Hannah Arendt in Vita Activa, richiamandosi all’ideale dell’eroe omerico, dice che quello che caratterizza la vita dell’uomo, intesa in senso non biologico, è il pronunciare grandi gesti e proferire grandi parole. Proprio le azioni più effimere, che scompaiono nel momento in cui sono compiute, sono cruciali all’interno dell’esistenza umana. Il resto, secondo la Arendt, tutto ciò che viene costruito dall’uomo – dall’homo faber –, è solo uno spazio per l’azione e il discorso.
Grandi gesti, grandi parole, dunque… Forse che l’atto compiuto da don Giuseppe Berardelli che, affetto da coronavirus, ha rinunciato al respiratore in favore di una persona più giovane non è immensamente più grande di qualsiasi altra cosa che quell’uomo possa aver fabbricato con le sue mani durante la sua vita? Le parole di Hannah Arendt mi risuonavano forte in testa ieri sera, mentre osservavo Papa Francesco recarsi verso la sede, durante la cerimonia con la quale ha impartito la benedizione Urbi et Orbi. Sin dal mattino i media avevano sottolineato la straordinarietà dell’evento insistendo sull’inusualità della benedizione papale al di fuori dei classici casi in cui è prevista (Pasqua, Natale, il momento dell’elezione).
Quando però ho visto Francesco attraversare solo, claudicante, senza ombrello sotto una pioggia scrosciante, una Piazza San Pietro deserta, e ascendere con fatica fino alla tribuna dalla quale campeggiavano il crocifisso di San Marcello e l’icona della Salus Populi Romani, ho pensato che quel gesto sarebbe rimasto per sempre un’icona indelebile di questo pontificato. In quel momento Papa Francesco è apparso come colui che portava sulle sue spalle e con il passo incerto, il dolore di tutto il mondo; il cireneo che porta per gli altri e con gli altri la croce, simbolo potente ed eterno della trasfigurazione del dolore nella gloria di Dio. Un nuovo Mosè che ha l’ardire di parlare a Dio a nome di tutto il popolo che gli è stato affidato.
Non ho potuto fare a meno di legare quel gesto a quelli dei suoi più recenti predecessori. Ne ho scelto uno per ognuno. Una scelta parziale e indubbiamente soggettiva, che trovo tuttavia opportuno condividere con i lettori di InTerris.
Pio XII a San Lorenzo
Comincio con Pio XII, il cui papato ha fatto e fa ancora discutere specie in relazione ai silenzi sulla Shoah. Saranno certamente gli storici a sciogliere questi nodi intricati, ma nessuno potrà non legare il nome di Papa Pacelli all’immagine che lo ritrae in mezzo alle rovine di San Lorenzo a Roma.
Il 19 luglio, il popoloso quartiere di Roma venne colpito da un pesante bombardamento angloamericano. 930 aerei sganciarono oltre quattromila bombe. Il bilancio è devastante: tremila morti, undicimila feriti. Pio XII, al mattino seguente, accorre sul luogo della terribile strage, accompagnato dal Sostituto Segretario di Stato Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI poi canonizzato da Francesco nel 2018, per portare aiuto materiale e spirituale agli sfollati.
Qui, circondato dalla gente, apre le braccia in un gesto che da un lato vuole essere un abbraccio, dall’altro replica le braccia di Cristo stese sulla croce. È un gesto che unisce la terra al cielo, che urla l’impotenza dell’uomo di fronte al mistero del dolore e che si dichiara pronto ad accogliere la grazia che sempre si fa presente, ancor più nell’ora più buia. “E in mezzo a San Lorenzo – canterà De Gregori nella canzone ‘San Lorenzo’ – Spalancò le ali / Sembrava proprio un angelo / Con gli occhiali”.
