Tutte le ricerche condotte da Asl, associazioni mediche ed enti di ricerca attestano che in pandemia è
aumentato l’uso di sostanze che creano dipendenza. Per capire il legame tra vecchie e nuove schiavitù ed emergenza sanitaria
Interris.it ha incrociato le
esperienze sul campo degli operatori delle strutture di accoglienza e del personale sanitario. “
Il tossicodipendente è un malato, una persona che soffre di una patologia mentale che ‘cura’ con delle ‘medicine’: in questo modo si illude di uscire da una condizione di cronica fragilità mentale,
prostrazione psicologica e di depressione”, afferma a
Interris.it don Giuliano Fiorentini, fondatore nelle Marche delle
comunità di recupero per tossicodipendenti Oikos, membro effettivo della Federazione italiana comunità terapeutiche (Fict), una ong presente in 17 regioni e che collabora con la
Federazione mondiale delle comunità terapeutiche (Wftc). Prosegue don Fiorentini: “Cocaina, eroina, anfetamine sono sostanze che fanno soffrire di meno
come lo è la morfina che, per lenire il dolore, si somministra ai pazienti oncologici nella
terapia antalgica. La differenza sta in
chi prescrive la medicina. Il tossicodipendente è un auto-terapeuta, si cura da solo la propria malattia dell’anima con sostanze che hanno
effetti psicofisici arrivando al cervello, alle
sinapsi“, perciò “stare chiusi in casa per mesi, trovarsi isolati senza uno sfogo esterno,
senza poter camminare all’aria aperta e sotto il sole ha accresciuto durante il lockdown la necessità di ‘curare’ il male dell’anima con droghe, psicofarmaci, alcol. Nell’angoscia delle trincee della prima guerra mondiale i nostri militari avevano la bottiglietta di “cordiale” e
in Vietnam i soldati americani usavano l’eroina per affrontare il
nemico nascosto nella foresta.
Un nemico invisibile che non vedi finché non prova ad ucciderti. Proprio come il
coronavirus“.
Disagio psicologico
I percorsi terapeutici telematici forniscono indicazioni su come affrontare disagi legati all’astinenza o altre difficoltà di tipo psicologico che si possono manifestare in più situazioni. Visite trasferite in stanze virtuali. Consulenze via WhatsApp e consigli pratici di psicologi e operatori sanitari attraverso video pubblicati sui canali social. Il Dipartimento dipendenze patologiche della Asl Bari ha adottato modalità di accesso on line per assicurare continuità assistenziale agli oltre 2500 utenti cronici attualmente in carico e per garantire loro massima sicurezza, nel rispetto delle disposizioni anti Covid. Sfruttando i vantaggi della tecnologia, gli specialisti della Asl aiutano così le persone che usano sostanze psicoattive, alcol o hanno comportamenti di dipendenza patologica e di rispettare al tempo stesso il divieto di assembramenti e il distanziamento fisico. Per questo molti setting operativi nel Serd di Bari (dipartimento di dipendenze patologiche) si sono trasferiti in stanze virtuali dove si effettuano visite, colloqui psichiatrici e psicologico-clinici, programmi educativi e attività di potenziamento delle abilità sociali. Altri gruppi si riuniscono puntualmente ogni settimana su WhatsApp e su zoom, per ricevere assistenza dagli operatori, e supporto psicologico. E da qualche giorno è partito il progetto “Ci mettiamo la faccia” che consiste nella pubblicazione sui canali social della Asl di brevi video con piccoli consigli pratici da parte degli operatori, che riguardano per lo più cure per i tossicodipendenti e prevenzione delle dipendenze senza sostanze.Per tutelare la salute di pazienti e operatori, nell’ambito delle misure legate alla emergenza Covid, gli interventi in presenza sono limitati a pochi appuntamenti mensili.
Efficacia clinica
Nei casi in cui sia necessario il contatto diretto con gli specialisti, vengono utilizzati tutti gli spazi del dipartimento di Bari, compreso il cortile della sede di via Amendola, o la sala d’attesa, con rigidi controlli delle distanze sociali e uso di dispositivi individuali di protezione e con percorsi differenziati e sicuri.”Stiamo mantenendo anche nella seconda fase della emergenza sanitaria modalità a distanza – spiega il dottor Antonio Taranto, direttore del Dipartimento dipendenze patologiche della Asl – perché abbiamo constatato una efficacia clinica degli interventi in stanze virtuali analoga a quella degli interventi in presenza”. Fra il 4 marzo e il 20 maggio il dipartimento ha continuato ad assistere senza interruzioni 2540 utenti cronici. Nuovi utenti hanno richiesto l’intervento degli specialisti durante il lockdown per disagi di diversa natura come crisi di astinenza, crisi disforiche, maniacali e recidive tossicomaniche. Abbiamo riscontrato la necessità per molti genitori di affidarsi a figure autorevoli nei processi educativi e rieducativi, le difficoltà nella convivenza tra genitori e figli e un aumento delle richieste di collaborazione in casi di violenza domestica”.
