“Come Comunità Papa Giovanni XXIII ci stiamo operando per l’accoglienza di detenuti anche minorenni in tempo di urgenza sanitaria procurata dal coronavirus al fine di alleggerire il peso del sovraffollamento nelle carceri italiane. Abbiamo già individuato alcune case in cui poter svolgere in caso di positività al Covid-19 la quarantena nelle nostre strutture appositamente selezionate, permettendo al detenuto di stare separato dagli altri e fuori dalla struttura penitenziaria. Il progetto è stato avviato in collaborazione con il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della Giustizia”. A parlare a In Terris è Giorgio Pieri, responsabile della Comunità Educante con i Carcerati (Cec) dell’Associazione Papa Giovanni XXIII fondata dal Servo di Dio don Oreste Benzi. “L’uomo non è il suo errore! E’ necessario passare dalla certezza della pena alla certezza del recupero”, diceva sempre don Oreste. Questo progetto va nella direzione desiderata dal prete riminese per il quale si è chiusa la fase diocesana della causa di beatificazione nel novembre scorso.
Il progetto
“Il progetto d’accoglienza – prosegue Pieri – è stato reso possibile grazie al fatto che varie Regioni, in collaborazione con il Ministero della Giustizia e Cassa Ammende – che finanzia diversi interventi di recupero e reinserimenti di detenuti – hanno deliberato una cifra – circa 20 euro al giorno – per l’accoglienza di detenuti. Può sembrare una cifra non altissima, ma è comunque molto significativa per l’inizio di un cammino di recupero e di speranza. Noi, come ApgXXIII abbiamo subito mostrato interesse per i bandi regionali. E’ già stato avviato un tavolo di lavoro tra Ministero, Regioni e Enti beneficiari e, come associazione, abbiamo dato disponibilità in diverse strutture. Nello specifico, le case di Piasco, Cuneo, la cooperativa Il Pungiglione a Groppoli di Mulazzo (MS), la cooperativa sociale Centro Rinascere a Montecchio Maggiore (VI). In Emilia Romagna abbiamo inoltre già attive 4 case di accoglienza”.
“Rimaniamo contagiati dalle buone pratiche”
“Questa stretta collaborazione tra più parti, politiche e sociali – evidenzia Pieri – sono la dimostrazione concreta di come un’emergenza qual è il covid-19 possa marcare le grandi crepe del sistema carcere. E, al contempo, evidenzi la necessità di abbandonare il vecchio modello carcerario a favore dell’utilizzo di strutture piccole a tutela della salute delle persone recluse in un ambiente sano ed educativo. Come Papa Giovanni, confidiamo che una volta finita l’emergenza coronavirus, potremo rimanere contagiati dalle buone pratiche messe in campo in questa fase acuta e tanto particolare. Questa è la nostra speranza: che i detenuti possano continuare ad essere accolti fuori dal carcere nelle nostre case; da parte nostra, la collaborazione con il Ministero della Giustizia è massima e assicuriamo la totale disponibilità di uomini e strutture adatte”.
Case-famiglia
“Come abbiamo fatto finora: accogliendo da anni carcerati nelle nostre case-famiglia sparse in diverse Regioni, a costo 0 per lo Stato”, rimarca Pieri. La CEC (Comunità Educante con i Carcerati) è un progetto innovativo che si pone come obiettivo la rieducazione del carcerato. La metodologia su cui si basa è ispirata al metodo APAC (Associazione per la Protezione e Assistenza ai condannati) nato in Brasile negli anni ’70. Alcuni membri del servizio carcere della Comunità Papa Giovanni XXIII nell’anno 2008 hanno visitato il carcere di Itauna nello stato di Minas Gerais gestito con questo metodo. da tale esperienza è nata la Cec. Ad oggi, in Italia, 290 detenuti ed ex detenuti comuni seguono un percorso educativo personalizzato in una ventina di “case Cec”, due delle quali aperte in Camerun, e in alcuni appartamenti per l’accoglienza. E 40 carceri sono visitate ogni settimana dagli operatori dell’Apg Xxiii per offrire sostegno morale ai detenuti, in particolare quelli che espiano pene lunghe. “Durante questa esperienza ormai ventennale – prosegue Pieri, responsabile del progetto CEC – abbiamo constatato la validità del nostro metodo: infatti, solo il 15% di coloro che portano a termine il programma di recupero dell’Associazione torna a delinquere a fronte di una media nazionale di recidiva del 70%”. [Per approfondire, leggi anche: L’uomo non è la sua colpa: la Comunità Educante con i Carcerati, dnr]
Il sogno di don Oreste
“In questo momento, inoltre, molte altre realtà comunitarie (oltre alla Papa Giovanni) stanno dando la loro disponibilità all’accoglienza. Un bellissimo segno perché significa che quando lo Stato assicura un contributo economico anche minimo tante forze in Italia si attivano aprendosi all’accoglienza dei detenuti, rendendo superflue le prigioni. Questo era il sogno di don Oreste: costruire alternative affinché il carcere diventi una istituzione inutile. Noi, a distanza di 13 anni dalla morte del nostro fondatore, continuiamo a credere che questo sogno sia possibile perché l’uomo che sbaglia ha bisogno di un’occasione di riscatto, non di essere abbandonato nel fondo di una cella”.
Ecco, nel video sottostante, la testimonianza di un carcerato, Kosmin, che ha scontato una pena alternativa al carcere: