Infermieri, professionisti in prima linea

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Orari interminabili, rischio ponderato ma estremo, mascherine in volto, passione e tanta buona volontà. Una categoria che, nell’emergenza coronavirus, assume un contorno di eroicità quella degli infermieri, professionisti in prima linea per vocazione e, ora più che mai, per senso del dovere a fronte di una pandemia capace di mettere in ginocchio interi Paesi. Lenisce la sfera della quotidianità il Covid-19, costringendo la cittadinanza italiana a riscoprirsi intrappolata fra la paura e la speranza che tutto vada bene, restando nelle proprie case. Gli infermieri no, loro l’emergenza la affrontano sul campo, al fianco dei medici e, forse, addirittura più esposti, poiché maggiormente a contatto con i pazienti.

Coscienza collettiva

Anche su di loro il coronavirus ha riacceso trasversalmente i riflettori, riportando le categorie operanti nell’ambito della sanità alla giusta considerazione, dopo una stagione di forte difficoltà. Alessio, infermiere del Policlinico Umberto I, svolge da anni questa professione, mettendoci, come i suoi colleghi, tutto sé stesso: “Adesso, con un’epidemia in corso, ci si è accorti di quanto medici e infermieri siano esposti. Fino a poco tempo fa della sanità si parlava solo per episodi di difficoltà, alcuni anche poco credibili”. Va da sé che l’emergenza Covid abbia in gran parte contribuito a ridestare l’opinione pubblica su tematiche sensibili, non ultima il rispetto per chi pratica la sua professione su un vero e proprio fronte di battaglia.

L’allerta

Ora, a pandemia in corso, di tempo ce n’è solo per dare il meglio sul campo: “Ogni persona che ha sviluppato i primi sintomi, all’inizio dell’emergenza, non ha ben interpretato la a situazione o l’ha semplicemente sottovalutata. Questo è accaduto un po’ in tutti i settori. E molti si sono ritrovati involontariamente a fungere da untori. Andare poi a individuare tutte le persone con cui sono venute in contatto, chi sia o meno portatore, perché questo è un virus subdolo, che prende tutti anche se alcuni sviluppano sintomi leggerissimi, altri sono asintomatici e altri ancora si ritrovano ad avere complicanze respiratorie che li portano alla terapia intensiva”. Se è al Nord che l’epidemia è esplosa e si è propagata a velocità sostenuta, anche nella Capitale ormai la vigilanza è a 360 gradi: “In ogni presidio sanitario importante c’è un’allerta mai vista. Si rispettano protocolli aziendali che sono in divenire, poiché tutto cambia da un giorno all’altro. Com’è giusto che sia ci si organizza sulla base di ciò che accade”.

Un virus subdolo

In merito al coronavirus, ha spiegato Alessio, la questione ora come ora “non è tanto stoppare la propagazione del virus, poiché in molti la ritengono inevitabile. Il punto è  rallentare l’epidemia, appunto perché in percentuale ci sono troppe persone che necessitano di terapia intensiva e supporto respiratorio. E questo non è possibile proprio a livello numerico: si rischierebbe davvero di creare situazioni paradossali, con un triage come sui campi di battaglia. Se ne è parlato ma bisogna assolutamente scongiurare qualcosa di questo tipo”. Non va dimenticato che il Covid “non prende solo gli anziani o coloro con diverse patologie, il paziente zero ne è un esempio: una persona relativamente giovane e atletica che ha fatto un lungo periodo in terapia intensiva rischiando molto”.

In corsia

Inevitabile, probabilmente, che in una fase delicata come quella legata al Covid-19, la situazione nei reparti vada a modificarsi spostandosi su piani di continua emergenze: “L’infermiere è un professionista laureato, non ha più un mansionario da diverso tempo ed è responsabile dell’attività assistenziale al paziente: organizza, pianifica e si impegna quotidianamente a garantirla. In questo periodo, però, saltano un po’ gli equilibri: questa è la categoria fisicamente più a contatto con il paziente e quindi, in questo periodo, l’assistenza prevede una gestione molto ravvicinata che esula dai programmi standard”. Salta qualche automatismo convenzionale, subentra un po’ di paura poiché resta la consapevolezza che “anche utilizzando le tecniche più appropriate, in qualche modo si porti ai pazienti non infetti il virus e, cosa da non sottovalutare, che lo si porti a casa”. In momenti come questi anche i procedimenti di assistenza vanno a modificarsi, l’attenzione è massima in ogni frangente, dai rimedi più basilari, come il lavare spesso le mani, all’utilizzo di tecniche specifiche di “no touch”.

Rallentare l’epidemia

Servirà tempo per arrivare a conoscere a fondo il virus che ha portato l’umanità a una nuova pandemia. Se ne occuperanno “studi scientifici appropriati“, ai quali si dovrà fare riferimento. Per questo “non è il caso di farsi spaventare dai primissimi studi, perché andrebbero analizzati a livello metodologico. Dalle evidenze che si hanno adesso, ad esempio, la distanza di almeno un metro o più dalle persone che ci sono vicine sembra sia più che sufficiente. Questo virus, inoltre, essendo ‘rintanato’ nelle goccioline della nostra saliva, difficilmente sembra possa rimanere nell’aria per chissà quanto tempo. Andrebbero fatti studi più approfonditi: questo verrà fatto nel tempo e allora si capirà qualcosa di più”. Parola d’ordine ora, anche fra gli infermieri, è impegnarsi per porre un argine alla diffusione: “Per il momento, con queste norme drastiche il contagio deve regredire. I sacrifici che ci sono stati chiesti dal governo sono necessari per stoppare l’epidemia, rallentare significativamente e vincere una battaglia presa inizialmente sotto gamba“.

Direttive a tutela di tutti

Ora si vive alla giornata, in attesa di conoscere novità rilevanti sul virus (e magari sui metodi di contrasto) e costretti a una quotidianità che, forse, nel mondo moderno non faceva più concretamente parte di noi. Con la consapevolezza che, ogni giorno, il mondo della sanità fa la sua parte: “Ora le norme sono state ben recepite, si nota la paura della gente e la tendenza ad apprendere quante più informazioni possibili per evitare il contagio. Ci si sta comportando secondo le direttive. E’ pur vero che, tempo di organizzarsi, ci sono stati più controlli”. Una necessità questa perché, in fondo, “non si può fare affidamento solo sulla coscienza delle persone”.

Damiano Mattana: