La guerra è aberrante negazione della santità e della sacralità della vita. Nelle solennità dei Santi e dei defunti è insito un messaggio universale di pace. Dalla “Pacem in terris” alla “Laudate Deum” la difesa del creato e delle creature presuppone la pace. La guerra distrugge e avvelena tutto ciò che Dio dona all’umanità. A testimoniarlo è il magistero pontificio, soprattutto da Giovanni XXIII a Francesco. “Entrambi sono originari di quel nord ovest italiano tanto caratteristico, nel quale, tuttavia, si può dire che non abbiano mai vissuto. Bergoglio perché nato in Argentina, Roncalli chiamato dalla Chiesa altrove- afferma don Simone Caleffi, docente all’università Lumsa e firma dell’Osservatore Romano-. Entrambi provengono da una condizione umili. Entrambi sono stati promossi ad incarichi di sempre maggiore responsabilità contro il loro volere e in modo inaspettato. Entrambi sono stati designati come vescovi di Roma ad età avanzata. Tuttavia, la realtà che li accomuna veramente, profondamente e sostanzialmente è l’essere autentici uomini di Dio. Egli che è buono e misericordioso ha profuso in essi le sue caratteristiche più significative che dagli uomini sono state riconosciute come tali. Anche se non mi piace che uno sia definito il Papa misericordioso e l’altro il Papa buono, come se tutti gli altri non fossero stati buoni e misericordiosi, bisogna riconoscere che dietro queste definizioni bonarie è evidente la verità”.
Stop alla guerra
“Mettiamo l’orgoglio sotto i piedi e saremo liberi, sereni e fraterni. Saremo creature che vivono e testimoniano la risurrezione di Cristo- insegna San Giovanni XXIII-. Non consultarti con le tue paure, ma con le tue speranze e i tuoi sogni. Non pensate alle vostre frustrazioni, ma al vostro potenziale irrealizzato. Non preoccupatevi per ciò che avete provato e fallito, ma di ciò che vi è ancora possibile fare. Il mondo è intossicato di nazionalismo malsano, sulla base di razza e di sangue, in contraddizione al Vangelo. Non basta una misericordia qualunque. Il peso delle iniquità sociali e personali è così grave che non basta un gesto di carità ordinaria a perdonarle. Dalla pace tutti traggono vantaggi. Individui, famiglie, popoli, l’intera famiglia umana”. Perché, come disse Pio XII, “nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra“. Il Concilio indetto da papa Giovanni è recepito in pieno da papa Francesco che, dispensando il vaglio di un ulteriore miracolo ottenuto per l’intercessione di Giovanni XXIII, lo ha canonizzato insieme a Giovanni Paolo II, giovanissimo padre conciliare. In seguito, osserva don Caleffi, Francesco ha anche beatificato e canonizzato colui che ha presieduto tre delle quattro sessioni conciliari: Paolo VI. Il Concilio sembra esser stato messo in pratica più in quelle che una volta erano considerate terre di missione che non in Europa. Continente dov’è situata la cattedra del beato apostolo Pietro.
Messaggio universale
“In America, in Asia, in Africa e in Oceania la fede cristiana, arrivata più di recente, ha favorito lo svilupparsi di una liturgia che risulta più vivace. Assiema a un desiderio di fare comunità più sentito, ad un ruolo dei catechisti e dei laici più sviluppato, a causa dell’esiguità di clero- sottolinea don Caleffi-. Di fronte a questo panorama, è chiaro che in Europa la fede sembra come morta e il Concilio attuato poco. Per me, italiano, è stato sconcertante che la prima parola del papa fosse stata un semplice ‘Buonasera!’, come avrebbe detto Nicoletta Orsomando, annunciando il palinsesto della serata. Ma, avendo frequentazione con il continente americano, so anche che là ogni celebrazione eucaristica, prima del saluto liturgico, prevede il saluto comune. Tutto questo background culturale si riflette nel pontificato di Francesco attraverso gesti e parole semplici quanto rivoluzionari. Dismissione di abiti pontifici senza una riforma scritta. Pronunciamenti a braccio. Uso dell’italiano e del castigliano al posto del latino e delle altre lingue moderne. Uscite fra la folla osannante. Decisione di lasciare l’appartamento pontificio per la casa Santa Marta, dove il Papa può pranzare con altri preti lì residenti. Mettendosi in fila al self service e prendendo posto a tavola dove più gli piace. Primo viaggio a Lampedusa, là dove si consumano stragi silenziate. Visite apostoliche a periferie esistenziali e geografiche. Concerti disertati con illustri ospiti e pranzi desiderati con i poveri. Messa in Coena Domini non in cattedrale ma in carcere o in altro luogo di sofferenza. E l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo”.
Logica evangelica
“Il Concilio è dunque il programma del pontificato di Francesco, non solo come scelta obbligata di qualsiasi altro, posto a capo della Chiesa, ma soprattutto come sua propria scelta- analizza don Caleffi-. Banalmente parlando, è ovvio che più ci si allontana dall’evento conciliare, più è improbabile che al soglio pontificio venga eletto uno dei padri. Tuttavia, questo non significa che, andando avanti, ci si allontani sempre di più da quello spirito. Nella logica paradossale del Vangelo, è normale che succeda il contrario, per cui Francesco può apparire pontefice più conciliare di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI che come padre il primo e come perito il secondo avevano preso parte attiva all’assise. Tuttavia, “non mi sentirei di fare una classifica fra i papi, valutandone il grado di conciliarità. Credo che l’eredità conciliare dei diretti predecessori di Francesco non si possa riassumere adeguatamente in poche battute. Tuttavia, a caldo, risponderei che Giovanni Paolo II ci ha lasciato un desiderio di santità impareggiabile. Guardando alla sua personale santità e pensando a cosa ci abbia voluto dire promuovendo alla gloria degli altari più persone che in tutta la storia della Chiesa precedente. Egli è davvero l’uomo della ‘Lumen Gentium’. Cristo, luce del mondo, illumina la Chiesa, chiamata ad essere faro di 229 verità e di carità, attraverso la testimonianza dei suoi santi“, aggiunge il teologo della Lumsa.
Chiamata alla santità
“Ogni credente è chiamato, in forza del Battesimo, a diventare santo– sostiene don Caleffi-. Tale consapevolezza, sempre esistita nella storia della Chiesa, ribadita con nuovo vigore dal Concilio, è stato il fil rouge del pontificato di Giovanni Paolo II. Benedetto XVI è l’uomo della ‘Gaudium et Spes’. Con la grandiosa enciclica sulla speranza cristiana ha ridato centralità alla virtù bambina, così spesso dimenticata per le nostre scarse capacità che ci fanno pensare quasi solo alla fede e alla carità. Ci ha dato un insegnamento semplice e profondo, ha dialogato con tutti, anche con quelli che potevano sembrare o effettivamente sono i più lontani. Ha promosso un dialogo intellettuale autentico, espressione di un amore vero che non pretende di unire posizioni inconciliabili. Ma stringe leali e sinceri rapporti di stima e collaborazione. Ci ha lasciato un desiderio sempre più grande di ricercare, conoscere, amare e vivere la verità”.
Motore della vita morale
Prosegue don Caleffi: “Nella predicazione di Francesco è molto presente il tema della speranza che ci raccorda al pontificato antecedente che al Concilio. Egli ama ripetere tante volte e in diversi contesti: ‘Non lasciatevi rubare la speranza!’. Essa è il motore della vita morale, risposta alla chiamata che Dio ci fa. La sua rassicurazione (‘Dio non si stanca mai di perdonarci’) è un invito alla continua conversione, alla confessione dei nostri peccati, ad una vita fatta di opere di carità e misericordia per la vita del mondo. La Chiesa in uscita significa il desiderio di ciascun cristiano, a partire dai membri della gerarchia, di andare incontro a ciascun uomo e a ciascuna donna per beneficarli e sanarli con la stessa forza di Gesù, buon samaritano dell’umanità. Solo il balsamo della misericordia può guarire le ferite degli uomini e delle donne di oggi, colpiti dall’indifferenza dei contemporanei dimentichi del Vangelo”. San Giovanni XXIII ha rinnovato la Chiesa con il desiderio di fare passi concreti di riavvicinamento con i cristiani che non appartengono alla Chiesa Cattolica. “La sua lunga permanenza in Oriente e le circostanze nelle quali si è trovato a vivere hanno favorito in lui il compiere gesti di unità, a partire da una carità molto concreta, come aiutare le popolazioni colpite dal terremoto in Bulgaria, o il curare le relazioni in Grecia e Turchia, data la sua presenza a Istanbul, allora capitale e dunque sede della nunziatura apostolica, del Fanar, il patriarcato ecumenico – puntualizza don Caleffi-. Francesco si è recato, come i suoi predecessori, in Turchia, ha curato i rapporti con gli orientali ma, soprattutto attraverso contatti e motivazioni personali, con il mondo della Riforma protestante. Credo che alcuni momenti particolarmente significativi, infatti, siano stati la visita a Caserta e alla chiesa luterana di Roma. La Chiesa povera per i poveri non è un’invenzione di papa Francesco, ma la sua via per l’attuazione del Concilio”.
Stop alla guerra
Pace dentro di noi e attorno a noi, quindi. La costituzione dogmatica sulla Chiesa, al penultimo paragrafo del numero 8, afferma: “Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni. Così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. La Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria della terra, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l’umiltà e la abnegazione. La Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza. Anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo Fondatore, povero e sofferente, si premura di sollevarne l’indigenza, e in loro intende servire a Cristo“. Anche in altri tratti, ma soprattutto in questo brano, don Caleffi, autore della postfazione de “Il Concilio di Papa Francesco. La nuova primavera della Chiesa“, rintraccia “le radici conciliari della Chiesa povera per i poveri, secondo l’ormai famosa espressione di papa Francesco. La misericordia tanto predicata da papa Francesco è l’attuazione del Concilio Vaticano II, in quanto attuazione del Vangelo stesso”. Infatti “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo” (Ef 2,4-5).