Il vescovo della prima zona rossa d’Italia: “Sos disuguaglianza”

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Nella sua diocesi la prima zona rossa d’Italia. A Codogno e nei comuni colpiti per primi in Occidente dalla pandemia, il vescovo di Lodi, monsignor Maurizio Malvestiti non ha mai fatto mancare aiuto e vicinanza attraverso le parrocchie e le attività caritative e assistenziali della Chiesa. “La priorità indiscussa resta sicuramente quella della tutela e salvaguardia della salute– afferma a Interris.it monsignor Malvestiti-. Ma il Papa giustamente richiama l’attenzione anche al fatto che la pandemia ha messo in rilievo e aggravato i problemi sociali, soprattutto la disuguaglianza“.

Vescovo del dialogo

Bergamasco di Marne, sacerdote dal 1977, ha lavorato come educatore, insegnante e vicerettore delle medie al Seminario di Bergamo. Dal 1994 al 2009 nella Curia romana è stato officiale e in seguito capo-ufficio della Congregazione per le Chiese Orientali, dove ha prestato servizio anche come segretario particolare dei tre cardinali prefetti che si sono succeduti alla guida del dicastero vaticano (Achille Silvestrini,  Ignace Moussa I Daoud, Leonardo Sandri). Dal 2009 sottosegretario della Congregazione per le Chiese Orientali, responsabile dell’Ufficio studi e formazione, membro delle commissioni bilaterali tra la Santa Sede e gli Stati di Israele e Palestina, docente nel Pontificio Istituto Orientale e rettore della Chiesa di San Biagio degli Armeni a Roma. Nel 1996 è stato nominato Cappellano di Sua Santità e nel 2006 Prelato d’Onore. vescovo di Lodi dal 2014, attualmente è anche incaricato per l’ecumenismo e il dialogo nella Conferenza episcopale lombarda e membro della commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo.Monsignor Malvestiti, quali sono gli effetti sociali della pandemia dal suo osservatorio di vescovo in prima linea nell’assistenza alle fasce maggiormente colpite dall’emergenza sanitaria?

“Le fragilità che la crisi Covid ha prodotto e aggravato in ambito sociale sono piuttosto evidenti. L’aumento della disoccupazione, la difficoltà delle scuole e degli asili, la chiusura di tanti servizi che hanno richiesto una riorganizzazione della famiglia stessa e delle donne lavoratrici e mamme in particolare”.

Il comune di Codogno, in provincia di Lodi

La famiglia è stata la spina dorsale della società soprattutto nei momenti più bui della crisi Covid. Cosa bisogna fare ora secondo lei per non lasciare soli i nuclei familiari?

“La comunità cristiana e quella civile sono chiamate a scelte lungimiranti di riconoscimento e sostegno della famiglia per l’importanza primaria che essa ricopre nella società. Il suo valore è talmente elevato che non si può ‘misurare’, perché si fonda sulla gratuità delle relazioni, trasmette valori e virtù, crea capitale umano. È necessario sostenere la famiglia. La sua stabilità è fondamentale e lo è ancor di più in un momento di crisi come quello attuale”.

Foto © Gerald Herbert per AP

A cosa si riferisce in particolare?

“Ci si preoccupa giustamente della ricaduta dell’emergenza sanitaria sugli aspetti economici e sociali, ma si fatica a riconoscere che la “prima economia”, la “prima impresa” è proprio la famiglia, quale luogo primario di educazione, cura sanitaria, solidarietà… È un patrimonio dal quale non si può prescindere. Essa è generativa per natura e, se valorizzata e sostenuta, produce ben-essere. La famiglia non è solo destinataria di beni e servizi, essa è la principale risorsa di una valida economia. Ma l’economia deve servire la famiglia, non viceversa”.In che modo si può intervenire?

“La famiglia è da riconoscere quale nucleo centrale della comunità cristiana e della società civile. Bisognerebbe però riscoprire quell’’umanesimo familiare’ che si fonda sulla solidarietà, contrasta l’individualismo e si apre ad una prossimità che ricerca il bene comune. Dal punto di vista ecclesiale incoraggio spesso le famiglie ad essere “chiesa domestica”, invitandole a vivere con convinzione le tre dimensioni fondamentali dell’annuncio, della celebrazione e della testimonianza”.Quali emergenze ha fatto emergere l’emergenza sanitaria?

“La crisi ha fatto emergere i lavori talvolta non tutelati (pensiamo ad esempio a colf e “badanti”) e messo in difficoltà chi già viveva equilibri precari. Penso ai lavoratori a tempo determinato ai quali non è più stato rinnovato il contratto. Questi sono temi che investono e devono preoccupare tutta la comunità. A tal proposito all’inizio della pandemia ho voluto istituire un Fondo di solidarietà per le famiglie in difficoltà a causa della perdita lavorativa. Dare sostegno è fondamentale, ma una sana ripartenza deve coinvolgere anche istituzioni, imprese e società ed essere inclusiva delle persone e rispettosa dell’ambiente”Può farci un esempio?

“Un’economia che vuole ‘guarire’ deve ripensare ai concetti di responsabilità e sostenibilità, trovare la giusta misura tra esigenze produttive e sostenibilità ambientale di lungo periodo, promuovendo valori rispettosi dell’uomo e volti alla salvaguardia del bene comune. Dalla crisi possono emergere cambiamenti culturali. Se da questa crisi si vuole uscire migliori è indispensabile avere cura del creato e ricercare la giustizia sociale”.Quale contributo sociale riscontra tra i giovani?

“La tipologia dei giovani che incontro visitando le parrocchie della diocesi è variegata. Molti li trovo fuori da qualche locale che chiacchierano sorseggiando qualche drink, altri in incontri organizzati dagli Oratori, altri ancora nei luoghi di lavoro o nelle scuole.  Un denominatore comune è sicuramente la voglia di stare insieme e di stare bene. Se presi come ‘massa’ potremmo registrare quel disinteresse che si diceva nella domanda, ma incontrati singolarmente o a piccoli gruppi lanciano il loro grido, come cercatori di senso”.In che modo si può valorizzare l’apporto delle nuove generazioni al bene comune?

“Riscoprendosi protagonisti della propria vita e del mondo sapranno avere a cuore i grandi temi che muovono l’uomo. Diventando costruttori di pace, custodi della famiglia, amanti del creato, cittadini e non solo ospiti, attori di una vita interiore che porta ad Altro. Mai si deve disperare dei giovani se tentiamo sempre l’incontro. Ci sono diversi passi del Vangelo con ‘un gusto particolarmente famigliare’, tra questi il brano in cui i discepoli si stringono intorno a Gesù e gli domandano: “Signore, insegnaci a pregare”. (Lc 11,1) Il Maestro risponde insegnando la preghiera del Padre nostro. Nella richiesta dei discepoli intravediamo i nostri ragazzi che sono alla scoperta di ciò che li circonda e desiderano imparare cose nuove”.In che modo la fede può cambiare la società a partire dalla vita familiare?

“La famiglia è il primo luogo in cui i piccoli ricevono quegli input per soddisfare la loro sete di ricerca. Questo avviene anche per quanto riguardo la vita di fede! La stessa risposta di Gesù richiama la famiglia di ciascuno di noi, attraverso la figura del padre. Come noi, anche Gesù fa l’esperienza di avere un padre che lo educa, gli mostra l’arte del falegname, lo corregge, lo fa crescere. Come Gesù anche noi scopriamo di avere un Padre che è Dio! Un Dio che ci ama come figli e nei nostri confronti usa misericordia e tenerezza”.

Giacomo Galeazzi: