Una storia animata realizzata da educatori e giovani del Centro di Pronta Accoglienza Minori Caritas di “Torre Spaccata”. Si intitola “Il nido di ferro” ed è una storia animata su sceneggiatura della fiaba omonima (qui il testo) scritta e donata alla Caritas Roma da Carlo Maria Negri, ripresa dal sito Ti racconto una fiaba. Il progetto è stato pensato con fini educativi per lo sviluppo delle capacità espressive dei ragazzi: “Il nido di ferro”, infatti, è una storia molto significativa in quanto contiene diverse similitudini con le situazioni vissute da tante ragazze e ragazzi ospitati nei centri di accoglienza per minori della Caritas, provenienti da diversi Paesi stranieri. La fiaba è stata animata dai ragazzi, aiutati e guidati dagli educatori professionali del centro, e ha richiesto non poco lavoro per realizzare scenografie, disegnati, colorati, ritaglio i personaggi, animazione della storia e soprattutto interpretazione dei vari personaggi.Per comprendere l’impegno e le forti motivazioni che hanno spinto educatori, operatori e ragazze e ragazzi a vivere questa nuova esperienza, In Terris ha intervistato il responsabile del centro minori, Nadio Alessandro La Gamba.
Dott. La Gamba, come opera il Centro di Pronto Intervento Minori?
“Da circa 25 anni i vari Centri di Pronto Intervento Minori di Roma accolgono ragazzi e ragazze che si trovano in situazioni di disagio psico-sociale: spesso sono vittime di reati, a volte sono autori di reati, molti in stato di abbandono, tutti sono bisognosi di attenzione e di sostegno. Ogni anno vengono accolti circa 270 ragazzi e ragazze, segnalati dalle forze dell’ordine e dalla Sala Operativa Sociale del Comune di Roma. I ragazzi e le ragazze hanno in media 16 anni di età, nel 98% dei casi sono stranieri e rimangono nei centri per circa 2 mesi. I Centri possono ospitare fino a 32 minori; vi opera una équipe composta da un responsabile, una psicologa, due assistenti sociali, 19 tra educatori coordinatori e professionali, tre cuoche; ci si avvale anche della collaborazioni di mediatori culturali. Un notevole contributo è dato dagli studenti tirocinanti e, soprattutto, dai volontari”.
Cosa offrite a questi ragazzi bisognosi, in Italia spesso senza figure adulte di riferimento?
“Si offre loro ogni tipo di intervento: dall’alloggio alle cure sanitarie, dal sostegno psicologico ai percorsi di formazione professionale, dall’assistenza sociale ai progetti educativi. Gli interventi hanno come obiettivo il superamento della fase di emergenza e consistono nel collocamento in comunità, nel ricongiungimento familiare, nell’affidamento familiare, nella promozione dell’autonomia e autodeterminazione, in vista del compimento della maggiore età”.
Come è nata l’idea di animare una fiaba?
“Nel lungo periodo di lockdown, gli operatori sono stati molto bravi a tenere impegnati i ragazzi in attività didattico-ricreative con un duplice obiettivo: promuovere l’apprendimento della lingua italiana – la maggior parte dei ragazzi è straniera – e di svolgere attività stimolanti che potessero distoglierli dal peso della quarantena, dal non poter uscire e dalla preoccupazione per la salute dei propri cari. Gli educatori hanno dunque proposto numerose attività: per esempio, oltre alle animazioni di cartoni animati, hanno fatto un giornalino, laboratori di cucito del cuoio, attività fisica e lingua italiana. Tutto ciò, sia all’interno dei centri, sia a distanza tramite internet con insegnanti esterni per raggiungere il livello A2 della lingua italiana o avere la licenza media. In definitiva, ci siamo mossi su due binari: quello ricreativo e quello didattico”.
Chi accogliete e quali problematiche hanno i ragazzi dei centri minori?
Quali sono le principali necessità (oltre a quelle strettamente legate all’apprendimento della lingua) dei ragazzi che arrivano nel centro?
“I ragazzi hanno bisogno innanzitutto di recuperare fiducia nei confronti degli adulti. Hanno bisogno di avere intorno e di sapere che ci sono persone che hanno davvero a cuore i loro interessi, la loro vita, la loro crescita e il loro futuro. Questo perché purtroppo, anche se sono giovanissimi, hanno già subito esperienze traumatiche con gli adulti. I ragazzi stranieri perché, per arrivare in Italia, hanno dovuto affrontare dei viaggi pericolosissimi in mano a degli uomini senza scrupoli che hanno sfruttato il loro desiderio dei giovani di scappare dalla povertà o dalla guerra per i propri interessi economici. I ragazzi e le ragazze italiane arrivano qui perché vittime di abusi e maltrattamenti vissute in famiglia, anche purtroppo da figure parentali. Dopo tali esperienze, è facile comprendere come la loro fiducia negli adulti sia profondamente minata e necessiti di un lungo percorso di guarigione e rinascita”.
Come hanno risposto i ragazzi alla creazione di questo video?
“In modo entusiasmante. Ne sono stati felicissimi e il progetto di animare una fiaba ha permesso loro di tirare fuori il ‘bambino’ che c’è in loro. E’ una cosa non scontata: questi ragazzi, infatti, che hanno una media di 16 anni e mezzo, per diversi motivi non hanno potuto vivere appieno la loro infanzia. Sono dovuti crescere troppo in fretta. Perciò, trovandosi davanti ad una fiaba – pur con contenuti seri e importanti – hanno partecipato con grande contentezza e creatività a tutte le fasi del lavoro: disegno, ritaglio, colorazione degli sfondo, voci dei personaggi…un lavoro corale dei ragazzi e degli educatori che hanno saputo guidarli in questo lungo percorso. Del prodotto finale è rimasto particolarmente contento anche l’ideatore della fiaba, Carlo Maria Negri, che ci ha concesso l’utilizzo gratuito della sua creazione”.
Qual è il ruolo educativo della fiaba e della fantasia nella vita di questi adolescenti già provati dalla vita?