130 miliardi di euro all’anno al nostro sistema sanitario. La tutela dell’aria è anche la tutela della salute”.

Cosa prevede la revisione della direttiva europea sulla qualità dell’aria che entrerà in vigore dal 2030?

“Il valore normativo annuale in Italia per le pm 10 è di 40 μg/mc, per il pm 2.5 di 25 μg/mc e per il biossido di azoto 40 μg/mc. Gli standard in discussione con la revisione le abbassano rispettivamente a 20 μg/mc, 10 μg/mc e 20 μg/mc a partire dal 2030. Il Parlamento europeo vorrebbe fissarle ai parametri prescritti dall’Oms entro il 2035, cioè scendere a 15 μg/mc, 5 μg/mc e 10 μg/mc. Insomma, tra il 2030 e il 2035 ci ‘giochiamo’ il dimezzamento dei limiti e ci vorrà tempo per cambiare tutto quello che serve”.

In “Mal’Aria di città” lanciate l’allarme per il ritardo dell’Italia nel raggiungimento degli obiettivi. Quali ne sono le cause?

“L’inquinamento atmosferico non è come quello acustico, dove è sufficiente spengere la sorgente del rumore e quello termina, perché le fonti di emissioni che immettono queste particelle in atmosfera sono tante. Per fare un esempio, Milano è una città più avanzata di altre sotto il profilo del trasporto pubblico, ma si trova in un catino molto inquinato per cui nemmeno le azioni virtuose sono sufficienti a migliorarne la qualità dell’aria”.

Accennava al trasporto pubblico. Quali possono essere le soluzioni per abbattere l’inquinamento climatico?

“Le ricette vincenti sono la mobilità sostenibile, meno inquinante, l’efficientamento energetico domestico e una riconversione dell’agricoltura dalla quantità alla qualità. La mobilità sostenibile prevede un cambio di approccio radicale, le strade e le città vanno pensate a misura d’uomo per ridurre il numero di macchine. Servono mobilità differenti, più trasporti pubblici, aree pedonali, piste ciclabili, sharing mobility. E quello che non si può eliminare lo si può convertire a emissioni zero. Il cambio di stili di vita deve passare anche dai cittadini, oltre che dalla politica e dalle amministrazioni”.

Qual è invece l’impatto dell’agricoltura?

“Nell’ottica di allevare e coltivare tanto, l’agricoltura intensiva fa un uso eccessivo di fertilizzanti chimici a base di ammoniaca e ricorre a pratiche sbagliate di spandimento dei liquami, cose che hanno un impatto sull’inquinamento atmosferico, soprattutto in zone come la pianura padana. La sua riconversione prevederebbe di puntare sulla qualità delle colture e del bestiame, non sulla quantità, e sul dare respiro al terreno, senza sfruttarlo. Questo comporterebbe migliori risultati nella filiera agroeconomica e nella lotta all’inquinamento”.

Lorenzo Cipolla: