Probabilmente, se condividi qualcosa come tremila chilometri di confine comune, qualche schermaglia o qualche contesa alla lunga viene fuori. Diverso il discorso se l’oggetto del contendere diventa il pretesto per dar vita a tensione aspre e di lungo corso, finendo addirittura per tentare di risolvere i dissapori dando la parola a pugni, coltelli e bastoni. Peggio ancora se ti chiami, rispettivamente, India e Cina. Due giganti dell’Asia orientale che, dalle basi operative dei propri entroterra, hanno alzato il barometro della tensione in zona di frontiera. L’Himalaya, sì, il tetto del mondo trasformato in un roof abbastanza grande da contenere gli sfoghi di una contesa che affonda le sue radici nella guerra sino-indiana del 1962. Storicamente l’altro ieri. Sul piano pratico, meno di due settimane fa, quando i militari di stanza al confine, adeguatamente pattugliato da una parte come dall’altra, hanno deciso di dare la parola alle armi. Bianche. Di morti una ventina, per parte indiana. I soli a essere stimati ufficialmente.
Le radici del contendere
Un incidente che ha fatto vibrare le antenne dell’Occidente che, forse, alla disputa sul tratto di Himalaya che separa India e Cina nemmeno ci pensava più. Figurarsi in tempo di Covid. In gergo tecnico si chiama Linea attuale di controllo (Lac) e, già ai tempi di Jawaharlal Nehru, fu la pietra d’angolo su cui si edificò la breve e truculenta guerra sino-indiana. Oggi rappresenta il luogo in cui cinesi e indiani hanno deciso di dar sfogo a una tensione che, negli ultimi mesi, aveva visto pericolosamente innalzarsi l’asticella della sopportazione. Fino al punto di rottura, il primo con delle vittime da cinquant’anni a questa parte. Non certo qualcosa che può far dormire sonni tranquilli a chi vede nella sicurezza dei propri confini la naturale deriva della propria politica.
Le rocce del Ladakh
“I due si affrontano regolarmente da anni – è l’analisi di Nicola Missaglia, ISPI Research Fellow, India Desk -, a partire dalla guerra sino-indiana del 1962, persa dall’India e conclusa con l’occupazione cinese di una porzione di territorio al confine che tuttora New Delhi rivendica. I motivi principali dell’ultimo scontro sono sostanzialmente due: Pechino è nervosa per una strada costruita dall’India per rifornire una base militare, mentre New Delhi contesta addirittura mille incursioni militari nel proprio territorio. Ricordiamo poi che il confine conteso è sempre un motivo di scontro”. Una disamina che, di fatto, pone la questione sul piano della modernità laddove i conflitti affondano in dissapori antichi. La risoluzione medievale della tensione maturata nel Ladakh, altopiano estremo e scarsamente accessibile ma, per paradosso, valico naturale per collegare la Cina al Pakistan (quindi eventuale zona cuscinetto marcata Pechino fra le due potenze nucleari), è divenuta per questo motivo di interesse internazionale.
Superpotenze rivali
In sé, lo scontro avvenuto sull’Himalaya sembra destinato a restare isolato ma il discorso è tremendamente più ampio. E si collega, inevitabilmente, all’ambizione sia cinese che indiana di guadagnarsi il ruolo di leader nell’Asia centrale. In pratica, chiudendo per sempre il discorso del “Paese emergente” per divenire una vera e propria potenza mondiale, riferimento obbligato per la Comunità internazionale nel blocco al di là degli Urali. Non volendo naturalmente considerare la Russia. Il punto, almeno per il momento resta in un ambito contestualizzato ma la posta in gioco resta comunque elevata e non solo perché le parti in gioco hanno dalla loro lo spauracchio del nucleare. Il terreno della contesa è molto più complesso e trae linfa dalle divergenze sostanziali nelle strategie di emersione di entrambi i Paesi. Come spiegato ancora da Missaglia, si parla di “una superpotenza autoritaria in ascesa, la Cina, e una superpotenza democratica nascente, l’India, che malgrado la sua ovvia inferiorità economica e militare rimane pur l’unica nella regione in grado di contestare le ambizioni di Pechino”.
Sfida digitale
Niente di strano che le desolate vette fra Himalaya e Karakorum attraggano magneticamente per motivi che, per una volta, nulla hanno a che fare con l’alpinismo. Le pietre dure del Ladakh, al di là degli accordi raggiunti per una tregua (almeno sulla carta), rischiano di trasformarsi in un terreno dannatamente scivoloso. Basti pensare che, a tempo di record, dalle armi da mischia che hanno regolato i conti fra le pattuglie di confine si è passati a darsi battaglia sul fronte digitale. Nel giro di qualche giorno dal fatidico 16 giugno, l’India ha messo al bando i derivati della tecnologia cinese (nella fattispecie una sessantina di app, fra le quali TikTok), chiudendo di fatto la rete internet nazionale ai prodotti di Pechino. Una decisione che si scontra con i numeri relativi agli utenti, considerando che i giovani indiani sono fra i maggiori utilizzatori dell’app, ma solo in teoria. La mattanza della valle di Galwan sembra aver suscitato più reazioni in India che in Cina. Un’indignazione che ha portato un gelo himalayano nelle relazioni più immediate (quelle digitali) fra i due Paesi. Un terreno di scontro diverso ma che, nel 2020, vale quasi tutto il piatto.