Il ruolo della ricerca scientifica in una società più equa

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“L’Italia nel 2017 ha investito circa l’1,3% del Pil in ricerca, con una media europea del 2%. E Francia  e Germania rispettivamente al 2,2%  e al 3%“, afferma a Interris.it la professoressa Patrizia Laurenti, docente di Igiene all’Università Cattolica del Sacro Cuore. E direttore dell’Unità operativa complessa (Uoc)di Igiene Ospedaliera al Dipartimento salute della donna, del bambino  e di sanità pubblica della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs.

Ricerca scientifica e pratica clinica

Secondo la professoressa Laurenti, “riscoprire il valore sociale della medicina, significa riscoprire il ruolo del medico nella società. Troppo spesso abituata ultimamente a fare a meno di questo professionista. In considerazione del ruolo che la rivoluzione digitale, la rete e i media hanno assunto. Anche come strumento di informazione medico-scientifica. Senza nulla togliere al valore di alcune soluzioni, soprattutto in epoca pandemica, quali la telemedicina. Ma il medico deve recuperare il tempo di ascolto del paziente”. Professoressa, qual è il costo sociale di un’insufficiente attenzione alla ricerca scientifica?

“Ritengo che i costi potenziali siano legati al rischio che non si prendano decisioni basate su evidenze consolidate. In cui più gruppi di ricerca, anche in ambiti o Paesi differenti, giungano a conclusioni sovrapponibili. Il rischio è che le decisioni per la salute vengano quindi prese sulla base di altre dinamiche e variabili, a volte aleatorie ed instabili. Si pensi allo scarso successo che ha avuto una disciplina afferente alla Sanità Pubblica denominata “Health Impact Assessement HIA” o Valutazione dell’impatto sulla salute che comprende una combinazione di procedure, metodi e strumenti mediante i quali una scelta politica, un programma o un progetto può essere giudicato in merito ai suoi potenziali effetti sulla salute di una popolazione”.

(Photo by Sylvain Lefevre/Getty Images)

A cosa si riferisce?

“Quante scelte politiche si avvalgono oggi di tale metodo scientifico sviluppato rigorosamente con approcci di ricerca? Mi concentro sulla prevenzione perché è l’ambito principale della mia attività di medico di sanità pubblica, ma l’approccio vale per qualsiasi scelta che ha impatto sulla salute, anche di natura terapeutica o riabilitativa”.La pandemia ci ha colti impreparati anche per anni di tagli alla ricerca pubblica. Quali sono le ragioni di questa sottovalutazione?

“Allison Abbot, corrispondente europeo per le politiche di ricerca della Rivista scientifica più quotata nel mondo (Nature), in un articolo del 2018 sottolineava quello che si potrebbe definire ‘paradosso italiano’. A partire dal 2005 la ricerca scientifica in Italia ha incrementato la propria produzione scientifica eccellente che corrisponde al 10% delle pubblicazioni scientifiche più citate. Addirittura l’Italia produce più pubblicazioni scientifiche di qualsiasi altro paese Ue, seconda solo al Regno Unito”.Può farci un esempio?

Il miracolo italiano dunque è che al diminuire dei finanziamenti aumenta la produzione scientifica di elevata qualità? Probabilmente uno dei motivi è nell’aumento dei finanziamenti da privati e in una migliore valutazione della produzione scientifica. Ma rimarco sempre una scarsa attenzione al finanziamento di ricerche utili alla prevenzione, che ha un impatto meno immediato (i cui risultati si vedono oltre il tempo di durata di un mandato politico) ma di altrettanto valore di tecnologie salvavita. A questo si aggiunga un diffuso sentimento di ostilità e sfiducia da parte dell’opinione pubblica nei confronti della scienza che troppo spesso ha risolto le sue diatribe in aule di tribunale”.Rispetto ad altri paesi che ne fanno una bandiera identitaria, perché l’Italia investe così poco in ricerca?

“Temo ci siano una varietà di motivi. L’incapacità del mondo della ricerca di parlare alla società, con una comunicazione chiara e univoca, non da talk show. L’annosa questione del divario Nord-Sud anche in questo campo. La burocrazia che rallenta drammaticamente l’acquisizione di risorse, di materiali (per esempio materiali da laboratorio) che umane (reclutamento e assunzione di ricercatori in strutture pubbliche in cui spesso rimangono precari per tutta la loro vita lavorativa pur essendo ricercatori eccellenti che troppo spesso sono costretti ad emigrare”.Gli scienziati italiani sono apprezzati in tutto il mondo ma spesso devono lasciare il paese per proseguire i loro studi. Come si può fermare la fuga dei cervelli?

“Riconoscendo il valore dello studio e della conoscenza (siamo il penultimo Paese in Europa per numero di laureati). E divulgando efficacemente il metodo scientifico che non detiene la verità mache non smette mai di cercarla anche sbagliando. Modificando le regole di accesso al sistema universitario (non è più accettabile che l’unica attitudine che viene valutata sia la capacità di risolvere 200 quiz in due ore). Gratificando anche economicamente i nostri ricercatori perché possano anche costruirsi una vita e sostenere dignitosamente una famiglia. Programmando infine la ricerca a lungo termine perché i progetti possano aver una fine anche dopo anni dall’inizio, se necessario, e non essere interrotti per cessazione dei finanziamenti o dei finanziatori”.Lei ha dedicato la sua vita alla ricerca affiancandola costantemente all’attività clinica. Quali consigli si sente di dare a un giovane che vuole fare della scienza medica il proprio percorso esistenziale?

“Raccomando di coltivare continuativamente l’amore per lo studio e la conoscenza, di imparare a confrontarsi e lavorare in team accogliendo le critiche purché siano costruttive e a farne di costruttive, di saper ascoltare e comunicare efficacemente anche in inglese e con intelligenza emotiva, di avere atteggiamento proattivo, ‘buttando il cuore oltre l’ostacolo’ e non limitarsi a fare ‘quanto dovuto’”.

Giacomo Galeazzi: