Sos fame. “Non rinunceremo a svolgere la tradizionale Giornata Nazionale della Colletta Alimentare che si svolgerà il 28 novembre. Seppure saremo costretti dalle circostanze a rivederne le modalità di svolgimento per tutelare la salute di tutti”, afferma a Interris.it il presidente del Banco Alimentare, Giovanni Bruno.
Contro la fame
Attraverso il Banco, alimenti ancora buoni vengono salvati e non diventano rifiuti. Ritrovando una “seconda vita” negli enti caritativi che li ricevono gratuitamente per i loro assistiti. E che così possono destinare le risorse risparmiate migliorando la qualità dei propri servizi. Donando le eccedenze, le aziende restituiscono loro un valore economico. E se da un lato contengono i propri costi di stoccaggio e di smaltimento. Dall’altro offrono un contributo in alimenti fondamentale per chi è in difficoltà. Il recupero degli alimenti impedisce che questi divengano rifiuti. Permettendo così da un lato un risparmio in risorse energetiche. Quindi un abbattimento delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera. E dall’altro il riciclo delle confezioni. Fin dalla sua origine, Banco Alimentare ha superato ogni aspetto assistenzialista. Ponendo al centro del suo agire la persona (concreta, unica, irripetibile). il motto delle migliaia di volontari è: “condividere i bisogni per condividere il senso della vita”.
Il Banco Alimentare ha da molti anni una capillarità di interventi sociali che lo rende un osservatorio di primaria importanza per rilevare le esigenze dei territori. Quali priorità si riscontrano nell’Italia in pandemia?
“La capillarità è tanto del Banco Alimentare, con la sua Rete costituita da 21 Banchi su tutto il territorio nazionale. Quanto della rete di ormai circa 8 mila strutture/enti caritativi accreditati con noi. Il bisogno primario di fatto resta il cibo, elemento fondamentale per tutti. Ma i bisogni sono tanti. La povertà educativa è andata crescendo con la pandemia”.
In che modo?
“L’emergenza Coronavirus ha anche evidenziato grandi differenze sul territorio. Soprattutto per quanto riguarda l’accesso agli strumenti digitali. Resi sempre più importanti dalle norme di sicurezza e dalla chiusura delle scuole”. Qual è il profilo del benefattore-tipo del Banco Alimentare?
“Il Banco Alimentare, per fortuna, ha sempre visto una grande, chiamiamola così, trasversalità. Direi che quindi è molto difficile individuare un donatore-tipo. Probabilmente una considerazione possiamo farla per l’età. Sembra, e ha una sua logicità, che maggiormente siano gli over 50 a donare di più”.E l’identik del beneficiario-tipo?
“Anche i beneficiari sono generalizzati. Italiani e stranieri al 50/50%. Ma sempre più famiglie giovani con figli e persone. Con un minimo di lavoro che non riescono a provvedere alla famiglia. Occorre considerare che la realtà è fatta in stragrande maggioranza da coloro che faticheresti a prima vista a definire poveri. Perché si sforzano di conservare una apparenza di “normalità” con grande dignità. Dovendo scegliere però ogni giorno se mangiare o acquistare medicine. O fare una visita medica oppure fare un acquisto per i figli”. Un’emergenza sanitaria e sociale di queste dimensioni ci rende più solidali o più egoisti?
“Nulla avviene automaticamente. Certamente la reazione iniziale dei più, grazie a Dio, è stata la dimostrazione di un grande moto di solidarietà. Sia da parte dei singoli cittadini sia parte delle aziende noi”.Può farci un esempio?
“Come Banco Alimentare, abbiamo potuto direttamente constatare una grande generosità spontanea. E una grande risposta alle richieste di aiuto da parte per esempio delle aziende del settore agro-alimentare. Ma come sempre tutto ciò va alimentato. Ed educato sia attraverso il richiamo continuo ad una dimensione di solidarietà sia attraverso gesti concreti”.Quali fasce sociali sono maggiormente esposte all’incertezza economica?
“Abbiamo potuto vedere subito che i primi ad essere colpiti sono stati i precari. E i lavoratori autonomi, le famiglie giovani con figli. Tutto il mondo dell’intrattenimento e della ristorazione. Oggi sono i dati Istat a confermarcelo. 840 mila disoccupati in più rispetto ad un anno fa e quasi tutti nei servizi. Difficile non immaginare un peggioramento della situazione. Visto, per esempio, il prossimo sblocco dei licenziamenti”. Quale Italia avremo dopo la pandemia?
“Difficile dirlo. Certamente, come punto di partenza, un’Italia più povera, in cui le disuguaglianze non potranno che aumentare. Sarà necessario un importante sforzo di tutti e sarà cruciale tenere conto. E valorizzare il fondamentale contributo che il terzo settore ha sempre dato alla tenuta della coesione sociale nei territori”.A cosa si riferisce?
“Mi permetto di citare quanto, ben prima della pandemia, scriveva Ferruccio De Bortoli nella presentazione di un breve testo, ‘Appunti per una riscossa civica’, pubblicato nel maggio 2019. “A me sembra che il Terzo settore sia la piattaforma del riscatto civico. Se vogliamo trovare degli elementi di fiducia e di speranza. Una capacità non soltanto di reagire a situazioni emergenziali. Ma anche di far sì che cresca una coscienza civica e il bene comune possa moltiplicarsi'”.Su quali forze potete contare?
“La capillarità, di cui si parlava all’inizio, delle strutture caritatevoli di ogni tipo ramificata in tutta Italia è costituita da volontari. Sono sul territorio e conoscono il volto, la storia di chi ha bisogno. Di chi si rivolge a loro o che loro vanno a cercare. Le istituzioni hanno bisogno di questo”.Perché?
“Non basta conoscere il bisogno. Occorre conoscere il bisognoso perché si realizzi inclusione, coesione sociale e non abbandono. L’Italia subito dopo la pandemia sarà quindi un’Italia che avrà bisogno della responsabilità di tutti. Perché quello che potrà diventare dipenderà dalla consapevolezza e responsabilità di ciascuno”.