La famiglia Sharma: storia di un’immigrazione complicata

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Emi Rehana Ferdous è un’operatrice sociale e interculturale presso l’associazione Pace Adesso di Bologna. Nel corso della sua professione, ha avuto modo di scoprire le storie di numerose famiglie che hanno deciso di immigrare in Italia alla ricerca di migliori condizioni di vita. Purtroppo, non tutte le storie che ha avuto modo di conoscere hanno avuto un esito positivo: tra di esse, ha riscontrato una presenza di casi di immigrazione fallimentare. In questa intervista, Emi ci racconta quali possono essere le difficoltà di tipo familiare, culturale e sociale per una famiglia che immigra in Italia.

Un caso emblematico

Nel 2010 all’età di 43 anni, Chirag Sharma decide di lasciare il suo paese di origine, nel subcontinente indiano, per emigrare in Italia. Il suo scopo è quello di sostenere economicamente la famiglia, che ha lasciato in Pakistan, composta dalla moglie Manisha e i loro tre figli. Mentre erano nel paese di origine, Chirag ha studiato all’università ma non abbiamo notizie della sua attività lavorativa, mentre Manisha ha ottenuto la qualifica di staff nurse e ha lavorato come assistente infermieristica, qualifica che però purtroppo non è riconosciuta in Italia. All’inizio del 2016, Chirag in Italia apre un negozio di generi alimentari ma, alla fine dell’anno, subisce un grave incidente. Viene trovato sanguinante proprio di fronte all’attività: ha subìto una vera e propria aggressione. L’uomo viene trovato privo di sensi e trasferito con l’ambulanza in ospedale dove rimane in coma e, per via dell’aggressione e di una malattia neurologica da cui era stato colpito, non riesce a ricordare nulla di quanto successo. Rimane in ospedale per diversi mesi, fino a metà 2017 e, una volta dimesso, gli viene riconosciuto lo status di invalidità totale e inabilità al lavoro per i danni neurologici subìti e per via delle patologie croniche provocate. In questo periodo, Manisha viene a visitare il marito in Italia e su consiglio dei servizi sociali e con l’appoggio della sorella che era già in Italia da tempo con la sua famiglia, decidono di richiedere il ricongiungimento familiare. Nell’agosto 2017, la famiglia Sharma si riunisce a Bologna e qui inizia il loro lungo e accidentato percorso di inserimento nel paese. La famiglia contatta i servizi sociali e gli enti che si occupano degli aspetti legali e burocratici tra cui, fondamentali, i permessi di soggiorno. Arriva febbraio 2018 e la famiglia riceve degli aiuti economici dalla Parrocchia di Santa Rita, presso la quale Emi era volontaria. Chiedono aiuto anche ai servizi sociali per inserire i figli a scuola e ottenere assistenza per il signor Chirag che, in seguito all’incidente, non si era ancora ripreso completamente. Manisha e i figli seguono un corso di lingua italiana presso l’associazione Penny Wirton che fa parte dell’associazione Pace Adesso ma, per Manisha, risulta difficile frequentare le lezioni dato che doveva seguire il marito che, a causa della sua grave condizione, non poteva essere lasciato solo. È proprio in questo periodo che la famiglia entra in contatto con il centro di ascolto e orientamento Pace Adesso di Bologna, gestito da Emi, al quale si affidano per ricevere assistenza. L’associazione apprende che Manisha era già in contatto con i servizi sociali ma non aveva ricevuto aiuti validi: erano numerosi e urgenti i problemi di carattere legale, economico e sanitario da affrontare, il tutto in una famiglia numerosa di cui la signora Manisha doveva occuparsi.

