La musica come risposta di civiltà alla barbarie della guerra. Un’alternativa di speranza allo “spirito di Caino” stigmatizzato da papa Francesco. Si intitola “Noi contro di noi” il nuovo brano della cantautrice Silvia Salemi. E reagisce con l’arte e la condivisione dei valori alla logica distruttiva del conflitto.
No alla guerra
Caratterizzato da sonorità estive, “Noi contro di noi” è un brano che invita chi lo ascolta a riflettere su temi delicati. Come il forte bisogno di unità e pace. Un testo diretto e attuale che si lega alle difficoltà che hanno segnato gli ultimi anni. E che hanno portato gli essere umani a diffidare del proprio vicino. E a non vedere il buono che c’è nell’altro. “Noi contro di noi” sta incontrando il consenso del pubblico. E da quattro settimane è uno dei 100 brani più passati dalle radio. “Tutto ciò mi rende particolarmente felice. Anche perché è una canzone con un messaggio molto importante– osserva Silvia Salemi– La pace non è assenza di guerra, dice Spinoza. E’ una virtù. Uno stato d’animo. Una disposizione alla benevolenza, alla fiducia e alla giustizia. Di fronte alle parole di Spinoza siamo tutti d’accordo. Il nostro presente, però, dimostra il contrario. E così anche tutta la storia dell’uomo. Alle volte basterebbe solo un po’ di gentilezza e tenerezza. Una disposizione d’animo che ci può far provare solo la consapevolezza di stare tutti sullo stesso pianeta”. Cioè “sulla stessa palla blu”, come recita il testo della canzone.
Abbraccio universale
“Non ci sta facendo bene essere ‘gli uni contro gli altri’. Come ci dice il filosofo Hobbes nella sua visione del tutto pessimistica. Questa logica divisiva non ci ha fatto bene. E non ci porterà a promuovere il bene– aggiunge la cantautrice-. Dopo il Covid sarebbe stato auspicabile che tutti ci fossimo uniti in un grande abbraccio globale, universale. Per cercare la pace. Invece siamo costretti a vedere immagini drammatiche. Al limite del grottesco. Dove la gente scappa da militari che sparano indossando la mascherina. Una totale follia. La guerra dentro la pandemia è un male dentro un altro male. Che senso ha essere una superpotenza economica se quella potenza non mette al centro l’uomo? Così abbiamo perso tutti“. Quindi il brano “Noi contro di noi” è un urlo contro la guerra. In un’epoca che «mette in pericolo la sopravvivenza del genere umano e cancella il diritto alla felicità».
Prevalenza del “qui e ora”
Un “richiamo alla pace in tempi nei quali è cambiata anche la ‘prevalenza dell’ immediato’“, spiega l’artista. “25 anni fa l’ “hic et nunc” (“qui e ora”) aveva un senso diverso. Significava ‘mi godo in pienezza l’oggi. Guardo uno spettacolo. Respiro una situazione’. Oggi invece è diventato ‘prendo tutto adesso. Perché domani non so dove sarò‘. Il momento è filtrato da un telefonino. Domina l’incertezza sul futuro. Tra rincari, guerra, disoccupazione giovanile. Tanto da spingere a scappare nel presente“. Prosegue Silvia Salemi: “Viviamo un dramma epocale come la guerra totale in Ucraina. Dopo la tragedia globale della pandemia. Il Covid non era una colpa del genere umano. Il conflitto russo-ucraino sì. E’ la riproposizione esattamente dell”homo homini lupus’ di Hobbes. I lo sintetizzo nel ‘noi contro di noi’. In un quadro di allarme ecologico per la sorte del pianeta. Un globo azzurro che è reso sempre più incandescente dai cambiamenti climatici. I giovani hanno coscienza dell’immane pericolo. Lo vedo con le mie figlie”.
Il buono che c’è nell’altro
Intanto, sottolinea l’artista, “i leader delle grandi potenze ridisegnano gli equilibri geopolitici. In una perenne contesa sui confini economici e di potere. Da mamma e cittadina assisto con angoscia alla spartizione del mondo ai danni del diritto alla vita e alla felicità“. Ora Silvia Salemi ha scelto di tornare sulle scene con un brano scritto insieme a Matteo Faustini, giovane cantautore protagonista della 70° edizione del Festival di Sanremo. Nella sezione Nuove Proposte. E a Marco Rettani, coautore anche degli ultimi due brani di Silvia Salemi. Intitolati “Chagall” e “I Sogni nelle tasche”. Un appello a vedere il buono che c’è nell’altro.