Home restaurant: la nuova frontiera della ristorazione

L’“home restaurant” è una nuova professione in cui, il privato che ama cucinare, mette a disposizione la propria casa, dietro compenso, per ospitare, a pranzo o a cena, turisti o altri avventori. Si tratta di un fenomeno crescente, anche in Italia, stimolato dalla necessità, in tempi di crisi economica, di studiare nuove formule. È una combinazione che può recare vantaggio al singolo che la esercita e al turista per risparmiare e apprezzare gli aspetti enogastronomici più genuini e davvero caserecci. Vi è l’opportunità di cogliere abitudini culinarie molto particolareggiate, individuali, anche inusuali e fondate su abitudini personali di chi acquista e cucina i cibi. È indicato, in particolare, per chi preferisce mangiare in ambienti meno confusionari e vocianti.

La voglia di casa, di socialità, di condividere il pasto anche con degli sconosciuti, sono stati gli “ingredienti” che hanno stimolato gli “homers” (i proprietari delle case) a organizzare pasti a pagamento e gli avventori a soddisfare la propria curiosità. In una fase di successo dei “cooking show”, dei programmi di cucina dove si preparano cibi dal vivo, in cui l’interesse degli italiani per la buona tavola e l’alimentazione è notevole, si sviluppano, di conseguenza, iniziative del settore. L’HR (home restaurant in sigla) si è sempre più articolato, sino a prevedere altri aspetti intorno alla pura ristorazione, come lezioni di cucina, eventi e approfondimenti di tipo nutrizionale.

La moda si è diffusa dapprima in maniera genuina e artigianale, improvvisata e a vista, poi, con l’ausilio e la vetrina dei social, si è diffusa, istituzionalizzata e ha strizzato l’occhio ai frequentatori e ai cuochi. Si è passati da una fase embrionale, in equilibrio fra passione, socialità e guadagni, a una più marcata verso il business.

Nel web esistono piattaforme specifiche per contattare, secondo le proprie esigenze, il ristorante domestico più consono. Fra i portali del settore, spicca il sito https://italianhomerestaurant.com/ che offre la possibilità, per gli operatori, di iscriversi e, per i clienti, di cercare il luogo più adatto e prenotare. Il sito pubblicizza, inoltre, eventi, corsi e fornisce le informazioni necessarie a livello normativo e fiscale.

Il professor Gabriele Gabrielli è l’autore del volume “Ridisegnare il lavoro” (sottotitolo “Le nuove sfide del people management”), edito da “Franco Angeli” nel novembre scorso. Il testo esamina le nuove frontiere e le nuove dinamiche del lavoro, alla luce di professionalità in linea con la tecnologia e con le due transizioni contemporanee, quella digitale e quella ecologica.

https://www.businesscoot.com/it/, sito di analisi di mercato, riporta, al link https://www.businesscoot.com/it/studio-di-mercato/il-mercato-degli-home-restaurant-italia, alcuni dati relativi al dicembre 2021. Si legge “Il primo home restaurant a Firenze ha aperto nel giugno 2015 e da allora il numero di queste imprese è cresciuto fino a raggiungere più di 10.000 home restaurant aperti in Italia”.

Diego Cortes, esperto di digital marketing e consulente nel settore food & wine, al link https://diegocortes.it/home-restaurant, precisa “Gli Home restaurant italiani stanno aumentando sempre più. Oggi si stimano 14mila home restaurant su tutto il territorio italiano. […] L’Home restaurant non è semplice social eating e si differenzia dall’attività ristorativa tradizionale, per: L’ambiente molto informale; La location, nonché la residenza del cuoco ospitante; La sala, che può ospitare un numero ristretto di commensali; Il costo per coperto che in media è di 40 euro”.

Il tutto va inquadrato in un’ottica diversa di utilizzazione della casa, come conferma il 1° RAPPORTO FEDERPROPRIETÀ – CENSIS Gli italiani e la casa, del 12 dicembre scorso, al link https://www.censis.it/sites/default/files/downloads/Sintesi%20dei%20principali%20risultati%20Federpropriet%C3%A0-Censis%20-%20Gli%20italiani%20e%20la%20casa.pdf: “Il 96,3% degli studenti dichiara di essere attrezzato per svolgere attività di studio e formazione a distanza (modello Dad); – l’89,3% degli italiani cucina in casa; – l’84,5% utilizza la casa come luogo di incontro per amici o parenti; – il 78% trascorre in casa gran parte del proprio tempo libero; – il 47,1% degli occupati vi svolge attività di lavoro smartworking; – il 43,7% degli italiani vi svolge attività di fitness e sport; – al 17,7% capita di svolgervi attività di cura e assistenza”.

Corriere.it riporta, il 4 aprile 2020, al link https://www.corriere.it/cook/news/20_aprile_04/italiani-popolo-cuochi-domestici-liberi-3d9b8c66-767c-11ea-91b2-6c33b390094b.shtml, una ricerca del Censis; si legge “Il 78 per cento dei connazionali sa cucinare, e che di questi la metà lo fa volentieri (il 36,7 per cento come ‘divertimento o relax’ e il 16,2 come ‘necessità piacevole’) senza troppe differenze tra uomini e donne. Il restante 26 per cento vive questo compito in modo gravoso: è la voce delle casalinghe, per le quali si tratta di un vero e proprio lavoro. In effetti a preparare abitualmente il cibo nei nuclei familiari è ancora, nel 67,4 per cento dei casi, una donna. Ma è anche vero che il 58 per cento degli uomini cucina ‘spesso’ o almeno ‘qualche volta’ e, tra questi, il 42,4 nella fascia 25-34 anni lo fa con entusiasmo, soprattutto al Sud. Del 21 per cento che non sa cucinare, invece, fanno parte i ragazzi tra i 18 e i 24 anni (studenti), i disoccupati e gli over 65”.

La novità dell’HR non ha entusiasmato, negli anni scorsi, il mondo della ristorazione classica, preoccupato di tale fenomeno in crescita e in grado di sottrarre clientela. La polemica è stata piuttosto vivace poiché i ristoratori hanno stigmatizzato questa nuova forma, considerandola come concorrenza sleale e poggiata su un vuoto normativo, anche in materia di igiene e di sicurezza. Si tratta di una “guerra” che già ha visto rivaleggiare e polemizzare la piattaforma Uber e i tassisti, i blogger con i giornalisti e gli affittacamere, case vacanze imprenditoriali e B&B contro le strutture alberghiere.

Il 18 gennaio 2017, un disegno di legge approvato alla Camera, aveva applicato paletti considerati eccessivi dagli addetti ai lavori: massimo 500 coperti l’anno, pagamento esclusivamente elettronico, polizze assicurative e autorizzazioni comunali. Il testo è stato bloccato dal Garante per la concorrenza e non è pervenuto al Senato. In tale fase di discussione alla Camera, l’argomento, così caro alle tradizioni italiane, ha richiamato l’attenzione dell’Accademia della Crusca. La prestigiosa istituzione ha invocato il ricorso, da parte del Parlamento, anche nel testo del disegno di legge (Disciplina dell’attività di home restaurant), della lingua italiana. L’invito è stato rivolto a utilizzare la locuzione “ristorante domestico” anziché l’anglicismo “home restaurant”. Questa nota è emersa in un mare di terminologia inglese ormai dilagante e che è ritenuta più seducente, e alla moda, per richiamare l’attenzione dei consumatori più curiosi delle novità. I ristoratori domestici ne sono convinti e ricordano come, in ogni caso, il fenomeno sia nato proprio negli Usa e poi diffusosi in Inghilterra.

Come ricorda il blogger Nicola Santangelo “Puoi aprire un home restaurant, presentando la Scia al SUAP del Comune competente. Devi acquisire il certificato HACCP. Ricorda, infine, che l’attività può essere esercitata in forma imprenditoriale e, in tal caso, devi richiedere la partita IVA e rilasciare fattura, oppure, in alternativa, in forma occasionale, rilasciando ai tuoi ospiti una semplice ricevuta non fiscale”. La ristorazione domestica assume due possibili direzioni: il social eating, con carattere saltuario, in cui non si supera il tetto dei 5000€ di reddito annui; l’home restaurant vero e proprio, a carattere imprenditoriale, con apertura di partita Iva.

Al link https://www.tasse-fisco.com/societa/home-restaurant-come-si-apre-legislazioni-dubbi-costi/40786/, il 18 novembre scorso, sono stati indicati i riferimenti normativi del comparto, pur nella considerazione che per gli “home restaurant non esiste ancora una norma ad hoc che regoli in modo preciso il settore e sono andati vanificati tutti gli sforzi fatti in tal senso”.

È necessaria, quindi, una regolamentazione dell’attività in questione, nel rispetto delle parti coinvolte: i nuovi imprenditori di se stessi e la ristorazione classica. Al tempo stesso, la normativa deve tutelare anche i consumatori, per far sì che gli obblighi a livello di igiene e di sicurezza siano osservati. Il fenomeno è in crescita e non può essere lasciato ancora in una condizione approssimativa, nel suo stesso interesse.

La ristorazione domestica rientra, quindi, nella cosiddetta “sharing economy”, quella che, sulla base delle nuove opportunità di contatto offerte dalla Rete, punta a diverse forme imprenditoriali, differenti dalle tradizionali e basate sulla condivisione più che sulla compravendita. Un esempio ne è il “car pooling”, la condivisione di automobili private. Queste nuove forme di lavoro, di uso intelligente dei beni e delle opportunità in possesso, rappresentano una sorta di sfida alle criticità del capitalismo moderno, pur nel rispetto dell’occupazione di tipo classico. Si tratta di nuove professioni che, nate in Occidente, potrebbero trovare larga applicazione nei Paesi più poveri del mondo e costituire una speranza, una sferzata di novità, interesse turistico e prosperità. La condizione fondamentale è che si regolarizzino sul nascere, nel loro veloce divenire, altrimenti si pongono le basi per altrettante forme di sfruttamento (i rider). Il mondo non le vuole e non le può tollerare, mai più, in ogni angolo del mondo, ricco o povero. Il web sia una risorsa non un capestro. Sant’Ignazio di Loyola “Prega come se tutto dipendesse da Dio. Lavora come se tutto dipendesse da te”.

Marco Managò: