Il lento riequilibrio della sanità pubblica

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Con l’acuirsi della pandemia del Coronavirus si palesano le conseguenze più nefaste di almeno un decennio di tagli alla sanità, avvenuto soprattutto in quelle regioni che hanno dovuto varare piani di rientro dal debito.

Una proposta emblematica

Emblematico è il dibattito che si è aperto a Roma per la riattivazione del Forlanini, uno dei più grandi ospedali della capitale, inaugurato nel 1934 e adibito proprio per il trattamento della malattie polmonari, per poi essere chiuso definitivamente nel 2015 su disposizione del piano di “razionalizzazione” della Regio Lazio. Nella capitale si registrano altre due illustri vittime delle sforbiciate senza scrupoli, il San Giacomo e il Santa Maria della Pietà. “Servono soluzioni per i prossimi sette giorni, non per i prossimi sette anni. L’emergenza è adesso”, ha risposto l’assessore D’Amato ai vari appelli che si susseguono per la riapertura di alcuni nosocomi, mentre in alcune regioni si parla perfino di adibire le navi da crociera alla cura degli affetti di covid-19.

La riduzione delle spese

Va detto tuttavia che il lungo percorso della riduzione delle spese nella sanità pubblica parte da lontano. Con la firma del Trattato di Maastricht e dopo la crisi finanziaria del 1992, l’azione dei governi italiani fu rivolta a contenere la spesa pubblica, compresa quella sanitaria, allo scopo di centrare gli obiettivi di bilancio nel 1997 necessari per ottenere l’accesso alla unione monetaria. L’osservatorio dei conti pubblici italiani, in un rapporto del 2019, ricorda che la crescita della spesa sanitaria nominale decelera bruscamente a partire dal 1993 fino a diventare leggermente negativa nel 1995. Non appena però l’esame di Maastricht viene superato, la spesa ricomincia ad accelerare. Dopo il 1998 la spesa resta costante ma il pil si riduce sempre di più, si arriva così al 2006, quando i disavanzi sanitari delle regioni raggiungono i 6 miliardi di euro. È in questo quadro finanziario che il governo decide di introdurre la disciplina dei Piani di Rientro.

Spesa nominale stabile

In realtà fu inevitabile riordinare il sistema di rendicontazione e monitoraggio della spesa. “I Piani di Rientro – si legge nel rapporto – sono la soluzione proposta dal governo centrale per mettere un freno alla crescita della spesa e dei disavanzi”. Compressione dei disavanzi fu ancora più pesante dopo la crisi finanziaria del 2011. Si legge ancora nel rapporto: “La spesa nominale per la sanità è rimasta sostanzialmente stabile a partire dal 2013, mentre quella reale si è ridotta di circa due punti nel periodo 2012-14. In rapporto al Pil, la spesa sanitaria è scesa dal 7,3 per cento del 2009 al 6,6 per cento del 2017, lo stesso valore del 2004”.

Per alcuni versi, l’ottenimento di un equilibrio di bilancio e la razionalizzazione dei servizi ha migliorato l’erogazione di alcune prestazioni, soprattutto quelli ambulatoriali, ma in alcune regione il taglio dei posti letto e la chiusura di intere strutture ospedaliere è comunque ricaduta negativamente sui cittadini e sulla qualità complessiva del sistema sanitario.

Standard differenti

Tra l’altro se il riequilibrio è stato molto rapido in alcune regioni (Liguria, Sardegna, Piemonte) più lento è stato in altre. Il Lazio e tutte le regioni meridionali, eccetto la Basilicata, sono ancora sotto piano di rientro e la maggior parte di queste hanno avuto la sanità commissariata negli ultimi 10 anni. Anche per questo motivo, tutti gli esperti continuano a sottolineare che è fondamentale che il virus non si diffonda al centro-sud con gli stessi indici di contagio della Lombardia. E’ evidente infatti che la capacità di risposta della sanità del Mezzogiorno non è minimamente paragonabile con gli standard di quella lombarda.

L’ultimo decennio

Ad ogni modo la politica dei tagli non ha colpito solo le regioni sotto piano di rientro. La razionalizzazione ha avuto ripercussioni soprattutto sulla spesa dedicata al personale, attraverso il blocco del turn-over che si è tradotto in una riduzione del numero di addetti al sistema sanitario nazionale a tutti i livelli, inclusi medici e infermieri. Negli ultimi 10 anni si è poi registrata una riduzione generalizzata dei posti letto in tutte le regioni su spinta del Ministero della Salute. Non meno significativa la di revisione dei contratti con il privato accreditato che ha condotto a risparmi consistenti ma anche la riduzione di strutture che concorrevano ad offrire prestazioni sanitarie gratuite. In altre parole per due lustri abbiamo chiuso ospedali, ridotto i posti letto e non abbiamo assunto medici ed infermieri. Il risvolto più drammatico di queste scelte lo stiamo pagando ora sul fronte dei posti letto in terapia Intensiva, ne abbiamo 8,5 ogni 100mila abitanti contro 35 della Germania. Scesi anche i posti letto complessivi: erano 3,6 ogni 1.000 abitanti, oggi sono scesi a 3,0 ogni 1.000 abitanti. In confronto agli altri paesi della UE ci collochiamo al sestultimo posto.

L’analisi

Sentito da Interris.it, il vicepresidente della Federazione italiana degli ordini dei medici (FNOMCeO), Giovanni Leoni, stima un taglio di circa il 20% dei posti letto in terapia intensiva negli ultimi 10 anni. “Il coronavirus – spiega Leoni – grava quindi su un sistema già spinto al massimo della sue capacità, renderlo ancora più prestante senza medici, infermieri e dispositivi sanitari è una sfida enorme”. Leoni denuncia anche il fenomeno dei ricoveri in appoggio, ovvero del abitudine di mandare i pazienti in eccedenza nei reparti generici di medicina che non sono attrezzati ad affrontare particolari patologie.

I nodi sono quindi arrivati al pettine con il virus venuto dalla Cina. Una lezione dolorosissima che, se accolta come un’opportunità, potrà costituire il rilancio del nostro sistema sanitario nazionale. In questa direzione vanno i 25 miliardi stanziati dal Governo italiano per far fronte all’emergenza. L’iniezione di liquidità servirà, tra le altre cose, all’assunzione di migliaia di medici e infermieri e ad allestire nuovi reparti di terapia intensiva. Successivamente non potremo permetterci di perdere il treno dello sforamento del debito che la Bce dovrà, per forza di cose, accordare a tutti i Paesi che saranno investivi alla crisi.

Marco Guerra: