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Il coronavirus può causare problemi cardiaci? Risponde il cardiologo prof. Perna

Interris.it ha intervistato il professor Gian Piero Perna, primario di Cardiologia-Utic dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria "Ospedali Riuniti" di Ancona

Il nuovo coronavirus, classificato come Sars-CoV-2, emerso nella provincia di Hubei in Cina, non colpisce solo i polmoni. Alcuni studi riportano le segnalazioni – in aumento – di coinvolgimento di altri organi. Secondo alcuni medici il coronavirus sarebbe in grado di provocare problemi neurologici, anche prima della comparsa dei sintomi respiratori. A Detroit, una donna di 50 anni in stato confusionale che lamentava forti mal di testa, come riferito dal New York Times, è risultata poi positiva al tampone per il Covid-19.

Coronavirus e cuore

Un altro organo bersaglio del Covid-19 è il cuore. Il virus, infatti, può provocare miocardite, una forte infiammazione che danneggia il cuore come in un infarto, anche se non c’è ischemia, ossia l’ostruzione delle arterie. Interris.it, per un maggiore approfondimento sul legame tra coronavirus e problemi al cuore, ha intervistato il professor Gian Piero Perna, primario di Cardiologia-Utic dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti” di Ancona.

Prof. Perna, com’è la situazione nell’ospedale?
“In questo momento direi buona. Sono ormai sette giorni che il flusso di pazienti è nettamente ridotto. Le dimissioni hanno superato le nuove ammissioni e questo significa che la pressione sull’ospedale da parte del territorio è ridotta. Cominciano, finalmente, ad esserci posti liberi in rianimazione. L’ultimo bollettino parla di una riduzione notevole dei posti letto occupati nelle terapie intensive dove necessario fare ventilazione meccanica, questo è un buon indice di riduzione della malattia sull’ospedale stesso. Stiamo andando decisamente bene. Fino a una settimana fa erano ricoverate 208 persone affette da Covid-19”.

Lei e la sua squadra avete realizzato dei respiratori “artigianali” per far fronte all’emergenza sanitaria causata dal coronavirus…
“Non sono dei respiratori veri e propri, ma dei sistemi di assistenza alla ventilazione. Noi siamo siamo un’unità di terapia sia intensiva sia sub-intensiva e utilizziamo sistemi di ventilazione meccanica con intubazione oro-tracheale, sia le forma non invasive, ossia la ‘niv’ e la ‘cpap’. Noi ci siamo dedicati in particolar modo al casco da ‘cpap’, in quanto lo utilizziamo da sempre in pazienti con scompenso cardiaco. La nostra esperienza ci consente di evitare il ricorso alla ventilazione meccanica invasiva in almeno il 25-30% dei casi. Quanto l’intubazione si protrae a lungo, si possono verificare delle complicazioni, anche infettivo, e in alcuni casi si deve ricorrere anche alla tracheotomia”.

Come avete avuto questa idea?
“Sono dei flussimetri, dei circuiti utilizzati per ‘riempire’ il casco da cpap di aria. E’ una particolare metodica con cui il paziente viene ventilato con una pressione aumentata delle vie aeree continua in modo da reclutare il più possibile gli alveoli polmonari. I circuito sono formati da dei ‘tubi’ che collegano il casco all’aria e all’ossigeno. Quando il numero dei pazienti che arriva è troppo alto, può accadere che non si abbiano macchinari a sufficienza, soprattutto in un periodo di emergenza come questo. Ci siamo realizzati così dei flussimetri ‘artigianale’. Ci siamo preparati prima, in modo da essere preparati. Abbiamo fatto anche un tutorial per far vedere agli altri come potevano prepararsi a un’emergenza nell’emergenza”.

Il polo di Torrette è un’eccellenza in campo sanitario…
“Il Lancisi è stato uno dei primi ospedali in Italia ad avere un polo cardiologico. E’ stato un po’ la culla della cardio-chirurgia nel nostro Paese. Oggi è uno dei primi tre centri per numero di interventi eseguiti. Con risultati veramente eccellenti”.

La polmonite causata da coronavirus, può colpire il cuore?
“Assolutamente sì. Il cuore può essere interessato con diversi meccanismi dal coronavirus. Il Covid-19 può causare un danno miocardico, ossia la necrosi di alcune cellule visibile dalla presenza di alterazioni elettrocardiografiche; può produrre una miocardite, anche piuttosto grave, che può sfociare in una miocardite fulminante, questo si può verificare anche in persone sane, che non hanno mai avuto patologie cardiache. Poi esiste il problema dei soggetti che hanno già a loro carico delle patologie come ipertensione, malattie coronariche, scompensi cardiaci o un’ipertensione polmonare. Questi sono pazienti che se contraggono il Covid hanno una prognosi decisamente peggiore. La polmonite da Covid determina un’importante ipossiemia, cioè diminuisce il livello di ossigeno nel sangue. Questo sangue poco ossigenato se va ad irrorare un cuore sano, causa un danno modesto, ma se si tratta di un cuore malato, si creano danni più importanti che possono portare anche alla morte”.

Si è visto che nei bambini il coronavirus è meno aggressivo, come mai?
“Sì, hanno una prognosi decisamente buona. La maggior parte degli asintomatici sono bambini o adolescenti. Fino ai 16 anni la malattia è veramente rara. Noi ne abbiamo visti veramente pochissimi pur avendo una struttura pediatrica di eccellenza, che è il Salesi. Questa una cosa abbastanza sorprendente. In parte può essere dovuto all’immunità congenita, acquisita dalla madre, ma è difficile riuscire a spiegare questo fenomeno. Un pediatra saprebbe dare maggiori informazioni”.

Crede che durerà ancora a lungo questa fase?
“Penso che durerà ancora per diversi motivi. Il primo è che almeno in Italia la diffusione della malattia è iniziata in maniera non sincrona nelle varie regioni, sta come avendo un progressivo spostamento verso il sud Italia. Da un lato si allunga il tempo dell’epidemia, da un lato facilita le regioni che vengono interessate per ultime perché hanno la possibilità di prepararsi, sia dal punto di vista della prevenzione, sia da quello della reazione dei sistemi sanitari. L’altro fattore è la possibilità dei focolai di rientro: una volta avuto un buon risultato, l’ovvio rallentamento delle misure di cautela possa provocare nuovi focolai di riaccensione”.

In questi ultimi giorni si parla di nuove sperimentazioni di nuovi farmaci e possibili vaccini. C’è una soluzione promettente tra quelle proposte?
“Io parlo non da esperto infettivologo, ma da esperto di sistemi farmacologici e farmacologia clinica. Il vaccino è sicuramente la soluzione migliore, non ci vuole molto a prepararlo, ma c’è tutta una lunga fase di sperimentazione clinica e di validazione. Prima di settembre-ottobre, della prossima stagione invernale, io dubito che si possa avere un vaccino già pronto per l’utilizzazione di massa. Bisogna anche prepararlo, averne un numero di scorte importante e questo richiede necessariamente del tempo. Anche i vaccini già pronti e promettenti non potranno essere attivi da un punto di vista pratico prima di alcuni mesi”.

Tre consigli per fare prevenzione in questo periodo?
“Può sembrare ridicolo, ma l’unica cosa che si possa consigliare è quella della prevenzione primaria: il distanziamento sociale; l’uso di mascherine da parte di tutti: non protegge direttamente dal coronavirus, ma protegge moltissimo dall’emissione di ‘goccioline’ prodotte da chi è malato e magari non lo sa; il lavaggio frequente delle mani che è la base della prevenzione di tutte le malattie infettive”.

 

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