Ieri ha operato un bambino di 10 anni all’ospedale Salesi di Ancona sulle note di un pianoforte acustico intonato a 432 hertz, ritenuta una frequenza “naturale”. L’intervento innovativo ha asportato un duplice tumore del midollo spinale. Ad eseguirlo è stato il neurochirurgico Roberto Trignani con una equipe multidisciplinare da lui guidata. Il professor Trignani è il responsabile del reparto di Neurochirurgia degli Ospedali Riuniti di Ancona. E ha già effettuato interventi straordinari in awake surgery di cui si è parlato in tutto il mondo.
Intervista a Interris.it
Mentre il neurochirurgo Trignani era ieri in sala operatoria, Emiliano Toso, biologo molecolare e musicista compositore, ha suonato un pianoforte a coda. Accordato su quella particolare frequenza. E collocato all’interno della stessa sala operatoria. Allo stesso tempo la componente anestesiologica ed oncologica dell’equipe ha registrato parametri funzionali. E ha dosato markers bioumorali del bambino operato. Per documentare gli effetti terapeutici della musica sull’asse dello stress. E sui sistemi di regolazione della risposta immunitaria ed infiammatoria.
Trignani, metodica awake
Si impegna a “rendere sempre più efficace il collegamento tra ricerca scientifica e attività clinica” e sostiene che “la sanità pubblica deve rispondere al bisogno di salute della maggior parte della popolazione”. E’ uno dei più affermati luminari della neurochirurgia italiana e dei suoi interventi chirurgici d’ avanguardia hanno parlato i mass media di tutto il mondo. Interris.it ha intervistato il professor Roberto Trignani, direttore del reparto di neurochirurgia degli Ospedali Riuniti di Ancona.
Funzioni cerebrali
Il professor Trignani ha effettuato circa 60 interventi in cinque anni in modalità awake con il paziente sveglio e impegnato in altre attività. “Una metodica che ci consente di monitorare il paziente, mentre interveniamo sulle funzioni cerebrali. E di calibrare la nostra azione”, spiega. Si tratta di attività svolte dai pazienti e scelte in funzione dell’area del cervello da operare. Ma anche delle abitudini individuali. C’è chi ha suonato la tromba e il violino o cucinato le olive all’ascolana. Ad Ancona una paziente è stata operata all’area che sovrintende alla vista mentre guardava cartoni animati. Dalla trincea clinica della sanità pubblica, in cosa differisce dalla prima questa seconda ondata di contagi ?
“Ci risiamo di nuovo a confrontarci con il Covid 19. Sicuramente più armati di conoscenze a rendere meno invisibile il nemico. Questa seconda ondata è meno alta e meno travolgente della prima. A marzo era un’escalation rapida e continua di scenari sempre più foschi. Che andavano via via a bloccare tutte le attività in elezione dell’attività ospedaliera. Oggi l’impatto dei pazienti covid-positivi ospedalizzati è meno devastante sull’attività ordinaria”.
Perché?
“Questo è reso possibile da una parte da una serie di filtri studiati per impedire l’accesso dei pazienti positivi in ospedale. Dall’altra dall’attivazione più precoce di terapie mirate a impedire la manifestazione delle complicazioni dell’infezione virale. A fronte di un blocco totale dell’attività ordinaria ospedaliera della prima ondata, oggi il mantenimento di questa attività è garantita da un imponente carico di attività aggiuntive. Che mirano ad annullare la presenza del virus nelle corsie dei reparti specialistici”.
Quali?
“L’esecuzione di tamponi a tutti i pazienti con ricovero programmato. L’istituzione di stanze ‘grigie’ all’interno dei reparti in cui isolare i pazienti ricoverati in urgenza. L’utilizzo continuativo di presidi di protezione individuale. La limitazione dell’accesso in reparto dei familiari. Penso che rallentare la crescita delle infezioni consentirà al sistema sanitario nella sua globalità di imparare a convivere con il virus. E di raggiungere un equilibrio tra quantità di risorse utilizzate e bisogni sanitari innescati dal Covid-19”.
Il rischio è che l’escalation di contagi paralizzi l’operatività di tutti i reparti ospedalieri?
“Purtroppo la sensazione è che siamo all’inizio della nuova ondata meno aggressiva. Ma verosimilmente più duratura della precedente. Le direzioni ospedaliere si stanno adoperando per preservare l’attività ordinaria dei reparti specialistici. Soprattutto di quelli chirurgici. Attraverso un potenziamento della rete organizzativa regionale. E l’individuazione di snodi Covid-dedicati”.Basterà?
“A rosicchiare risorse all’attività ordinaria dei reparti ospedalieri è il progressivo incremento del tasso di infezioni. E l’aumento del numero di pazienti da ospedalizzare. Ciò sta avvenendo progressivamente e lentamente. Peraltro il progressivo incremento del tasso di infezioni arriva spesso a toccare anche gli operatori sanitari. La messa in quarantena degli operatori sanitari va a depauperare ulteriormente le risorse di personale medico ed infermieristico. E questo fenomeno incrementa conseguentemente le criticità organizzative delle strutture ospedaliere”.Quale lezione bisogna trarre dalla pandemia nell’organizzazione del Servizio sanitario nazionale?
“Il punto più debole emerso nel servizio sanitario nazionale durante l’emergenza Covid correlata rimane sempre la medicina territoriale. Il potenziamento della medicina territoriale deve passare attraverso l’ottimizzazione e rimodulazione delle risorse della medicina di base. E attraverso l’ampliamento numerico della figura dell’infermiere del territorio. Potenziare e riqualificare la medicina extraospedaliera significa stringere le maglie del filtro che limita l’acceso dei pazienti nelle strutture ospedaliere”.Quali sono i disagi maggiori che si trova ad affrontare nel suo quotidiano impegno in corsia a causa dell’emergenza Covid?
“Il distanziamento sociale è collaudato come il sistema più efficace di contenimento nella progressione dell’infezione. Ciò in qualche modo cha condizionato anche il rapporto medico-paziente. La costruzione dell’alleanza terapeutica passa attraverso una comunicazione globale, continua e diretta con il paziente ed i suoi familiari. L’utilizzo delle mascherine , la prevenzione dei contatti e la limitazione della presenza di familiari all’interno dei nostri reparti hanno sicuramente impoverito le potenzialità della comunicazione. Mai come in questo periodo gli occhi hanno assunto un ruolo da protagonista nel costruire quel clima empatico alla base dell’alleanza terapeutica medico-paziente”.