Giovanni XXIII e il “discorso alla luna”
Quanti i gesti e le parole che potremmo ricordare di Giovanni XXIII, il Papa buono! Quello che certamente è impresso nella memoria collettiva, anche di quanti all’epoca non erano neppure nati, è però il celebre discorso fatto al popolo radunato in Piazza San Pietro in occasione dell’inizio del Concilio Vaticano II, l’11 ottobre del 1962, da tutti noto come “discorso alla luna”. In realtà, come ha scritto Gianni Gennari su «Vatican Insider» il 30 novembre 2013, si dovrebbe più correttamente chiamarlo “discorso della luna”. Giovanni XXIII non parlò alla luna, parlò alla gente che gremiva la piazza in quella sera così luminosa e le rivolse un messaggio di pace e d’amore. Il saluto che chiudeva quel discorso fatto a braccio è inciso nel cuore di ognuno: «Tornando a casa, troverete i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona. Il Papa è con noi specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza».
Il difficile pontificato di Paolo VI
Paolo VI raccolse la grandiosa ma difficile eredità di Giovanni XXIII. A lui toccò portare avanti l’intuizione del Concilio. Il suo papato si svolse però in uno dei periodi più difficili della storia d’Italia, quello del terrorismo.
Tra i tanti gesti (come dimenticare l’abbraccio con Atenagora?) e le tante parole dette, quelle che vorrei qui ricordare, che per me hanno un significato profondo e particolare, sono le parole pronunciate in occasione dei funerali di Aldo Moro:
«E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla Fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita».
Come non provare un brivido di fronte a queste parole pronunciate con la voce incrinata dal dolore? Come non mettere da parte secoli di preghiera intesa come formula magica per risolvere ogni problema? Come non tacere di fronte al mistero di quel Dio sconfitto di cui tanto ha scritto Sergio Quinzio? Come non tacere di fronte all’abisso del mistero della morte e del dolore, senza trovare parole edificanti da “bravi cristiani”?
Giovanni Paolo I e l’Angelus de 10 settembre 1978
Di Giovanni Paolo I non ci rimane solo il suo sorriso che fece subito breccia nel cuore dei cristiani. Le parole pronunciate all’Angelus del 10 settembre 1978 hanno cambiato per sempre il nostro modo di vedere Dio: «noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà; più ancora è madre. Non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore».
L’ultima apparizione in pubblico di Giovanni Paolo II
Giovanni Paolo II è il papa della mia generazione. Un papa che ha saputo usare, più e meglio di chiunque altro, i mezzi di comunicazione per annunciare il Vangelo. Potremmo ricordare centinaia di discorsi, azioni… ma rimanendo fedeli all’impegno che mi sono prefissato ne citerò solo uno, il più eloquente perché silenzioso: l’ultima sua apparizione in pubblico. Chi dimenticherà mai quel gesto di benedizione che proveniva da un corpo piagato dal dolore e dalla sofferenza? Come dimenticare quell’incomprensibile sussurro che arrivava da una bocca che aveva pronunciato tanti e tali discorsi che infiammavano i giovani e le folle?
George Weigel, biografo di Giovanni Paolo II, scrisse che la cosa più sorprendente di Karol Wojtyla era il suo coraggio che gli derivava dalla fede, il fatto di non avere mai paura. Un coraggio che egli ha saputo dimostrare mostrandosi a tutti in croce per amore della Croce.
Le dimissioni di Benedetto XVI
E tanto, tantissimo coraggio deve avere avuto il suo successore Benedetto XVI, il papa che per amore della Chiesa, ha compiuto il gesto più rivoluzionario di tutti, abbandonando il ruolo di sommo pontefice. “Il Papa che è sceso dal trono” lo ha definito Giacomo Galeazzi in una biografia di papa Ratzinger di prossima pubblicazione presso l’editore Rubbettino. Un gesto che ha cambiato per sempre il senso e il ruolo del ministero petrino.
Apparentemente un gesto opposto a quello del suo maestro e predecessore Karol Wojtyla, ma accomunato dallo stesso significato: ricondurre la figura del Papa in mezzo all’umanità, riportarlo sulle strade dell’uomo. Non una creatura angelica, non un semi-dio in terra, ma un pastore il cui compito è guidare il gregge verso quella terra promessa cui anela l’anima di ogni cristiano.