Vecchie e nuove dipendenze
Sono diminuiti durante il lockdown i fumatori di sigarette tradizionali, ma
sono aumentati i consumatori di tabacco riscaldato e sigaretta elettronica, alto il numero anche di chi li ha provati per la prima volta proprio durante questo periodo. Tra i fumatori di sigarette tradizionali chi non è riuscito a mettere ha invece aumentato il numero di sigarette fumate. Lo dicono
i dati dell’Istituto Superiore di Sanità realizzati in collaborazione con l’Istituto di Ricerche farmacologiche
Mario Negri, l’Università Vita-Salute San Raffaele, l’Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica (
Ispro) e la Doxa. L’indagine, svolta con l’obiettivo di cogliere gli effetti del lockdown sulle
abitudini al fumo degli italiani, è stata effettuata nel mese di aprile 2020 mediante la compilazione anonima di un
questionario online. Rispetto all’opportunità colta si osserva che diminuisce la prevalenza dei fumatori
durante il lockdown che passa dal 23,3% al 21,9%. 1,4 punti percentuali in meno che corrispondono ad una stima di circa 630 mila fumatori in meno (circa 334 mila uomini e 295 mila donne). Rispetto alle fasce d’età hanno cessato il
consumo di sigarette circa 206 mila giovani tra 18-34 anni, 270 mila tra 35 e 54 anni e circa 150 mila tra 55 e 74 anni. Inoltre un altro 3,5% della popolazione pur non cessando completamente il consumo dei prodotti del tabacco ha diminuito la quantità consumata. “I dati dell’indagine – sottolinea Roberta Pacifici, direttore del Centro nazionale d
ipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità – ci dicono che
il fumatore fortemente motivato ce la può fare a smettere e che situazioni di particolari emergenza sanitaria possono diventare una grande opportunità di salute”. Purtroppo, però, il 9% della popolazione la cui stima è di circa 3,9 milioni di persone ha aumentato o iniziato il consumo di tabacco. Infatti, l’8,55%
ha aumentato il numero di sigarette fumate al giorno e 218 mila persone sono diventate nuovi fumatori. Precisamente il consumo medio di sigarette al giorno è passato da 10,9 a 12,7 con un incremento percentuale di 9,1.
Particolarmente alta la percentuale di incremento delle sigarette consumate al giorno nelle
donne che è stato del 15,2% rispetto al 3,6% riscontrato negli uomini. Gli utilizzatori (occasionali+abituali) di sigaretta elettronica prima del lockdown erano l’8,1% della popolazione italiana (18-74 anni). Durante il lockdown
tale percentuale è salita al 9,1% con un incremento degli utilizzatori di sigaretta elettronica pari a circa
436.000 persone. Tra gli utilizzatori di
sigaretta elettronica che hanno peggiorato la loro condizione di consumatori durante il lockdown, il 38,9% ha incrementato
il numero di puff, il 18,0% ha ripreso regolarmente ad utilizzarla, il 17,0% era un consumatore occasionale ed
è diventato abituale (tutti i giorni), il 13,0% la utilizzava raramente (1-2 volte nella vita) ed è diventato un consumatore abituale, il 13% non l’aveva mai provata prima del lockdown.
Situazione peggiorata
Boom in pandemia dei prodotti a tabacco riscaldato: la metà degli utilizzatori che hanno peggiorato la propria condizione durante il lockdown ha iniziato a utilizzare il prodotto per la prima volta, mentre 1 consumatore occasionale su 5 è diventato abituale, soprattutto giovani Gli utilizzatori (occasionali+abituali) di prodotti a tabacco riscaldato prima del lockdown erano il 4,1% degli italiani (18-74 anni), ovvero circa 1.787.600 persone. Durante il lockdown tale percentuale è salita al 4,4% con un incremento degli utilizzatori di sigaretta elettronica pari a circa 130.800 persone. Tra gli utilizzatori di prodotti a tabacco riscaldato che hanno peggiorato la loro condizione di consumatori durante il lockdown, il 45,0% ha iniziato ad utilizzarli, il 23,1% era un consumatore occasionale ed è diventato abituale (tutti i giorni), il 18,6% la utilizzava raramente (1-2 volte nella vita) ed è diventato un consumatore abituale, il 13,4% ha ricominciato ad utilizzarli durante del lockdown. Coloro che hanno dichiarato di aver aumentato l’uso di prodotti a tabacco riscaldato durante il lockdown sono soprattutto i giovani (18-34 anni) e gli adulti (35-54 anni), coloro che hanno un livello di istruzione alto, coloro che vivono con bambini (0-14 anni), che utilizzano occasionalmente o regolarmente la sigaretta elettronica. La percentuale di chi utilizza i prodotti del tabacco e la sigaretta elettronica è significativamente più elevata tra coloro che hanno dichiarato di avere un consumo di alcol “a rischio”, di consumare cannabis o di praticare il gambling (gioco d’azzardo). Durante il periodo del lockdown gli operatori del Telefono Verde contro il fumo hanno gestito una media di 31 telefonate al giorno (52 nel periodo pre-lockdown) ma la durata di ciascuna telefonata è raddoppiata passando da circa 8 minuti a circa 15 minuti. Sono aumentate le telefonate di fumatori con patologie fumo-correlate e fumatori incentivati a smettere per la paura di essere più vulnerabili al COVID-19. Da parte degli operatori del TVF è aumenta in maniera esponenziale l’offerta di percorsi per smettere di fumare (dal 3% al 18%; da 150 percorsi attivati in 9 mesi a 172 nel periodo del lockdown) e sono raddoppiati l’offerta di informazioni sulla salute (dal 33% al 63%) e il sostegno psicologico (dal 4% all’8%). Non sono mancate telefonate di familiari di fumatori che si sono trovati a subire il fumo passivo in casa o di genitori di adolescenti che si si sono accorti dell’utilizzo dei prodotti da fumo da parte dei loro figli. L’istituto superiore di sanità ha provveduto a lanciare l’aggiornamento dei Centri Antifumo presenti sul territorio nazionale. Tale momento è coinciso con il lockdown pertanto dei 292 Centri Antifumo censiti presso l’istituto superiore di sanità, circa 100 non hanno dato riscontro della loro attività. Negli ultimi tre mesi molti Centri Antifumo sono stati a supporto dell’emergenza Covid-19 mettendo a disposizione locali o personale e al contempo hanno continuato le loro attività offrendo agli utenti assistenza a distanza (telefonate, Sms, videochiamate).