Fortunatamente, i figli riescono a inserirsi rapidamente negli istituti scolastici ottenendo buoni risultati ma, al contrario, Manisha non ha il tempo per poter seguire il corso di lingua italiana data la condizione difficile della famiglia e i problemi di salute del marito. La lingua diventa quindi per Manisha uno “scoglio” che le impedisce di comunicare efficacemente con le istituzioni: lei parla l’urdu, conosce un po’ di inglese e pochissimo italiano. Inoltre, gli assistenti sociali hanno scarse nozioni in merito all’antropologia e alla cultura da cui proviene la famiglia e interviene quindi il centro di ascolto e orientamento per aiutare le due parti nella comprensione reciproca. Oltre alla lingua, è evidente lo smarrimento di Manisha di fronte all’apparato burocratico e legale, utile a richiedere i sussidi, proposti dai vari enti, a cui la famiglia aveva diritto. Il centro di ascolto e orientamento decide quindi di prendersi cura degli aspetti più urgenti e importanti per la famiglia: chiudere correttamente l’attività commerciale del marito e verificare presso l’Agenzia delle Entrate e l’INPS la situazione dei contributi e di aiutare la famiglia nell’ottenimento di sussidi. Tutto ciò non risulta semplice, perché serve l’assistenza di professionisti come avvocati e commercialisti e l’accesso agli uffici pubblici, dove ci sono lunghe code di attesa e gli operatori spesso non hanno il tempo per spiegare a Manisha le complesse procedure da seguire.

Il budget domestico è minimo, quindi la famiglia riceve degli aiuti da parte della sorella di Manisha, dalla Parrocchia e da altri enti caritativi contattati dal centro di accoglienza e orientamento. I servizi sociali assicurano qualche sussidio economico, ma faticano inserire Chirag in un centro sociale diurno, in cui potrebbe trascorrere la giornata ed essere seguito, per poter permettere alla moglie di frequentare dei corsi di lingua italiana e dei corsi di formazione per il lavoro, pur continuando a seguire la famiglia e tutte le incombenze legali e burocratiche. A fine 2018, alla famiglia viene annunciato lo sfratto dato che, la casa in cui vivevano, era risultata inagibile e dovevano quindi essere eseguiti dei lavori di ristrutturazione. I servizi sociali propongono di inserire la famiglia in un alloggio di emergenza fatiscente, pagando un affitto mensile, ma sollevati da spese importanti come il riscaldamento. Per ottenere l’alloggio, la famiglia deve concordare e sottoscrivere un patto in cui si impegna a seguire un percorso di “uscita” dalla situazione di indigenza seguendo le indicazioni dei servizi. A febbraio 2019, viene assegnato alla famiglia un piccolo appartamento di 45 metri quadri che si trova in una palazzina che ospita altre famiglie che si trovano nella stessa situazione di emergenza. Questo fattore non è di aiuto per loro perché tutte quelle persone sono in condizioni di sofferenza estrema e gli operatori che lavorano in questa struttura non riescono a dare una soluzione immediata per aiutare le famiglie. La condizione è tutt’altro che ottimale per la famiglia e la situazione viene così aggravata, specialmente per quanto riguarda il rapporto tra genitori e figli. La figlia vive una grande crisi e, inizialmente, viene seguita dallo psicologo e poi nel 2019 viene seguita dal CSM. Con l’arrivo della pandemia, la situazione peggiora e per questo la famiglia non ottiene il rinnovo del permesso di soggiorno perché i membri non hanno stipendio e alloggio adeguati. La situazione viene presa in mano da un avvocato che presenta diverse istanze, descrivendo le difficoltà della famiglia e di ogni suo membro. Senza permesso in corso in validità, scade l’assistenza sanitaria di base e quindi la famiglia deve ricorrere all’aiuto delle associazioni di volontariato che seguono coloro che sono privi dell’assistenza sanitaria nazionale.

Chirag, nel mese di novembre, viene portato in Pronto Soccorso per un ascesso. A causa dei suoi problemi di salute di natura neurologica, l’uomo non accetta le cure e quindi si cerca di ricucire la sua storia clinica. Il centro di ascolto e orientamento lo accompagna in un percorso di visite che si conclude, dopo qualche mese, con una nuova terapia neurologica e un ricovero programmato per effettuare un’operazione chirurgica. Nell’anno che segue, Urvi, la figlia maggiore, conclude nel mese di giugno il corso di studi presso una scuola professionale. I servizi sociali, nonostante i suoi buoni risultati scolastici, le indicano di non proseguire gli studi e le promettono di trovare un lavoro sia per lei che per il secondogenito.

