Obiettivo inclusione. Michele Collini è l’amministratore delegato di Tener-a-mente Srl SB. Società che detiene il progetto Make Me. Ideato per attuare “una prassi inclusiva globale”. Ciò significa innanzi tutto abbattere le barriere virtuali (“purtroppo presenti in gran quantità”). Ed eliminare anche quelle culturali. Consentendo un cambio di mentalità sul collocamento delle persone con disabilità. Un passaggio, quindi, “dal pregiudizio alla concreta valorizzazione delle differenze”. Ritenendole sempre più “reali potenzialità“, puntualizza Collini. Ciò attraverso “l’unico strumento in Europa per una concreta ed efficace inclusione lavorativa delle persone disabili“, spiega Colini.
Obiettivo inclusione
“Make Me è già una rivoluzione nel settore del recruiting– evidenzia Michele Collini-. Ma il vero plus valore sta proprio nel generare una nuova cultura dell’inclusione lavorativa. I dati statistici evidenziano la disarmante incapacità italiana circa l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità. Solo 35,8 persone risultano essere occupate su 100 tra i 15 e i 64 anni. Che sono comunque abili al lavoro. Pur avendo limitazioni nelle funzioni motorie e/o sensoriali essenziali nella vita quotidiana. Oppure disturbi intellettivi o del comportamento“. Prosegue Collini: “Di contro, per la stessa fascia d’età il tasso di occupazione delle persone senza disabilità è pari al 57,8%. Con uno spread, quindi, di 22 punti percentuali. Nei paesi UE tale percentuale media era, già dieci anni fa, pari al 50%. Eppure tale dato complessivo era considerato dagli organi dell’Unione assai deludente”. Dunque Make Me è già una rivoluzione nel settore del recruiting. Ma il vero plus valore sta proprio nel generare una nuova cultura dell’inclusione lavorativa. Rovesciandone le prospettive.
Potenzialità
Rita Farnitano è titolare di Around Italy Consulting. E responsabile delle pubbliche relazioni per Tener-a-mente Srl SB. “Contrariamente ai luoghi comuni, oggi abbiamo la grande occasione di uno strumento performante-precisa Farnitarno. ‘Make me’ rende effettiva una vera inclusione nel tessuto lavorativo e sociale. E sarà proprio questa effettiva inclusione il volano della ripresa. Se i datori di lavoro terranno in debito conto delle potenzialità di un ambiente di lavoro ‘allargato’. In cui ogni categoria possa esprimere il meglio di sé. E dove chiunque si senta sicuro e protetto. A prescindere dalle sue condizioni personali”. Puntualizza Farnitano: “Una scelta sicuramente vincente. Sia da un punto di vista sociale che economico. Proprio perché l’individuo è più creativo, più efficiente. Apportando valore all’immagine dell’ azienda presso il personale, gli stakeholders e la clientela”.
Progettare l’inclusione
Infatti, puntualizza Farnitano, “una politica aziendale totalmente inclusiva dà l’opportunità al management di contare su un range più ampio di talenti. Riduce il turnover. E, con un’adeguata applicazione dello smart working come accomodamento ragionevole, limita i livelli di assenteismo e i costi sociali per i periodi di malattia. Aumenta il morale del personale. Minimizza i rischi legali. Fornisce credenziali migliori presso gli stakeholders e presso gli altri attori economici. Migliora il livello di comprensione nei confronti della clientela. E, se questo si traduce anche nella progettazione universale. Aumenta la quota di mercato. Dal momento che un terzo della popolazione acquisisce una forma di disabilità tra i 50 e i 65 anni“.
Competenze
Grazie a ‘Make Me’ dunque “non più dal disabile all’azienda. Ma dall’azienda al disabile“. Ed è qui che si posiziona Make Me. L’unico strumento in Europa per la vera inclusione lavorativa delle persone disabili”. E “Make Me” comporta un cambiamento culturale e organizzativo del sistema pubblico del collocamento disabili. Con un maggiore impiego di risorse e di competenze sul versante della conoscenza delle aziende e degli enti ospitanti. E “uno spostamento del baricentro dell’azione amministrativa. Dalla mera gestione di iter burocratici al conseguimento di risultati effettivi e duraturi“, precisa Collini.
Barriere culturali
Conclude Collini: “Stop alle barriere culturali. Come tali intendiamo anche, e forse in controtendenza, quelle delle persone disabili che, ancora oggi, spesso hanno la mentalità del ‘tutto dovuto’. il disabile deve mettersi in gioco. Pretendendo le pari opportunità ed il rispetto. Ma ponendosi in maniera assertiva. Conscio anche dei suoi doveri di cittadino e lavoratore. Senza complessi di inferiorità. Mentre la società dev’essere accogliente. E vocata a valorizzare le diversità che in essa convivono”.