Nel 2020 la situazione resta stabile ma pur sempre difficoltosa: l’alloggio è inadatto per una famiglia composta da cinque persone, la famiglia ottiene solo alcuni sussidi e non delle vere e proprie entrate da lavoro regolare, Manisha è impossibilitata a seguire corsi di lingua o di formazione, mentre Chirag continua ad avere diversi problemi di salute sia fisici sia psichici.

Arriva il 2021 e a maggio la famiglia, dopo avere richiesto infinite volte di poter ottenere un alloggio più grande, viene trasferita in un appartamento con una stanza in più rispetto a quello precedente. Da qualche mese, Urvi lavora come babysitter senza contratto regolare, ma sembra che la vogliano regolarizzare e l’intera famiglia è ancora in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno.

Alcune riflessioni…

Emi, seguendo questa famiglia e avendo a lungo discusso e approfondito la loro situazione, anche con frequenti incontri con i servizi sociali, ritiene fondamentale sottolineare alcuni aspetti che purtroppo ha riscontrato in molte delle famiglie con cui ha avuto modo di lavorare. Il sistema di accoglienza per gli immigrati è spesso fortemente criticato per molti aspetti a tutti noti, ma tuttavia non è ancora stato rivisto se non per correggerne solamente qualche aspetto. Di base, il rapporto tra istituzioni e immigrati risulta passivo, come se l’accettazione di questo gruppo fosse “forzata”. Non vengono considerate la storia, le potenzialità e le problematiche (che sono sempre molto personali) dei soggetti in causa al fine di valutare il più correttamente possibile la loro condizione, per raggiungere il loro inserimento concreto e positivo nella società. Non vengono considerati i fattori di salute e di difficoltà gravi come pregressi traumi, ferite fisiche o psicologiche e lesioni gravi dei diritti umani, dando quindi un aiuto che spesso è al limite della sopravvivenza.

Sembrerebbero essere ignorate le potenzialità dei soggetti che non riescono nemmeno con aiuti continuativi nel tempo a superare le fasi di difficoltà per raggiungere uno stato di autonomia. Gli aiuti che vengono erogati, non solamente di carattere economico, sono tali per cui queste persone spesso restano per mesi, anni, decenni, in un limbo dal quale è praticamente impossibile uscire. Oltre al grave danno psicologico, si perdono così risorse preziose: tutti i cittadini italiani versano delle tasse utili al mantenimento di questi enti (servizi sociali, avvocati, tribunali, commissioni assistenziali, servizi sanitari, previdenziali, sussidiari ecc.) che però non raggiungono, se non raramente, lo scopo che apparentemente si prefiggono. È fondamentale inoltre sottolineare il danno morale che colpisce gli immigrati che si vedono continuamente emarginati e non considerati, ma comunque fruitori di servizi di scarsa qualità, da cui non ottengono alcun incentivo concreto per entrare a far parte a pieno titolo nella società italiana, mantenersi autonomamente e contribuire al benessere della collettività.

Invece di investire tempo, denaro che non portano ad un risultato concreto e positivo, alla famiglia Sharma potrebbe essere offerto un progetto con tempistiche e clausole specifiche. L’accordo potrebbe essere quello di dar loro il permesso di soggiorno, con l’impegno di arrivare alla conclusione del progetto entro un tempo prefissato massimo di due anni. In questo periodo, alla famiglia si dovrebbe assicurare in primo luogo l’inserimento di Chirag in un centro diurno dove essere seguito. In questo modo, alla moglie potrebbe essere data l’opportunità di frequentare un corso di lingua italiana e dei corsi di formazione per il lavoro. I corsi di formazione sarebbero inoltre fondamentali anche per i figli per ottenere poi l’accesso al mondo del lavoro e contribuire al mantenimento della famiglia. Con la creazione di un progetto simile si aiuterebbe la famiglia ad affrontare un percorso con lo scopo di raggiungere una vera e propria autonomia. Per queste ragioni, sarebbe utile aprire un dibattito in merito al tema per permetterci di lavorare con lo scopo di realizzare una società dove dignità e giustizia si intersechino con efficacia ed efficienza, per il bene di tutti noi.

Beatrice Koci: